Manon Lescaut | Rocìo Pérez |
Il marchese d'Hérigny | Armando Noguera |
Lescaut | Francesco Salvadori |
Des Grieux | Sébastien Guèze |
Madame Bancelin | Manuela Custer |
Renaud | Guillaume Andrieux |
Marguerite | Lamia Beuque |
Gervais | Anicio Zorzi Giustiniani |
Monsieur Durozeau | Paolo Battaglia |
Un sergente | Tyler Zimmermann |
Un borghese | Juan José-Medina |
Zaby | Albina Tonkikh |
Direttore | Guillaume Tourniaire |
Regia | Arnaud Bernard |
Scene | Alessandro Camera |
Costumi | Carla Ricotti |
Maestro del coro | Ulisse Trabacchin |
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino | |
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Torino |
Con la Manon Lescaut di Daniel Auber si chiude l’ideale trilogia, ideata dal Regio di Torino, dedicata all’omonima eroina frutto della penna dell’abbé Prévost. Dopo Puccini e Massenet (di cui parleremo la prossima settimana), con il rispettabile Auber (nella sua lunga esistenza il compositore accumulò prestigiosi incarichi divenendo il più significativo esponente dell’opéra-comique nella Francia di Luigi Filippo e del Secondo Impero) risaliamo alle origini con la prima trasposizione musicale del celebre e scandaloso romanzo settecentesco.
Ad oltre centosettant’anni dal debutto parigino, e a quaranta dalla prima nazionale avvenuta a Verona, il titolo è giunto per la prima volta a Torino affidato alla guida registica di Arnaud Bernard. Rispetto alle due più celebri versioni musicali di Massenet e Puccini, il libretto di Eugène Scribe interviene con notevole licenza sulle vicende amorose di Manon e del Cavaliere Des Grieux narrate da Prévost adattando i due protagonisti ai gusti della borghesia in ascesa della Francia della metà dell’Ottocento.
Nonostante ciò, e seppur edulcorato per le coscienze benpensanti d’un tempo, il testo di Scribe mantiene intatto il nucleo del romanzo dando spazio, con i dovuti compromessi dettati dagli avvenimenti, alla fedeltà di fondo di Manon nei confronti Des Grieux. In un’ottica simile si spiega bene lo spazio particolare riservato, più che al giovane cavaliere, al Marchese d’Hérigny, l’attempato aristocratico che mira alle grazie di Manon per riscattarsi unicamente, con un atto di generoso perdono, in punto di morte.
La musica di Auber – autore di una cinquantina di opere e oggi, almeno in parte, ricordato per La muta di Portici e Fra diavolo – si alterna felicemente con la trama narrativa dei dialoghi parlati (tipici dell’opéra-comique) e uno stile abile nel coniugare la briosità ritmica di gusto rossiniano con una piacevole vena melodica, capace di delineare con tenerezza e poesia l’infelice storia dei due amanti. La partitura si eleva poi nel finale con la pregnanza espressiva dell’apertura corale del duetto degli innamorati destinato a concludersi con la morte dell’eroina in un’aura di redenzione che il regista ha efficacemente sottolineato con la partecipazione del coro ed enormi pannelli, calati dall’alto, raffiguranti i volti delle tre Manon. Tre Manon che, nelle differenti versioni, rappresentano un unico personaggio colto secondo prospettive, non unicamente musicali, differenti.
L’immediata forza comunicativa della musica di Auber, ai nostri orecchi un po’ ingenua e lontana dai nostri gusti (con numeri strutturati secondo lo schema del couplets, tipico della musica francese dell’epoca), è stata corroborata dalla regia di Bernard il quale, proseguendo il percorso della lettura cinematografica, ha calato la vicenda nel cinema muto di un secolo fa evocando così, con affettuosa simpatia, il carattere antiquato (rispetto a Massenet e Puccini) della partitura.
Ecco così gli omaggi a Georges Méliès (pioniere del cinema francese) e Alice Guy con proiezioni cinematografiche sempre appropriate e incisive, felicemente inserite durante i non pochi interventi strumentali (oltre all’Ouverture, gli intermezzi, le transizioni e le introduzioni d’atto) e poi, ancora, la ricostruzione in scena dello studio di Méliès dove si sta appunto girando un film su Manon.
Complice il convincente impianto scenico di Alessandro Camera (particolarmente riuscito anche nell’inquadratura prospettica) e i costumi bianco e nero di Carla Ricotti, la messinscena ha ben raffigurato un Settecento visto con il gusto del Novecento proponendo la sontuosità rococò tipica dello stile Luigi XV.
Rocío Pérez ha restituito felicemente il carattere ancora adolescenziale della protagonista sfoggiando una bella vocalità estesa e ben disimpegnata nelle numerose agilità. La cantante ci è particolarmente piaciuta nei momenti malinconici e dolenti e soprattutto nel finale nella toccante intonazione di “Comme un doux rêve”.
Musicalmente in secondo piano rispetto a Manon e al personaggio del marchese d’Hérigny, il Des Grieux di Sébastien Guèze non ci ha pienamente convinti. Con un’emissione non ben proiettata, il tenore francese ci è parso infatti vieppiù vocalmente indebolito nel corso della recita.
Complessivamente buona ma migliorabile la galanteria musicale di Armando Noguera nei panni del marchese d’Hérigny. Il ruolo del nobile libertino, al quale la partitura riserva numerosi numeri differenti per carattere, si presterebbe a varie possibilità espressive per un baritono. Opportunità che il giovane e vocalmente valido cantante coglie solo in parte.
Soddisfacenti le numerose parti di contorno: l’eccellente baritono Francesco Salvadori (Lescaut), il soprano Lamia Beuque (Marguerite) affettivamente partecipe di Manon, il tenore Anicio Zorzi Giustiniani (Gervais), il mezzosoprano Manuela Custer una Madame Bancelin di gran sfoggio musicale, il baritono Guillaume Andrieux (Renaud), il basso Paolo Battaglia (Durozeau) e, infine i tre artisti provenienti del Regio Ensemble, Albina Tonkikh (Zaby), Tyler Zimmermann (Un sergente).
Brillante e molto reattiva la direzione di Guillaume Tourniaire con un coro, preparato da Ulisse Trabacchin, sempre preciso e curato nella vocalità. Ha fatto piacere assistere, la sera della prima, ad una buona partecipazione di pubblico e ad una meritata calorosa accoglienza.
La recensione si riferisce alla prima del 17 Ottobre 2024
Lodovico Buscatti