Carmen | Varduhi Abrahamyan |
Don José | Andrea Carè |
Micaela | Marta Torbidoni |
Escamillo | Lucas Meachem |
Frasquita | Sarah Baratta |
Mercedes | Alessandra Della Croce |
Dancairo | Gabriel Alexander Wernick |
Remendado | Cristiano Olivieri |
Morales | Costantino Finucci |
Zuniga | Gianluca Breda |
Direttore | Giacomo Sagripanti |
Regia | Stephen Medcalf |
Scene e costumi | Jaie Vartan |
Luci | Simon Corder (riprese da John Bishop) |
Maestro del coro | Andrea Secchi |
Orchesta e Coro del Teatro Regio di Torino | |
Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi” | |
Allestimento Teatro Lirico di Cagliari |
Dopo “I pescatori di perle” dell’inaugurazione di stagione, il Regio di Torino è tornato a Bizet con la Carmen proposta in un allestimento, nato al Lirico di Cagliari, che nel 2006 valse il premio Abbiati al regista Stephen Medcalf. Con il trascorrere del tempo la produzione ha evidenziato non unicamente la perdita di originalità della lettura ma anche limiti tecnici di un lavoro nato per un teatro dalle dimensioni sceniche maggiormente ridotte rispetto a quelle torinesi. Il regista inglese ha voluto posticipare la fosca vicenda, com’è noto tratta da una novella di Mérimée, dalla prima metà dell’Ottocento al Novecento, nel periodo immediatamente successivo alla guerra civile spagnola e all’affermazione del regime totalitario di Franco. Una scelta dettata, secondo le sue stesse dichiarazioni, dall’intento di ricercare un “ruvido realismo” in un contesto sociale, secondo lui, prossimo all’evocazione di Mérimée.
A parte le nostre riserve circa il parallelismo tra i due diversi momenti storici e la reale adesione di Bizet ad una poetica fedelmente realistica al contesto andaluso, il numeroso pubblico della prima ha avuto modo di rendersi conto di come il regista abbia voluto accentuare il clima claustrofobico della vicenda sacrificando il colore mediterraneo e variopinto che sono nel DNA della celebre opéra – comique. D’altronde l’espressione di un senso di tensione pare essere un elemento ricorrente nelle realizzazioni di Medcalf: ricordiamo un allestimento del Flauto Magico di una ventina d’anni fa nel quale la prospettiva della scena si chiudeva in uno spazio vuoto e totalmente buio. Nella Carmen l’essenzialità dell’impostazione si è affiancata ad elementi (gli enormi muraglioni sbrecciati) atti a chiudere la vicenda eliminando la possibilità di apertura su qualsivoglia orizzonte. In questo contesto si sono armonizzati bene i costumi anni Quaranta realizzati da Jamie Vartan (autore anche delle scene) e le luci frequentemente crepuscolari di Simon Corder (riprese da John Bishop).
Sul piano musicale Giacomo Sagripanti, al debutto al Regio, ha assicurato una direzione corretta e scorrevole ma priva di qualsivoglia fantasia. L’orchestra del teatro ha suonato con la consueta precisione ma comincia a farsi sentire la mancanza di un direttore musicale, un “allenatore” in grado di forgiare e incoraggiare la squadra. Sul palcoscenico Varduhi Abrahamyan ha indossato i panni della protagonista accentuandone i tratti sfrontati e autorevoli e mettendo invece in secondo piano – ed è stato un peccato – quelli seducenti e manipolatori, caratterizzanti la femme fatale. La cantante armena si è fatta apprezzare, dal punto di vista musicale, per la corposità del registro (specialmente quello medio-basso) e per la duttilità del fraseggio. Grazie ad una recitazione particolarmente credibile, l’artista ha espresso con convinzione l’autodeterminazione dell’eroina e il suo viscerale desiderio di libertà vissuto sino alle estreme conseguenze.
Particolarmente atteso nella sua città natale, Andrea Carè ha affrontato con sicurezza il ruolo di Don José offrendone un’interpretazione convincente nel delineare una figura i cui rassicuranti valori etici e morali sono fatalmente messi alla prova dall’incontro con una passione autentica e travolgente. Un percorso di caduta nell’abisso dei sentimenti umani nel quale il tenore ha avuto modo di palesare la propria solidità tecnica e l’attenzione alla resa emotiva del personaggio. Carè è stato particolarmente sensibile alle sfumature del canto e nella resa degli accenti melanconici del giovane caporale dei Dragoni (soprattutto nel duetto del primo atto con Micaela). Oltre a ciò, il tenore ha sfoggiato un’emissione sempre fluida, ben modulata nelle mezze voci (come è avvenuto per “La fleur que tu m’avais jetée”) e correttamente focosa nel drammatico confronto finale con la protagonista.
Pienamente soddisfacenti le prove di Gianluca Breda e Gabriel Alexander Wernick i quali hanno risolto con sicurezza le parti, certamente non banali, di Zuniga e del Dancario. Non pienamente positivo il nostro parere su Lucas Meachem al debutto nella parte di Escamillo. Il baritono americano ha mostrato di possedere una voce dallo smalto brillante e ben rifinita (soprattutto nelle zone centrali ed acute) ma la sua interpretazione ci è parsa, complessivamente, ancora debole nella definizione di quel carisma fascinoso che costituisce il connotato principale del Toreador.
Marta Torbidoni è stata una Micaela giustamente pudica ma un po’ limitata nel riproporre il cliché della sprovveduta ragazzina di campagna più supplichevole e docile che risoluta nel riportare Josè sulla retta via degli affetti familiari. La voce del soprano ci è sembrata piacevolmente soave nel duetto del primo atto e toccante negli accenti in “Je dis que rien ne m’épouvante”, momento più alto della sua prova. Avvenenti e bravissime anche le zingare cartomanti: Alessandra Della Croce (Mercedes), timbro denso e focoso, e Sarah Baratta (Frasquita), dotata quest’ultima di una voce limpida e impreziosita di sovracuti sgargianti e ben rifiniti. Parimenti positive le prove di Cristiano Olivieri (il Remendado) e di Costantino Finucci (Morales). Andrea Secchi ha preparato con la consueta premura il coro che ha eccellentemente sostenuto i numerosi interventi. Disciplinate e precise anche le voci bianche istruite da Claudio Fenoglio. Il pubblico, come si diceva prima numeroso, nel corso della serata si è mostrato piuttosto indisciplinato (con frequenti e fastidiosi ingressi in sala a spettacolo iniziato) e, al termine, ha espresso un consenso senza infamia né lode.
La recensione si riferisce alla prima del 10 dicembre 2019.
Lodovico Buscatti