Il Re | Sava Vemič |
Amneris | Ekaterina Semenchuk |
Aida | Liudmyla Monastyrska |
Radamès | Murat Karahan |
Ramfis | Ferruccio Furlanetto |
Amonasro | Roman Burdenko |
Un messaggero | Carlo Bosi |
Sacerdotessa | Francesca Maionchi |
Direttore | Daniel Oren |
Regia e Scene | Franco Zeffirelli |
Costumi | Anna Anni |
Coreografia | Vladimir Vasiliev |
Maestro del Coro | Ulisse Trabacchin |
Coordinatore del Ballo | Gaetano Petrosino |
Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici della Fondazione Arena di Verona |
Duole dirlo, ma il grande sforzo creativo e produttivo che Fondazione Arena ha impiegato nella Carmen inaugurale non si è visto nemmeno per un istante nella prima Aida del 99° Arena Opera Festival: l’impressione che ho provato a fine spettacolo è stata quella di aver assistito non ad una recita d’opera, ma ad una prova d’assieme in cui il cast e le masse artistiche avevano metabolizzato appena non solo le note di regia, ma anche le indicazioni del direttore.
I movimenti imprecisi dei figuranti, la pressoché inesistente interazione teatrale tra i solisti, i ripetuti scollamenti tra buca, palco e banda interna, nonché l’assenza di alcuni elementi scenografici (montati in fretta e furia quando il pubblico stava già iniziando a prendere posto) instillano il più che giustificato dubbio che l’allestimento sia stato preparato senza un numero adeguato di prove, sia musicali che tecniche. Tenendo conto che, come per Carmen, anche questo spettacolo porta la firma di Franco Zeffirelli, non può che lasciare interdetti la poca cura nel presentare agli spettatori un prodotto decisamente al di sotto degli alti standard qualitativi cui Fondazione Arena ha abituato il suo pubblico negli anni.
Nonostante la sua lunga frequentazione con il titolo in questo teatro, Daniel Oren dirige l’Orchestra di Fondazione Arena senza mordente teatrale o qualsiasi colore, non curandosi nemmeno troppo di stare dietro ai solisti e al Coro che, soprattutto nelle scene d’insieme, vanno fuori tempo in più di un’occasione.
Poco esaltante il rendimento della compagnia vocale, a partire dalla coppia di protagonisti, Liudmyla Monastyrska, un’Aida che quasi non riesce a tenere testa al volume torrenziale della propria voce, e Murat Karahan, un Radamès pallido che sconta la fatica di cantare queste recite in concomitanza con le prove di Turandot che lo vedranno a breve impegnato come Calaf a Berlino.
Per quanto riguarda i bassi, preferisco sorvolare sul Ramfis di Ferruccio Furlanetto in serata decisamente “no”, mentre Sava Vemič difetta di autorevolezza e la dizione italiana è ancora tutta da rifinire.
L’unica a mettercela davvero tutta sia vocalmente che scenicamente è l’Amneris languida e combattiva di Ekaterina Semenchuk, che sovrasta nettamente i colleghi per interpretazione e carisma. Di grande rilievo la Scena del Giudizio, in cui il mezzosoprano russo scatena un più che meritato e convinto applauso a scena aperta dopo il lamento “Ohimè, morir mi sento”.
A parte una certa tendenza a gonfiare i suoni, positivo è anche il debutto areniano di Roman Burdenko quale Amonasro, davvero espressivo e truce nei suoi propositi di vendetta.
Impeccabile, come sempre, il Messaggero di Carlo Bosi, e bene si impegna anche Francesca Maionchi negli interventi interni della Sacerdotessa.
Pubblico numeroso e, come se avvertisse la stanchezza generale della messa in scena, poco convinto e non più che cortese nell’applaudire i singoli brani, soprattutto quelli del terzo atto, ma che si riscalda solamente grazie a Semenchuk come riferito sopra. Non mancano comunque, a fine spettacolo, saluti calorosi alla compagnia vocale, soprattutto ai protagonisti.
Spero vivamente che le prossime recite di questa Aida possano decollare e andare meglio di quella cui ho assistito, e che venga data maggior attenzione alle prove di Nabucco in corso, prossimo titolo in cartellone del festival.
La recensione si riferisce alla recita di sabato 18 giugno 2022.
Martino Pinali