Il Conte di Luna | Artur Rucinski |
Leonora | Hui He |
Azucena | Anna Smirnova |
Manrico | Carlo Ventre |
Ferrando | Roberto Tagliavini |
Ines | Elena Borin |
Ruiz | Paolo Antognetti |
Un vecchio zingaro | Victor Garcia Sierra |
Un messo | Cristiano Olivieri |
direttore | Giuliano Carella |
regia e scene | Franco Zeffirelli |
costumi | Raimonda Gaetani |
coreografia | El Camborio ripresa da Lucia Real |
maestro d'armi | Renzo Musumeci Greco |
Orchestra e coro dell’Arena di Verona | |
maestro del coro | Armando Tasso |
La prima volta che vedemmo in scena il Trovatore, nel sontuoso e coinvolgente allestimento firmato da Franco Zeffirelli, ne rimanemmo stregati e ad oggi rimane a nostro giudizio la migliore delle produzioni da lui realizzate per l’Arena di Verona.
In occasione della ripresa del 2010 così scrivevamo:
“Due colori illuminano, imperiosi, i trofei d’armi e le tre torri, fatte di lance, picche, scudi ed insegne: il rosso brillante della passione amorosa ed il gelido blu della gelosia. Il rosso ed il blu si fondono e si stemperano, si contrappongono e si sfumano l’uno nell’altro a sottolineare i momenti topici dell’azione. È un Trovatore a tinte forti, ambientato in una Spagna religiosa e barbarica ad un tempo, quello che Franco Zeffirelli concepì per la stagione areniana del 2001 e che oggi viene riproposto. Non ci sono mezze misure, tutto in scena è gigantesco ed incombente, a cominciare dai due cavalieri in armatura che infieriscono sui loro avversari posti ai lati del boccascena. La chiesa, abbagliante d’oro, che si disvela nel secondo atto, è racchiusa nel grigio ferrigno delle armi della torre centrale e lascia il posto, nel quarto atto, alla segreta nella quale languiscono Manrico ed Azucena.
È bellissimo questo Trovatore, perché Zeffirelli ne coglie la sostanza più intima e, pur rimanendo fedele all’iconografia tradizionale, riesce a non essere pleonastico ed a trasmettere emozioni visive in perfetta sintonia con quelle evocate dalla musica. La recitazione è volutamente caricata, le masse in armi si muovono irruente, il quartetto dei protagonisti non cela mai i propri sentimenti, anzi, tutto è sanguigno, esplicito, esteriorizzato. Forse un tantino eccessivo l’ harakiri finale della oramai appagata Azucena. I costumi, ricchissimi, di Raimonda Gaetani traggono ispirazione dalla pittura preraffaellita e sono allo stesso tempo quasi un omaggio alla grande scuola cinematografica di Alessandro Blasetti nel loro riecheggiare “La cena delle beffe” ed “Ettore Fieramosca”. Strepitoso il light-design. Unico neo l’inserimento dei balletti, scritti da Verdi per la versione francese dell’opera e francamente brutti, spezzettandoli tra l’inizio del secondo atto ed il terzo, ove andrebbero eseguiti, il tutto a beneficio di un’esibizione della compagnia di danza del compianto El Camborio, sempre in versione flamenca, la quale ci è parsa, nella migliore delle ipotesi, fuor di luogo.”
Anche sabato scorso l’emozione si è ripetuta eguale dinanzi alla forza degli amori, dei duelli e delle battaglie evocata da Zeffirelli.
Nel complesso più che soddisfacente, con punte di eccellenza e qualche ombra, l’esecuzione musicale.
Molto buona ci è parsa la direzione di Giuliano Carella, il quale mostra di cogliere appieno la vena di intimo romanticismo che pervade la partitura e la rende con vibrante intensità. I tempi sono serrati e tuttavia le dinamiche stringenti si aprono, nei momenti di più intenso lirismo, a palpiti di elegiaca malinconia.
Carlo Ventre dà voce e corpo ad un Manrico corretto nella forma ma non eccessivamente coinvolgente nella sostanza. Le note ci sono tutte, ciò che in più di un momento sembra mancare è l’impeto appassionato nel fraseggio, necessario a rendere con completezza la natura del personaggio.
Assai convincente risulta la Leonora tratteggiata da Hui He, grazie soprattutto ad un impiego sapiente dei filati e delle mezzevoci, unito ad un controllo pressoché perfetto dei fiati.
Molto buono il Conte di Luna, irruente e tormentato, di Artur Rucinski, autentica voce verdiana, il quale fraseggia con grande ricchezza di colori ed intelligente varietà di accenti.
Roberto Tagliavini, ancora una volta protagonista di una prova encomiabile, è un Ferrando di grande eleganza scenica e di ottimo spessore vocale.
Molto sopra le righe, scenicamente e vocalmente, l’Azucena di Anna Smirnova, che troppo spesso si abbandona ad un declamato più consono all’ultimo Verismo che non a Verdi.
Bene si comportano Paolo Antognetti, Ruiz dalla voce interessante, ed Elena Borin, Ines puntuale e partecipe.
Completano onorevolmente il cast Victor Garcia Sierra, Un vecchio zingaro, e Cristiano Olivieri, Un messo.
Da lodare la prova del coro, lungamente impegnato, diretto da Armando Tasso.
Il pubblico, che purtroppo non esauriva l’anfiteatro, ha decretato un successo pieno per tutti, con ovazioni a Ventre, alla He ed a Rucinski.
Alessandro Cammarano