Direttore | Hans Graf |
Violino | Sergej Krylov |
Programma | |
Édouard Lalo | Symphonie espagnole |
Modest Petrovič Musorgskij | Tableaux d’une exposition orchestrazione Ravel |
Orchestra del Teatro Verdi di Trieste |
Teatro pressoché esaurito, grandi interpreti e orchestra di casa in gran spolvero, una pagina musicale celeberrima e un’altra meno frequentata e successo indiscutibile per tutti.
Si potrebbe sintetizzare così l’esito complessivo del concerto che ha inaugurato la stagione sinfonica del Teatro Verdi di Trieste.
C’era anche una novità nella disposizione dei posti in platea, come ha sottolineato il Sovrintendente Giuliano Polo:
Fra le tante novità che punteggeranno quest’anno per potenziare la nostra offerta d’accoglienza verso il pubblico, la prima è sicuramente il ripristino delle prime file di platea, per un rapporto sempre più stretto ed intimo tra sala e palco, una prossimità quasi cameristica assai rara nei teatri d’opera e che riteniamo offra un’esperienza unica nel suo genere.
Il protagonista indiscusso della prima parte è stato il violinista russo Sergej Krylov, che ha confermato di essere tra i solisti più emozionanti dell’attuale panorama artistico.
Dedicata ed eseguita per la prima volta dal mitico Pablo de Sarasate, la Symphonie espagnole di Édouard Lalo – che si dedicò anche al folclore russo e norvegese - è singolarmente strutturata in cinque movimenti che danno possibilità al solista di esprimere molteplici suggestioni anche di là dell’ovvia scaturigine etnica.
Nella felice ambiguità di fondo della pagina musicale – sinfonia o vero e proprio concerto? – Hans Graf opta per una lettura in cui l’orchestra non è sembrata ancella del solista, ma anzi ha caratterizzato in modo deciso l’atmosfera spagnoleggiante del brano sin dalle prime note.
Brillante il rendimento dell’Orchestra del Verdi in tutte le sezioni, con gli archi spesso impegnati in un gradevolissimo pizzicato che ha accentuato il colore ispanico della pagina musicale.
Sergey Krylov, ben conosciuto anche a Trieste, ha dimostrato una volta di più tutta la sua Arte. Non è solo questione di virtuosismo – peraltro spettacolare – ma anche e soprattutto della gioia di fare musica che l’artista esprime non solo con le note ma anche con il corpo in straordinaria simbiosi con lo strumento. In questo modo la danza delle mani sulle corde, le acrobazie dell’arco diventano un valore aggiunto inestimabile per chi assiste al concerto.
Per Krylov trionfo meritatissimo, coronato da un sublime bis bachiano.
Modest Petrovič Musorgskij è uno dei miei compositori preferiti perché amo chi, in qualche modo, rientra nell’ampio spettro degli artisti borderline. La biografia del compositore è lì a testimoniare delle sue fragilità, delle sue debolezze, dei vizi e delle virtù e di un’irrefrenabile pulsione alla disgregazione emotiva. Tutti codesti chiaroscuri dell’anima si ritrovano nella sua musica e Tableaux d’une exposition – ai quali mi avvicinai nei primissimi anni Settanta del secolo scorso, grazie alla versione progressive-rock di Emerson, Lake and Palmer - nella trascrizione per orchestra di Ravel è una pagina emblematica in questo senso.
Il brano non è dedicato in maniera esplicita all’amico pittore Viktor Hartmann, ma ne ripercorre, trasfigurandola, una galleria di quadri.
In modo estremamente sintetico si tratta di un mix di musica descrittiva ed evocativa, un percorso – anche abbastanza accidentato dal punto di vista musicale – tra stili diversi e spesso contrastanti e legati da una Promenade che si ripresenta mascherata quattro volte, a significare gli spostamenti da una sala all’altra nella galleria di quadri. Il percorso si conclude presso “La grande porta di Kiev”, che assume un aspetto metaforico ed è un inno alla libertà e alla fiducia nel futuro permeato da un’etica ecumenica.
La musica è visionaria, velenosa e al contempo sognante, spesso scopertamente macabra e grottesca e, almeno dal mio punto di vista, straordinariamente attuale e adatta al momento storico che stiamo vivendo.
Inutile stare ad analizzare i singoli momenti dell’esecuzione spulciando tra gnomi, streghe e vecchi castelli, quando come in questo caso orchestra e direttore non si limitano ad assemblare note, ma fanno rivivere attraverso la musica un compositore che ha avuto una vita breve e sofferta: ieri Modest Petrovič Musorgskij era vivo e, maledizione, lottava con noi.
Va detto però che l’Orchestra del Verdi, in grande sintonia con Hans Graf sul podio, è stata eccellente.
Segnalo, nello specifico, lo straordinario contributo delle percussioni – ce ne sono per tutti i gusti – e degli ottoni. Bravissima Živa Komar nel famoso e impegnativo solo.
Alla fine successo travolgente e, come succede quasi sempre nelle serate a teatro, mi ha accompagnato a casa quella serenità di chi sa di aver impiegato bene un paio d’ore della propria vita.
La recensione si riferisce al concerto del 27 settembre 2024
Paolo Bullo