Pianoforte | Mikhail Pletnev |
Johann Sebastian Bach | Il Clavicembalo ben temperato |
Preludio e Fuga in Re maggiore, BWV 874 | |
Preludio e Fuga in Sol minore, BWV 861 | |
Preludio e Fuga in Sol maggiore, BWV 884 | |
Preludio e Fuga in Si bemolle minore, BWV 867 | |
Robert Schumann | Kreisleriana op. 16 |
Edvard Grieg | Pezzi lirici |
Anche davanti alle oltre 1200 sedute del Teatro Nuovo Giovanni da Udine, Mikhail Pletnev dà la sensazione di suonare per se stesso, come chiuso in una bolla o nella solitudine del suo studio. Nessun grande gesto, né musicale, né teatrale, nessuna forzatura sul lato virtuosistico-muscolare - che chiaramente non è quello della giovinezza e che pare se non trasceso, snobbato - o a marcare l’impressività del tocco, ma una ricerca in cui il dato intellettuale e la portata emozionale della pagina paiono compenetrarsi indissolubilmente.
È un approccio, il suo, al tempo stesso poetico e didattico. Il primo aspetto è assicurato dalla cura per la qualità del tocco e dal respiro, nonché dal modo di ripercorrere i medesimi frammenti che costruiscono le architetture dei brani cambiando il peso e l’intenzione volta dopo volta, ma anche dalla capacità di creare un suono di inaudita morbidezza affondando le dita sui tasti come fossero neve, al punto che spesso non si capisce come possa una mano così carezzevole produrre un effetto.
C’è poi una visione appunto esplicativa che è sì da grande pianista, ma che ha anche a che fare con un modo di intendere la pagina propria del direttore d’orchestra e che si avverte soprattutto nei quattro preludi selezionati dal Clavicembalo ben temperato Bach e nella Kreisleriana di Schumann. Lavori illustrati nella loro costruzione polifonica dando risalto e centratura alle voci che si intersecano, come la pagina si ramificasse su diverse linee orchestrali, ciascuna con il proprio colore, e con scelte di articolazione e fraseggio che si sviluppano una sull’altra, indipendenti eppure perfettamente combinate.
Non che questo dominio della partitura sacrifichi la spontaneità, tutt’altro: la grande abilità di Pletnev sta proprio nel dare carattere a ogni inciso, sia quelli che sceglie di marcare, sia ai piani secondari, senza mai essere rigido, macchinoso o, peggio, prevedibile.
Come cambia il repertorio e si passa a Edvard Grieg con una selezione di una ventina dei suoi Pezzi lirici, cambia il modus, più impressionistico, fatto di piccole pennellate che si affastellano a dare profondità e vita al dipinto. Non già un’ispezione dell’inventiva del compositore - qui, se non meno complessa, più scarna - ma un’esposizione di riflessioni in musica profondamente intime, che anche nei momenti più accesi non vira mai verso un’esibizione di pianismo muscolare, ma rimane sempre in controllo se non di ogni nota - qualcosa in realtà scappa via - del pensiero che c’è dietro a ognuna di esse. Se della natura misteriosa e ovattata del suono si è già detto, è altrettanto impressionante il dominio anti-meccanico e soppesato delle frasi, sia di quelle più cantabili, sia dei passaggi movimentati, basti citare a esempio le semicrome in Småtrold, ultimo pezzo della lista, in cui ogni singola nota ha una calibratura dinamica diversa.
A fine concerto standing ovation del pubblico in sala.
La recensione si riferisce al concerto di lunedì 20 gennaio 2025.
Paolo Locatelli