Mimì | Maria Teresa Leva |
Rodolfo | Iván Ayón Rivas |
Musetta | Hasmik Torosyan |
Marcello | Massimo Cavalletti |
Schaunard | Tommaso Barea |
Colline | Alessio Cacciamani |
Benoît e Alcindoro | Matteo Peirone |
Parpignol | Alejandro Escobar |
Sergente dei doganieri | Desaret Lyka |
Un doganiere | Gabriel Alexander Wernick |
Il venditore di prugne | Franco Traverso |
Un ragazzo | Matilda Elia |
Direttore | Daniel Oren |
Regia | Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi |
Scene | Leila Fteita |
Costumi | Nicoletta Ceccolini |
Maestro del coro | Andrea Secchi |
Coro e Orchestra del Teatro Regio di Torino | |
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Torino |
Ad un anno dal Nabucco ancora in era a.c. (ante Covid), pur con un imprevisto tecnico dovuto al difettoso funzionamento della piattaforma telematica che ha posticipato la prima in streaming, anche il sipario del Regio di Torino si è alzato su una nuova produzione di Bohème. Titolo fedele al teatro torinese nei suoi momenti gioiosi e difficili e già programmato nella scorsa stagione, il ritorno del capolavoro pucciniano coincide con il 125° anniversario della prima rappresentazione avvenuta proprio al Regio in una nevosa serata del 1* Febbraio 1896 con la direzione di Arturo Toscanini. Nella città subalpina, vividamente raccontata proprio in quel 1896 da Edmondo De Amicis nel geniale reportage “La carrozza di tutti”, la première fu duramente contestata dalla critica e osannata invece dal numeroso pubblico presente in sala. Il seguito lo conosciamo e ad oltre un secolo la Bohème rimane tra i primi cinque titoli operistici più amati al mondo.
Dopo il sontuoso e classico allestimento del centenario curato da Giuseppe Patroni Griffi (teletrasmesso nel 1996 con protagonisti Luciano Pavarotti, Mirella Freni e Nicolaj Ghiaurov) e la graffiante attualizzazione compiuta alcuni anni fa da Alex Ollé, si è optato ora per una messinscena filologica per la quale i registi Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi hanno ricostruito l’allestimento originalepartendo dai bozzetti realizzati da Adolf Hohenstein per la prima rappresentazione oggi custoditi presso l’Archivio storico di Ricordi.
Fa una certa emozione rivedere oggi scenografie fatte di pannelli e teli dipinti (realizzati con cura da Leila Fteita e Rinaldo Rinaldi) con i costumi frutto del sapiente lavoro di Nicoletta Ceccolini.Il risultato non è stato uno sterile esercizio di stile per confezionare uno spettacolo destinato al pubblico più tradizionalista, agli ascoltatori che molti, non sempre simpaticamente, definiscono le “care salme”. La Bohème che abbiamo visto ci ha colpito per freschezza (complice anche un cast vocale giovane e particolarmente affiatato) e per la sua commovente semplicità, forse qualcuno potrà dire naif, nel riportarci schiettamente nella spensierata povertà del quartiere latino sotto il regno Luigi Filippo. Una Bohème antica ma allo stesso tempo anche nuova, nel far piazza pulita di incrostazioni che hanno sovraccaricato e a volte edulcorato la vicenda.
Certo le esigenze del distanziamento fisico hanno spinto verso una recitazione piuttosto statica che poco o nulla ha comunque tolto alla spontaneità e sincerità di sentimenti espressi dai personaggi. A venticinque anni dalla Bohème del centenario, Daniel Oren è tornato al Regio in stato di grazia con una direzione ispirata e rifinita nel respiro, nella resa dei colori e nell’attenta ed elegante intesa con le voci.
Tecnica rigorosa e voce dallo smalto radioso, magnificamente sviluppata e potente negli acuti, Ivàn Ayòn Rivas è stato un Rodolfo ingenuamente tenero più che piacione, spigliato e accattivante anche dal punto di vista scenico. Oltre alla sicurezza musicale, il giovane tenore peruviano (non ancora trentenne) ha sfoggiato un fraseggio curato e una straordinaria proprietà d’accento. Qualità non così comuni per un artista straniero e anagraficamente ancora in erba.
Determinata nei propri sentimenti più che fragile fanciulla minata dal “mal di petto”, la Mimì di Maria Teresa Leva ci è piaciuta per consapevolezza interpretativa (sappiamo che l’artista ama approfondire a lungo i personaggi che deve affrontare) e per brillantezza e vocale. Ignara delle sdolcinature di tante Mimì “d’antan”, il soprano ha mostrato non solamente una buona espansione vacale ma anche una eccellente varietà di colori e sfumature, capace di modulare dal lirismo sognante del primo atto, al canto disinvolto e festaiolo del secondo, alla drammatica consapevolezza del proprio destino nel terzo, alla soavità crepuscolare dell’ultimo.
Massimo Cavalletti, baritono ormai apprezzato a livello internazionale, è stato un Marcello ideale per maturità e giovanile ardore, ben controllato nella sua freschezza vocale. L’avvenente Musetta di Hasmik Torosyan ha saputo unire alla sensualità la dolcezza e soavità del canto arricchendo d’intensità la figura della civettuola fanciulla. Ardimentoso e musicalmente affascinante lo Schaunard di Tommaso Barea. Riflessivo ma lontano da ogni magniloquenza, il filosofo Colline di Alessio Cacciamani. L’inossidabile Matteo Peirone ha dato un’ottima lezione di stile musicale ricoprendo con impeccabile gusto sia il ruolo di Benoît che quello di Alcindoro. Soddisfacenti tutte le altre parti: Alejandro Escobar (Parpignol), Desaret Lyka (sergente), Gabriel Alexander Wernick (un doganiere), Franco Traverso (un venditore) e la disciplinata Matilda Elia (un ragazzo). Il coro, purtroppo per necessità privato delle voci bianche, ha dato prova di grande professionalità, grazie all’attenta preparazione di Andrea Secchi, andando in scena con la mascherina. Con questo spettacolo ci sembra che oggi il Regio possa guardare al futuro con ritrovato orgoglio e con la meritata aspettativa per un futuro nel quale già dal mese prossimo si preannuncia l’atteso appuntamento con Riccardo Muti e Così fan tutte.
La recensione si riferisce alla prima in streaming del 4 Febbraio 2020
Lodovico Buscatti