Il Re | Diana Haller |
La Regina | Elissa Huber |
Donna Irene | Beate Ritter |
La Marchesa di Villareal | Regina Schörg |
Cervantes | Maximilian Mayer |
Il Conte Villalobos | Michael Laurenz |
Don Sancho | Istvan Horvath |
Il Marchese della Mancha | Alexander Strömer |
Il maestro di ballo | Ilyà Dovnar |
Il capo della polizia | Carl Kachouh |
Ministro della giustizia | Daniel Llano Cano |
Ministro delle finanze | David Neumann |
Corpo di ballo |
Katharina Glas, Erick Aguirre, Franziska Gaßmann, Miriam Lechlech, Armando Rossi, Lukas Ruziczka, Beatriz de Oliveira Scabora
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Direttore | Martynas Stakionis |
Direttore del Coro | Erwin Ortner |
Regia | Christian Thausing |
Scene e costumi | Tino Dentler, Okarina Peter |
Luci | Sebastian Alphons, Karl Wiedemann |
Coreografia | Evamaria Mayer |
Drammaturgia | Christian Schröder |
Wiener KammerOrchester | |
Arnold Schoenberg Chor | |
Don Sancho, precettore e servitore del re del Portogallo, si lamenta dei vizi del datore di lavoro che per l’ennesima volta si è appartato con una donna, oltretutto già impegnata, costringendolo a fare la sentinella durante la lunga e noiosa attesa. Non si tratta di una nuova versione del Don Giovanni mozartiano, ma della prima scena di un’operetta di Johann Strauss (figlio) che a causa di vicissitudini storiche è sparita per molti decenni dai repertori viennesi per ritornare quest’anno al Theater an der Wien, palcoscenico del suo debutto nel 1880: Das Spitzentuch der Königin (Il fazzoletto di pizzo della regina).
Il motivo della sparizione non è stata certamente la partitura, che ha conquistato da subito il pubblico grazie all’infallibile talento di melodizzatore del suo popolarissimo e osannato autore. L’argomento satirico, le cui allusioni erano assolutamente riconoscibili per il pubblico dell’epoca, era però una parodia delle intemperanze del principe ereditario Rodolfo d’Asburgo, che procurava alla famiglia e allo stato tante preoccupazioni e imbarazzi. Nove anni dopo il debutto di un lavoro già al limite del lecito, la sua tragica scomparsa a Mayerling ha reso inadeguata la permanenza dell'operetta sulle scene dell'Impero, condannando questo successo a un lungo oscuramento, fatta eccezione - ma in ambito concertistico - per il valzer “Rosen aus dem Süden”.
Anche ignorando la parodia e le allusioni politiche, la vicenda raccontata dal libretto di Bohrmann e Genée rimane tuttavia piuttosto stravagante. Il re del Portogallo è un corpulento fannullone interessato soltanto alle donne e ai paté. Il primo ministro ne approfitta per prendere in mano la situazione secondo i propri interessi. A sconvolgere ulteriormente l’equilibrio già precario dello stato arriva il poeta Cervantes (si, proprio quello del Don Chisciotte), del quale si invaghiscono al primo sguardo sia la regina che la sua confidente, Donna Irene. Un fazzoletto che contiene un messaggio d’amore della regina diventa la pietra di uno scandalo che coinvolge tutta la corte tra malintesi e intrighi che si concludono poi con un lieto fine, il ritorno di fiamma tra il re e la regina e l’impegno del sovrano a occuparsi degli affari di stato con maggiore saggezza.
Il Theater an der Wien ha dato allo spettacolo una cornice di assoluto rilievo: la produzione ha riaperto il teatro viennese agli allestimenti scenici dopo il restyling dell’edificio, celebrando al tempo stesso l’apertura dell’anno straussiano nei 200 anni dalla nascita del compositore. L’interesse suscitato dalla scelta del titolo e dalla doppia occasione non avrebbe permesso margini di errore e il teatro si è dimostrato all’altezza con uno spettacolo memorabile, realizzato in un trionfo di scene, costumi, colori, idee e grande professionalità.
In accordo con la musica, il regista Christian Thausing ha realizzato in scena un travolgente perpetuum mobile che si materializza nel movimento continuo di una grande giostra. La lettura del libretto ha trasportato le assurde situazioni in una dimensione fiabesca, dove il pubblico e i personaggi vengono accompagnati da danzatori con teste animali che sembrano usciti dai libri illustrati dell'Ottocento, mentre coro e protagonisti strizzano l'occhio all'estetica di Tim Burton con un trucco grottesco su un tripudio di stoffe fiorate e nature morte. Il tandem Timo Dentler-Okarina Peter ha attirato gli spettatori tra le pagine di una fiaba pop-up, dove a ogni giro di giostra appaiono nuovi oggetti e personaggi, grazie a un grande lavoro di squadra anche nel reparto tecnico.
