Konstanze | Anna Aglatova |
Belmonte | Ruzil Gatin |
Osmin | Andrea Silvestrelli |
Selim | Giulio Cancelli |
Blonde | Maria Sardaryan |
Pedrillo | Marcello Nardis |
Direttore | Beatrice Venezi |
Direttore del Coro | Paolo Longo |
Regia, scene e costumi | Ivan Stefanutti |
Impianto luci | Emanuele Agliati |
Orchestra e Coro del Teatro Verdi di Trieste | |
Die Entführung aus dem Serail (Il ratto dal serraglio) di Mozart mancava da vent’anni dal teatro triestino perciò, dal mio punto di vista, già la proposta del titolo era meritevole di attenzione.
La nuova produzione è stata affidata al regista Ivan Stefanutti – che firma anche costumi e scene - il quale già l’anno scorso si era cimentato in Die Zauberflöte: non a caso, mutatis mutandis, l’interpretazione registica mi è sembrata sovrapponibile nell’ispirazione fiabesca realizzata secondo i canoni di una didascalica tradizione.
Il Singspiel, notoriamente, è un genere operistico di matrice tedesca e austriaca in cui i recitativi sono parlati e non cantati come di solito capita nell’opera italiana. La scelta di tradurre in italiano i dialoghi non mi ha mai convinto e ieri ne ho avuta conferma nonostante l’impegno e la bravura dei protagonisti i quali, se hanno sfoggiato una bella dizione e pronuncia da un lato, dall’altro sono stati “traditi” da un accento palesemente artefatto che oltretutto strideva molto nel confronto con gli artisti italiani in scena.
Il mare è il grande protagonista nella visione registica, un mare che conserva le caratteristiche più ovvie di cromie nella tavolozza del blu/azzurro ma anche un metaforico magma liquido in cui sentimenti contrastanti, amori, passioni e culture si compenetrano e confondono in un gioco di rimandi e suggestioni diverse.
Su questo sfondo uniforme e cangiante al contempo spiccano le scenografie imponenti del palazzo del Pascià Selim e i variopinti costumi della compagnia artistica: più eleganti quelli dei personaggi più altolocati, più modesti quelli dei personaggi del “basso stato”. Le luci, di Emanuele Agliati, sono funzionali a un allestimento generalmente gradevole e curato ma privo di un’identità riconoscibile e, soprattutto nel primo atto, statico. Le interazioni tra i personaggi sono parse scontate e spesso – gambe ben piantate e mano sul cuore, in pieno déjà vu – i cantanti inerti al proscenio.
Nulla di male, però credo che il teatro, quello vivo e sulfureo che anticipa tempi e tendenze, debba essere anche altro.
La direzione di Beatrice Venezi mi è sembrata solida e rassicurante sia nelle agogiche sia nelle dinamiche e persino amorevole nell’accompagnamento ai cantanti. Mozart però avrebbe bisogno di un respiro più ampio, di un ventaglio di sfumature più dilatato e di un’aura meno terrena e più impalpabile, soprattutto in quest’opera che è innervata da un messaggio universale di fratellanza e di pace. Sono certo che dopo la tensione della prima, preceduta da qualche polemica tutto sommato evitabile, il Maestro troverà il modo di rastremare certe tensioni esecutive e sublimarle in un’interpretazione meno aggressiva.
L’Orchestra del Verdi al solito – al netto di qualche minima imprecisione, caratteristica della musica dal vivo - è parsa impeccabile e brillante in tutte le sezioni, con legni e percussioni in particolare evidenza. Buona la prestazione del Coro, al solito preparato da Paolo Longo.
Tutta la compagnia di canto è stata all’altezza della situazione, seppure con qualche distinguo.
Nel complesso la più convincente mi è sembrata Maria Sardaryan, che di Blonde ha colto sia l’estrazione popolare sia la limpida saggezza con una bella disinvoltura sul palco e tramite una voce penetrante che ha passato senza difficoltà l’orchestra.
Molto bravo anche Ruzil Gatin (Belmonte), che ha palesato una voce di bel timbro e un’ eccellente tecnica che gli ha consentito una bella interpretazione della difficile aria di sortita. Un po’ di abbandono e languore in più – le parti di amoroso mozartiano sono terribili – non avrebbero guastato.
Bene anche Anna Aglatova, che di là di qualche leggera imperfezione è venuta a capo di una delle più difficili arie per soprano del repertorio mozartiano. Al soprano russo, al debutto in Italia, imputo solo una certa mancanza d’accento che avrebbe dato più corpo al nobile personaggio di Konstanze.
Buone la prestazione di Andrea Silvestrelli nei panni dello scorbutico e rude Osmin, che ha tratteggiato con buffa e monumentale presenza scenica e attoriale.
Convincente anche Marcello Nardis, Pedrillo capace di una buona Serenata e mobile sul palco.
Ottima la prova di Giulio Cancelli, Selim nobile, risoluto, ma umanissimo.
Pubblico numeroso ma non foltissimo, che ha tributato allo spettacolo e ai protagonisti un buon successo.
La recensione si riferisce alla serata del 17 gennaio 2024
Paolo Bullo