Artista poliedrico e totale, “scandalo di Darmstadt”, “pecora nera dei conservatori”. Sono solo alcune delle espressioni che nelle ultime settimane abbiamo ascoltato e letto a proposito di Sylvano Bussotti, da poco scomparso quasi all’alba del suo novantesimo compleanno. Nato a Firenze il 1 Ottobre 1931 in una famiglia di artisti, Bussotti ha incarnato il modello di un musicista fuori dagli schemi. Dopo aver interrotto, a causa della guerra, la frequentazione dei corsi di composizione presso il Conservatorio di Firenze (dove frequentava le lezioni di Roberto Lupi e Luigi Dallapiccola), il nostro artista proseguì gli studi da autodidatta a Parigi con Max Deutsch. Nella capitale ebbe modo di conoscere e di stringere una solida amicizia con Pierre Boulez (legame che fu fonte di non poche incomprensioni con Luigi Nono), di incontrare Cathy Berberian e di avvicinarsi ai celebri corsi estivi di Darmstadt. Nella cittadina tedesca, il giovane Sylvano conobbe John Cage, artista al quale fu sempre legato, oltre che da stima e ammirazione, da una sincera condivisione poetica.
Le peculiarità dello stile creativo bussottiano furono già colte da Mario Bortolotto nel 1969 il quale, occupandosi di lui in un capitolo del saggio “Fase seconda. Studi sulla nuova musica”, delineò la figura di un compositore vicino alla tradizione, “alla nostalgia di tutte le abbandonate maniere del far musica”, al rispetto “aristocratico” per la forma. Per Bussotti il legame con un passato colto ed erudito fu senza dubbio non solamente un vincolo sentimentale ma una vera e propria fonte d’ispirazione, si spiegano così i frequenti ed espliciti richiami ad un’idea di classicismo non solo delle composizioni giovanili del suo nutrito catalogo (ci limitiamo a ricordare le 6 Bachiane per violino solo, i Quattro frammenti greci, la Preghiera di Giovanni, sacra rappresentazione per voce e pianoforte) ma anche di quelle della maturità (ad esempio le due versioni di Fedra entrambe del 1989, le serie dei Concerti grossi del 2001 e 2002 e quelle delle Orchestre mozartiane degli anni 2005 e 2006).
Oltre all’atteggiamento di ossequio per la tradizione, nella produzione bussottiana possiamo cogliere anche uno spiccato senso di teatralità presente non unicamente nelle partiture destinate al palcoscenico (una ventina di opere per formazioni varie) ma anche nelle pagine strumentali. In quest’ultimi lavori la predisposizione di Bussotti per il teatro coinvolge gli aspetti di una aleatorietà interpretativa (nella quale l’esecutore stesso deve diventare un secondo creatore), la particolare attenzione alla corporalità e all’espressività del corpo umano nell’evento musicale, la singolare pittoricità delle sue partiture. Per quanto riguarda il rapporto con il corpo, è degno di nota il fatto che Bussotti sia stato tra i pochi compositori contemporanei italiani a dedicare così tanta attenzione al genere del balletto (con oltre trenta titoli) scrivendo sia lavori per spettacoli coreografici con grande orchestra (Bergkristall o La bal Mirò) sia pezzi da camera con formazioni ridotte (Ermafrodito con chitarra e voce, Juvenilia con tenore e pianoforte, Sadun per dodici voci a cappella).
La pittoricità dell’artista non si limitava alla grafica delle proprie partiture (oggetto negli anni furono di appositi eventi espositivi) ma era elemento connaturato alla composizione stessa. Fu questo, ad esempio, il caso dei Five piano pieces for David Tudor per i quali, presupponendo una completa libertà interpretativa e decifrativa all’interprete, la scrittura musicale derivava direttamente da un disegno dello stesso Bussotti. La ricchezza intellettuale del compositore, ravvisabile anche nel suo eloquio complesso e articolato, spaziava in ogni espressione umana senza escludere la scrittura (saggistica e poetica) e la regia sia operistica che di lungometraggi: luoghi nei quali (con esiti più o meno riusciti) si ravvisava pienamente la sua forza suggestiva. Per la molteplicità degli interessi da lui coltivati, è piuttosto arduo sintetizzare l’attività artistica di Sylvano Bussotti e limitarla ad un unico ambito. Dal punto di vista strettamente musicale possiamo però trovare la sua cifra caratteristica nella tenacia di pensare ad una musica dell’oggi come frutto di una profonda conoscenza ed elaborazione del passato.
Lodovico Buscatti