Nadir, un pescatore |
Jésus Léon |
Zurga, capo dei pescatori | Domenico Balzani |
Léïla, una sacerdotessa |
Mihaela Marcu |
Nourabad, gran sacerdote di Brahma | Gianluca Breda |
Direttore | Oleg Caetani |
Maestro del coro | Francesca Tosi |
Regia | Fabio Sparvoli ripresa da Carlo Antonio De Lucia |
Scene | Giorgio Ricchelli |
Costumi | Alessandra Torella |
Orchestra e Coro del Teatro Verdi di Trieste | |
Dopo poco meno di dieci anni torna al Teatro Verdi di Trieste Les Pêcheurs de Perles di Georges Bizet, opera che ha goduto di alterne fortune dall’esordio – Parigi, 29 settembre 1863 - ma che è rimasta ovunque in repertorio. Dal punto di vista storico il lavoro giovanile di Bizet si colloca nell’ambito di una fortunata e feconda (ri)scoperta dell’esotismo orientaleggiante che ispirò diverse discipline artistiche nella seconda metà dell’Ottocento. Un fil rouge che, come un fiume carsico, a tratti riaffiora sino a metà degli anni venti del secolo scorso e metaforicamente arriva alla foce con Turandot di Puccini passando - solo per citare alcuni titoli - per opere liriche francesi quali L’Africaine (1865), Le Roi de Lahore (1877), Lakmé (1883) e le nostrane Iris (1898) e Madama Butterfly (1904).
L’allestimento scelto per questa produzione è quello di Fabio Sparvoli, qui ripreso da Carlo Antonio De Lucia, che OperaClick ha recensito più volte, l’ultima a Firenze nel 2016.
Mi pare di poter dire che in questa ripresa triestina si siano confermati pregi e difetti di una regia irrisolta, genericamente fedele al libretto ma che accentua con una staticità di fondo la debolezza drammaturgica di un lavoro che richiederebbe – almeno – un’attenzione più specifica alla recitazione dei protagonisti e un coinvolgimento scenico più significativo del coro. Le scene di Giorgio Ricchelli sono infantili e didascaliche, i costumi di Alessandra Torella banali nella migliore delle ipotesi (orribile quello di Léïla nel primo atto) e delle coreografie mi limiterò a dire che sono invadenti e spesso involontariamente comiche.
Con queste premesse meglio concentrarsi sulla resa musicale, che ha beneficiato in primis della presenza di Oleg Caetani, il quale ha colto in pieno la tinta mutevole della partitura con una direzione intelligente e analitica, scevra di languori zuccherosi e stucchevoli manierismi, innervata di una vivace tensione narrativa e al contempo attenta alle esigenze dei cantanti. Ottimo il rendimento dell’Orchestra del Verdi e buona la prestazione del Coro.
Da sempre Les Pêcheurs de Perles è considerata opera “da tenore”, probabilmente per la notorietà dell’aria Je crois entendre encore, cavallo di battaglia di mitici belcantisti.
Jesús León è stato protagonista di una prova non più che discreta, non per mende tecniche ma perché la voce è sembrata anodina e linfatica, priva di calore. Nel secondo e terzo atto, specialmente nel duetto con Léïla, il giovane artista è parso più coinvolto emotivamente e ha trovato qualche accento più convincente.
Brillante l’esordio di Mihaela Marcu nei panni della sacerdotessa Léïla. Il soprano, ormai di casa a Trieste, si è ben disimpegnata in una parte che le si addice per tecnica e temperamento. La voce si è arricchita di una certa rotondità nei centri senza che gli acuti perdano smalto, le agilità sono sempre fluide e il fraseggio incisivo ed eloquente le ha consentito un’emozionante interpretazione nell’impegnativo secondo atto.
Efficace anche Domenico Balzani, cui non difetta certo il volume, che ha tratteggiato uno Zurga determinato e virile ma allo stesso tempo capace di ripiegamenti riflessivi che ben si attagliano a un personaggio psicologicamente più complesso di quanto possa sembrare. Buona, infatti, l’interpretazione della grande scena che apre il terzo atto.
Gianluca Breda è sembrato un Nourabad più autoritario che autorevole, ma in ogni caso anche la sua prestazione è da considerarsi positiva.
Il pubblico ha generosamente applaudito anche a scena aperta – particolarmente l’aria del tenore – e ha tributato a tutta la compagnia un ottimo successo.
Paolo Bullo