Tosca | Maria José Siri |
Cavaradossi | Mikheil Sheshaberidze |
Scarpia | Alfredo Daza |
Angelotti | Cristian Saitta |
Sagrestano | Dario Giorgelè |
Spoletta | Motoharu Takei |
Sciarrone | Min Kim |
Un carceriere | Giuliano Pelizon |
Pastorello | Maria Vittoria Capaldo |
Direttore | Christopher Franklin |
Regia, scene e costumi | Hugo De Ana |
Luci | Valerio Alfieri |
Direttore del Coro | Paolo Longo |
Maestro del Coro di voci bianche | Cristina Semeraro |
Orchestra e Coro del Teatro Verdi di Trieste | |
Coro I Piccoli Cantori della Città di Trieste |
Scrivere cose inaudite non è prerogativa esclusiva dei critici musicali, anche i grandi protagonisti della musica ogni tanto sono scivolati su quelle che, a posteriori, si sono rivelate bucce di banana.
Così scriveva Gustav Mahler alla moglie Alma dopo la sua prima Tosca:
Ieri sera dunque sono stato a vedere la «Tosca» di Puccini. Esecuzione ottima sotto ogni punto di vista, si resta veramente strabiliati di trovare qualche cosa di simile in una città austriaca di provincia. Ma l’opera! Nel primo atto solenne processione con un continuo scampanio (le campane si sono dovute far venire dall’Italia). Nel secondo atto un tale viene torturato tra urli orrendi e un altro pugnalato con un acuminato coltello da pane. Nel terzo atto di nuovo immenso scampanio su una veduta di tutta Roma dall’alto di una cittadella – di nuovo un’altra diversa serie di campane – e un tale viene fucilato da un plotone di soldati. Prima della fucilazione mi sono alzato e sono andato via. Non occorre aggiungere che il tutto è messo irisieme come sempre con abilità da maestro; al giorno d’oggi ogni scalzacane sa orchestrare in modo eccellente.
A distanza di più di un secolo, la qui sopra vilipesa Tosca è diventata una delle opere più rappresentate in tutto il mondo ed è incontrovertibile che sia tra i lavori più amati dai melomani.
La produzione di questa sera al Verdi di Trieste proviene da Bologna, dove ha debuttato poco più un mese fa con grande successo di pubblico.
Chi, come me, è uno spettatore di lungo corso fa fatica a considerarla come un “nuovo allestimento” perché quella del regista Hugo De Ana sembra piuttosto una summa delle sue regie precedenti (in particolare quella dell’Arena di Verona del 2006) del capolavoro di Puccini.
Tutto molto gradevole, certo, ma – come ha scritto il collega Silvano Capecchi – in più di un’occasione faceva capolino una sensazione di dejà vu che sedava la tensione emotiva che la vicenda dovrebbe trasmettere.
Spettacolo all’insegna della tradizione, dunque; scenografie imponenti e ricche di dettagli, costumi appropriati, recitazione sobria ed essenziale. Molto belle le luci, di chiara ispirazione caravaggesca.
Discutibile la collocazione di un velario per le proiezioni, che mi sono sembrate del tutto superflue quando non fastidiose, come durante lo splendido Intermezzo che introduce il terzo atto.
La direzione di Christopher Franklin si è rivelata in perfetta simbiosi con la regia: accurata, precisa, armoniosa, poderosa nelle dinamiche ma forse un po’ pigra nelle agogiche. Ottima la gestione della complessa partitura pucciniana, che prevede tra le altre cose interventi del coro fuori scena, voci bianche e un uso importante di percussioni. Amorevole l’accompagnamento ai cantanti, molto esposti nelle loro celeberrime arie. I momenti più riusciti mi sono sembrati la liquida bellezza del suono orchestrale che introduce l’aria di sortita di Cavaradossi, il magmatico "Te Deum" e la dolcezza presaga di catastrofe della scena che precede la fucilazione.
Splendida in tutte le sezioni la prestazione dell’Orchestra del Verdi e brillante anche il rendimento del Coro della fondazione e delle voci bianche.
Molto affidabili i coprotagonisti: il pavido ma convincente Sagrestano di Dario Giorgelè, l’accorato Angelotti di Cristian Saitta, il viscido Spoletta di Motoharu Takei, lo Sciarrone di Min Kim e l’umanissimo carceriere di Giuliano Pelizon. Un po’ emozionata ma brava anche Maria Vittoria Capaldo (Pastore).
Maria Josè Siri ha interpretato una pregevole Tosca sia dal lato vocale sia da quello scenico. La voce è importante e il soprano può contare su acuti penetranti – il Do della lama è stato folgorante – e al contempo è sembrata a proprio agio nel più sommesso canto di conversazione, inficiato solo occasionalmente da una dizione perfettibile. Il complesso personaggio di Tosca è stato esplorato in tutte le sfaccettature: temperamento, fierezza, disperata determinazione e dolcezza. Riporto solo per dovere di cronaca una leggera esitazione nell’attacco di "Vissi d’arte", nell’ambito di una prestazione vocale immacolata.
Mikheil Sheshaberidze è stato un buon Cavaradossi ma il personaggio, a mio parere, è da rifinire soprattutto nella prima parte, quando dovrebbe subire con divertita rassegnazione le sfuriate di gelosia di Tosca. Il tenore georgiano è parso più a proprio agio nei passi più drammatici della parte per temperamento e accento. La voce è di bel colore scuro e gli acuti facili ed esibiti con orgoglio. Disinvolto in scena, imponente nella figura, il suo Cavaradossi alla fine ha convinto.
Molto interessante la prestazione di Alfredo Daza nei panni (scomodissimi) di Scarpia, di cui ha reso la violenta perfidia con accenti insinuanti ma sottotraccia, privi di un’acclarata volgarità che mal convivrebbe con un potentato esponente della nobiltà romana. Uno Scarpia autorevole e autoritario al contempo, insomma, che forse sono esattamente le caratteristiche del personaggio.
Prima dell’inizio il sovrintendente Giuliano Polo, accompagnato dal sindaco Roberto Dipiazza, ha rivolto un pensiero alle tristi vicende contingenti che parlano di guerra, mentre all’esterno il teatro era illuminato con i colori della bandiera ucraina.
Il pubblico, piuttosto numeroso e con la presenza di molti giovani che hanno sfruttato una favorevole promozione sui costi dei biglietti, ha lungamente applaudito tutta la compagnia artistica, riservando il successo più caloroso a Maria Josè Siri.
La recensione si riferisce alla recita del 4 marzo 2022.
Paolo Bullo