Floria Tosca | Karine Babajanyan |
Mario Cavaradossi | Ivan Magrì |
Il barone Scarpia | Roberto Frontali |
Angelotti | William Corrò |
Sagrestano | Giulio Mastrototaro |
Spoletta | Shohei Ushiruda |
Sciarrone | Alessandro Ceccarini |
Un carceriere | Ivan Caminiti |
Un pastorello | Carola Finotti |
Direttore | Enrico Calesso |
Regia, scene e costumi | Pier Luigi Pizzi |
Disegno luci | Massimo Pizzi Gasparon |
Maestro del Coro | Roberto Ardigò |
Maestro del Coro delle voci bianche | Viviana Apicella |
Orchestra e Coro del Festival Puccini |
Tra i titoli più rappresentati sulle rive del Lago di Massaciuccoli, Tosca viene riproposta anche quest'anno con un allestimento inedito per il Festival Puccini, nato nove anni fa per un'altra arena estiva all'aperto, le Terme di Caracalla. Nell'occasione lo spettacolo recensito su queste pagine da Giuseppe Fasanella e successivamente, nella ripresa del 2017, da Michelangelo Pecoraro. La scelta si è rivelata un omaggio a uno dei maestri della scenografia e della regia operistica italiana, Pier Luigi Pizzi, che ha curato personalmente l'adattamento per il palcoscenico di Torre del Lago.
Lo spettacolo potrebbe apparentemente definirsi “tradizionale” da un duplice punto di vista. Da un lato nel suo narrare la trama del libretto in modo lineare, limitando al massimo e su piccoli dettagli gli interventi sulla drammaturgia (i candelabri restano sul tavolo di Scarpia dopo che questo è stato ucciso; Floria si getta in un non meglio precisato pozzo, unica nota oscura e poco convincente del lavoro registico di Pizzi, che firma anche, come sua abitudine, scene e costumi). Dall'altro lato la scelta di ambientare Tosca in epoca fascista è qualcosa che può essere inquadrato ormai in una ben definita tradizione. Un'opzione che va oltre la ricerca dell'idea nuova (perché questa è per niente nuova) o il cliché registico.
In realtà l'allestimento sfugge alle classificazioni stantie “tradizionale-innovativo”, due termini che non significano nulla, essendo uno spettacolo che vuol semplicemente offrire la personale reinterpretazione del regista della “tradizionale” Tosca ambientata nel Ventennio, offrendone una lettura estetizzante, alla maniera di Pizzi. Scompare la marcata divisione dei tre “luoghi di Tosca”, sostituita da una scena quasi fissa che evoca una Roma non realistica, simbolica e stilizzata, ma allo stesso tempo opprimente. Una Roma dominata da uno spaccato della cupola di San Pietro che nel primo atto inquadra una croce e una riproduzione della prima Pietà michelangiolesca. Regime e Chiesa cattolica sono rappresentate come un'unica forza dittatoriale, non c'è spazio per orpelli e decorazioni; c'è il dipinto di Cavaradossi, ma è rivolto verso l'interno e non è visibile dal pubblico. Tutto è giocato sul bianco e su toni di grigio, come in un vecchio filmato dell'Istituto Luce, toni gelidi accentuati dal disegno luci di Massimo Pizzi Gasparon sui quali spiccano le divise nere di Scarpia e degli sbirri. Le interazioni tra i personaggi sono convenzionali, anche se si percepisce chiaramente il consumato mestiere di Pizzi nell'uso degli spazi.
Una tale visione così coerente e unidimensionale (ma nel complesso convincente) pare condizionare la concertazione di Enrico Calesso, bacchetta di rango che si ricordava più prodiga di colori in occasione della Madama Butterfly andata in scena al Festival Puccini del 2010 (vedi recensione). In questa occasione il direttore appare preciso, funzionale, corretto, equilibrato nei rapporti tra buca e palcoscenico, ma anche poco vario e talvolta al limite della pesantezza, anche se i tempi scelti sono tutt'altro che rilassati. L'Orchestra del Festival Puccini, in buona serata e ben sostenuta dal podio, è capace di apprezzabili trasparenze. Più che discreto è il contributo del Coro diretto da Roberto Ardigò.
Nel ruolo eponimo il soprano previsto per le recite di Turandot, Karine Babajanyan, è stata chiamata a sostituire nella prima la prevista Svetlana Aksenova, quest'ultima nota al pubblico toscano per essere stata protagonista dell'ultima produzione di Madama Butterfly a Firenze (vedi recensione di Silvano Capecchi). La Babajanyan, dal canto suo, si era già ascoltata a Torre del Lago nella Bohème a fianco di Piotr Beczala. In quell'occasione (vedi recensione di chi scrive) era apparsa leggermente sovradimensionata per Mimì e in effetti Tosca sembra convenirle di più. La voce è sonora e ben proiettata, soprattutto nella seconda ottava, anche se le mancano un po' di peso e di velluto al centro, caratteristiche che potrebbero aiutare a caratterizzare meglio il ruolo. Un certo tremolio nell'emissione accentua la sensazione di senilità dei personaggi che interpreta, a dispetto dell'età tutt'altro che matura del soprano armeno, che è comunque sicura lungo tutto l'arco dell'opera e disegna un personaggio nel complesso valido, nel solco della tradizione.
Ivan Magrì è Cavaradossi e anche in questo caso si tratta di un ritorno a Torre del Lago in una parte che gli sta più “giusta”, dopo la Turandot dell'anno passato. Dotato di mezzi dal colore piuttosto chiaro e naturalmente sfogati in acuto, il tenore non mostra alcun problema né in “la vita mi costasse”, né in “Vittoria!”, né in “Trionfal, di nova speme” del terzo atto. La sua espressività è generosa e un po' brada e nei cantabili al centro la voce manca di polpa, ma la prestazione nel corso della serata è in crescendo e lo trova pronto all'appuntamento con un “E lucevan le stelle” interpretato con molta partecipazione.
Si impone senza riserve lo Scarpia di Roberto Frontali, dalla vocalità ancora intatta e sicura dopo una carriera ormai lunga, il quale disegna un personaggio un po' a senso unico, machista, sbrigativo e spietato, anche se mai volgare, molto ben calato nella lettura registica, sulla linea di quanto propose nella Tosca con la regia (anche qui nel filone... “dittatoriale”) di Luc Bondy che recensii nel 2015 al Metropolitan di New York .
Giulio Mastrototaro è un Sagrestano ben cantato e interpretato senza eccessi, William Corrò è un efficace Cesare Angelotti dalla bella voce e dalla presenza scenica spigliata. Shohei Ushiruda sfoggia una dizione pulita ed è corretto come Spoletta, Alessandro Ceccarini è un tonante Sciarrone, Ivan Caminiti è un funzionale carceriere e Carola Finotti cesella bene l'arietta del Pastorello.
Pubblico piuttosto numeroso, al pari della Butterfly della serata immediatamente precedente (vedi recensione) e buon successo per tutti, con Pizzi che raccoglie alla fine gli applausi con una verve e una vitalità che fanno invidia a chi ha la metà dei suoi anni.
la recensione si riferisce alla Prima del 16 luglio 2022.
Fabrizio Moschini