In questo ingranaggio perfetto non ci sono binari obbligati né regole imprescindibili, ma soltanto deroghe che fanno uscire e entrare dal percorso circolare cavalli di legno colorati, carrozze, grandi tazze da tè degne di Alice. Per rendere il sogno ancora più reale il vorticoso gioco è avvolto nelle ombre e nelle luci dorate create con gusto da Sebastian Alphons e Karl Wiedemann.
Le coreografie di Evamaria Mayer hanno fatto apprezzare la sicurezza e la precisione dei danzatori, costretti per l’intera durata dello spettacolo a orientarsi e muoversi su piani diversi sotto una maschera a testa intera, ma hanno anche valorizzato insieme alla regia le capacità attoriali e la disinvoltura in scena dei coristi dell’Arnold Schönberg Chor, che riescono ad essere sempre coprotagonisti delle produzioni non soltanto per la precisione e la qualità delle esecuzioni, ma anche per il supporto che offrono alla realizzazione del concetto registico.
Il direttore Martynas Stakionis ha deciso di portare in scena una combinazione delle tre versioni disponibili della partitura, con qualche spostamento di numeri musicali al fine di rendere più scorrevole la strampalata vicenda, in collaborazione con il dramaturg Christian Schröder. Le idee funzionano, in particolare il recupero dalla prima versione dello splendido trio che riprende il motivo ricorrente del celebre valzer delle rose del sud, dove l’intreccio delicato di voci e strumenti sposta la dimensione ludica e spumeggiante su un piano di incantato, toccante lirismo. Quello del Fazzoletto è uno Strauss dall'ispirazione mediterranea, che per melodia e ritmi riconduce più o meno vagamente a suggestioni iberiche, ben sottolineate dall’orchestra. L'ispirazione degli interpreti a tratti supera anche l'idea del compositore stesso, come quando si fa strada la (di là da venire) Carmen di Bizet in una scena da corrida. Ma gli inserti “estranei” sono di casa nell’operetta: la riconoscibilità globale delle scherzose aggiunte è un canone del genere e la capacità di armonizzarle al contesto offre un valore aggiunto.
La direzione della Wiener KammerOrchester non cerca preziosità, ma risulta funzionale al carattere coinvolgente dei numeri musicali, nei quali brillano solisti (e coristi) credibili e dotati di senso dell’umorismo. Viene richiesta grande autoironia al mezzosoprano Diana Haller, avvolta en travesti nei panni ingombranti del goffo reuccio, che veste con divertimento modulando la voce con una leggera asprezza che tuttavia definisce il personaggio. Ciondola sui bordi della giostra e delle scale come fosse un novello Jack Sparrow il Cervantes di Maximilian Mayer, guascone quanto basta per affascinare senza prendersi troppo sul serio e sempre in solido equilibrio anche rispetto alle esigenze vocali.
Dolcezza e agilità della voce, unite a una spigliata vivacità nella recitazione caratterizzano la Regina di Elissa Huber. Beate Ritter è una Donna Irene energica, protagonista e ricca di verve, erede della mozartiana Despina e altrettanto abile nel travestimento da dottore di Salamanca che salva l’amato Cervantes dalla persecuzione del Primo ministro, dichiarando che la follia è causa dell’immoralità del suo romanzo (nel quale si ispira proprio alle vicende della bizzarra corte).
Ha attirato applausi a scena aperta Michael Laurenz nei panni di un Primo ministro perennemente teso e sospettoso, sedicente maestro di diplomazia che nel suo vademecum del politico perfetto elenca caratteristiche di ipocrisia valide ai tempi di Strauss quanto nel XXI secolo (presumibilmente suscitando equivalente approvazione da parte del pubblico). Vocalmente ha avuto il pregio di saper gestire una recitazione cantata ricca di una grande varietà di espressioni che hanno dato notevole rilievo alle caratteristiche del personaggio. Istvan Horvath è risultato meno incline a disegnare un fraseggio espressivo e a rendere con spontaneità la goffaggine del personaggio di Don Sancho, mentre Regina Schörg e Alexander Strömer hanno saputo giocare bene la carta dei caratteristi nei ruoli della piccante Marchesa di Villareal e del suo consorte.
La scelta comprensibile di agevolare la libertà dei dialoghi in tedesco con una sintesi stringatissima nei sovratitoli in inglese ha fatto perdere qualche satirica frecciata riguardante l'attualità locale, ma non ha tolto nulla al prezioso recupero di questa operetta, soprattutto in un allestimento che già alla chiusura del sipario suscita il desiderio di una replica. Perché un solo giro su questa splendida giostra non basta.
La recensione si riferisce alla recita del 26 gennaio 2025.
Rossana Paliaga