Vanessa | Nicole Heaston |
Erika | J'Nai Bridges |
Anatol | Matthew Polenzani |
The Old Baroness | Susan Graham |
The Old Doctor | Thomas Hampson |
The Major-domo | Jonathan Bryan |
A Footman | Samuel Weiser |
Direttore | Gianandrea Noseda |
Direttore artistico del coro | Jason Max Ferdinand |
National Symphony Orchestra | |
University of Maryland Concert Choir | |
Esecuzione in forma di concerto |
Nelle ultime settimane Washington è stata scombussolata da un susseguirsi di avvenimenti che hanno messo a dura prova i suoi abitanti. Per primo, un gelo polare che ha ghiacciato il fiume Potomac tanto da poterci pattinare sopra. Poi, il cambiamento dell’inquilino della Casa Bianca, con il conseguente ricambio dei funzionari federali, ora costretti a spostarsi altrove. Infine, un incidente aereo tra un elicottero e un piccolo aereo, precipitati entrambi nel fiume ghiacciato e costato la vita a 67 persone. In tutto ciò, nel Kennedy Center, che è situato proprio sul fiume Potomac, a due passi dal luogo dell’incidente e dalla Casa Bianca, si è svolta una serata di musica, della quale la città aveva fortemente bisogno. Gianandrea Noseda, a capo della National Symphony Orchestra, ha diretto con un successo strepitoso l’opera Vanessa di Samuel Barber, eseguita in forma di concerto con un cast di primo livello.
Data la situazione, Noseda ha iniziato la serata ricordando le vittime dell’incidente aereo, dedicando loro l’esecuzione dell’Adagio per archi di Samuel Barber. L’adagio è stato eseguito con un trasporto straziato e toccante, a tratti rassegnato e meditabondo, confermando che si tratta di una delle composizioni più commoventi del repertorio Novecentesco. Alla fine dell’adagio, il pubblico ha accompagnato l’uscita di scena del direttore con un rispettoso silenzio.
Ma dopo una breve ri-accordatura dell’orchestra, la serata è continuata con la Vanessa, sempre di Samuel Barber. Questo compositore è molto più noto in America di quanto lo sia in Italia, dove è famoso soprattutto per il sopracitato Adagio. Negli USA, invece, viene spesso inserito nei programmi del conservatorio e non c’è studente di canto che non abbia studiato l’aria “Must the winter come so soon?”, tratta proprio da Vanessa. L’opera è anche l’esordio operistico, nel 1958, di Barber, ed ebbe un’accoglienza piuttosto favorevole. Seguirà l’anno dopo l’atto unico A Hand of Bridge, eseguita spesso da compagnie amatoriali e dai conservatori americani. Alla luce di questi successi, a Barber fu commissionata nientemeno che l’opera per l’inaugurazione del nuovo Metropolitan. Nacque quindi Anthony and Cleopatra su libretto di Franco Zeffirelli (da Shakespeare) che ne curò anche la messa in scena. Fu un insuccesso clamoroso, tanto che Barber rinnegò quest’opera e non ne scrisse altre per il resto della sua vita. L’addio alla penna operistica di questo compositore è stato per me una grande perdita per la storia dell’opera del Novecento.
Come detto, nel 1958 la prima di Vanessa al Metropolitan fu accolta con un certo successo, tanto che gli valse il premio Pulitzer per la musica. Nel cast stellare figuravano Nicolai Gedda come Anatol, Regina Resnik come Baronessa e Giorgio Tozzi nella parte del dottore. Nonostante questo, la prima europea, a Salisburgo, fu accolta freddamente e al Met venne ripresa solo una volta negli anni ‘70, quando Barber ridusse i quattro atti originali a tre atti (versione scelta della serata in esame) e ancora oggi viene proposta solo di rado.
L’azione di Vanessa si svolge nel 1904, in una casa di campagna in un paese nordico. Vanessa vive reclusa da vent’anni, con la madre, la Baronessa, che non le rivolge la parola e in compagnia della nipote Erika. Ha fatto coprire tutti gli specchi per non vedere il passare del tempo sulla sua bellezza, poiché aspetta invano Anatol, l’uomo che amava e che l’aveva dovuta abbandonare. Un giorno riceve una lettera firmata Anatol, ma chi arriva è suo figlio, pure lui con lo stesso nome, curioso di conoscere l’ex amante del padre. Vanessa, delusa, si ritira, mentre Anatol Jr. rivolge le attenzioni a Erika, che quella notte gli si concede. Un mese dopo, Erika è confusa: prova qualcosa per lui, ma non si fida, perché Anatol prende tutto con leggerezza, persino quando le propone il matrimonio. Vanessa, invece, lo vede come un riflesso del passato e se ne innamora. Quando Erika lo rifiuta, Anatol si fidanza con Vanessa. Il giorno dell’annuncio, Erika si avventura nel gelo, sola e disperata, e viene ritrovata svenuta, coperta di sangue. Confessa alla nonna di essere rimasta incinta di Anatol e di aver e di aver sfidato il gelo per porre fine alla gravidanza, perdendo il bambino; da quel momento, la Baronessa smette di parlarle. Nell’ultimo atto, Vanessa e Anatol partono per Parigi, lasciando Erika sola con la Baronessa chiusa nel suo silenzio. La ragazza fa coprire di nuovo gli specchi e ordina che nessuno entri più in casa, proclamando: "Ora è il mio turno di aspettare".
Il libretto di Vanessa è firmato da Giancarlo Menotti (compagno di Barber) che in Italia è molto più noto ed apprezzato che negli USA. Menotti ha creato un soggetto perfettamente operistico, dove convivono grandi emozioni, personaggi in preda a dilemmi esistenziali, e una messa in scena che permetteva una grandeur quasi da grand-opéra (della quale siamo però stati privati, nella serata in esame, dall’esecuzione in forma di concerto). Le atmosfere che vi si respirano sono quindi quelle dell’opera italiana-francese della fine Ottocento (una lontana parente è forse Fedora) ma sono rivitalizzate da un sapore Americano che le avvicina di più ai melodrammi hollywoodiani come Viale sul tramonto o Secondo amore.
La resa musicale dell’opera, come detto sopra, è emersa con tutta la sua carica entusiasmante. Barber e Menotti, mantenendo un loro linguaggio personale, continuano ad utilizzare tutto l’arsenale che ha fatto grande l’opera lirica. Ci sono arie, melodie, ballate, cori, quintetti e intermezzi, come nella migliore tradizione. Ad esempio, in ben due punti dell’opera, mentre fuori il coro canta serenamente, in scena rimane la protagonista sola, in preda alla tragedia. L’idea rimanda naturalmente alle situazioni più iconiche, come il finale della Traviata o il duetto del secondo atto della sopracitata Fedora. Ma nonostante tutto ciò, l’opera non ha mai un qualcosa di derivativo, nulla che non sia personalmente sentito dagli autori.
Dal punto di vista strettamente musicale, in Vanessa, Barber aveva dimostrato di saper gestire un linguaggio musicale in equilibrio tra tradizione ed innovazione. All’ascolto, si sentono alcune delle più belle melodie delle opere del secondo Novecento, prima fra tutte la già citata aria “Must the winter come so soon?”. Ma Barber è soprattutto maestro delle lunghe e felici linee melodiche che si intrecciano in contrappunti sempre più crescenti e che creano climax dall’esplosiva forza espressiva. Questa tecnica, che lo aveva reso famoso con il sopra citato Adagio per archi (amato da Toscanini) è presente nell'intermezzo e nel quintetto finale dell’opera (quest’ultimo un capolavoro assoluto).
La sfortuna di Barber, probabilmente, è stata che Vanessa era, a fine anni ‘50, troppo melodica e troppo classicamente drammatica per una critica musicale che identificava la musica colta solo con le dissonanze del serialismo. Inoltre, la musica americana, ancora alla ricerca di una propria identità, era sballottata tra la musica “classica”, il Jazz e le avanguardie europee. A più di mezzo secolo di distanza si capisce quanto i pregiudizi della critica di allora avessero pesato nel giudizio su Barber. Per esempio, le motivazioni del premio Pulitzer all’opera sembrano premiarla più perché è il primo grande lavoro operistico scritto da un Americano e meno per gli intrinsechi meriti musicali.
A Gianandrea Noseda va un grandissimo plauso per aver proposto questo titolo. Il direttore italiano ha infatti deciso di inserire ogni anno un’opera in forma di concerto nella stagione concertistica, cominciando l’anno scorso con l’Otellodi Verdi. La scelta di Vanessa non è stata per nulla scontata, perché la critica ha sempre lodato più le possibilità sceniche che la qualità musicale di questo lavoro. L’esecuzione magistrale del direttore italiano ha dato invece piena giustizia alla partitura, guidando con bacchetta sicura un’orchestra dai colori in continua variazione. Noseda ha mostrato tutta la complessità e le possibilità espressive della musica di Barber, togliendo gli effettacci kitsch troppo spesso usati da altri interpreti della stessa musica.
Dietro i rispettivi leggii, ai lati del direttore, si trovavano gli interpreti vocali, tutti di primo livello. Prima fra tutti la Vanessa di Nicole Heaston (chiamata a sostituire la prevista Sondra Radvanovsky) soprano dal bellissimo colore lirico e la cui voce sembrava volare elegantemente sopra l’orchestra. Poi Matthew Polenzani che avevamo sentito solo la settimana scorsa in Bohème. Qui si conferma un interprete eccezionale, dalla voce fresca, brillante, passionale, e capace di prodezze inaspettate, come pianissimi in falsettone che si rinforzano a voce piena, sfogandosi poi in un acuto squillante. La giovane Erika era interpretata da J’Nai Bridges che, contrariamente alla tradizione, risultava più drammatica di Vanessa, con un colorito bruno e acuti potenti. La baronessa era infine la veterana Susan Graham che ha reso un personaggio drammaticamente serio nella sua cocciutaggine. Nella parte del Vecchio Dottore (il comic relief della situazione) c’era Thomas Hampson, dall’elegante simpatia, soprattutto nell’aria da ubriaco. A completare il cast nelle parti di spalla del maggiordomo e del domestico, rispettivamente, Jonathan Bryan e Samuel Weiser.
La serata ha visto infine una National Symphony Orchestra in gran lustro, accompagnata dall’University of Maryland Concert Choir, preparati dal direttore artistico Jason Max Ferdinand.
Il pubblico ha applaudito convintamente il direttore e gli interpreti, capaci di creare, pur senza l’ausilio delle scene, una delle serate d’opera più coinvolgenti dall’inizio di questa fredda stagione invernale. Si spera che l’esito di questa serata convinca qualche direttore artistico a riproporre questo titolo nelle stagioni regolari dei teatri d’opera.
La recensione si riferisce alla recita del 30 gennaio 2025.
Francesco Zanibellato