Anita | Chiara Guerra |
Giuseppe | Alberto Petricca |
Direttore | Marco Angius |
Regia e scene | Andrea Stanisci |
Costumi | Clelia De Angelis |
Luci | Eva Bruno |
Ensemble Calamani del Teatro Lirico Sperimentale |
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Coro e tecnici del Teatro Lirico Sperimentale |
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Maestro del coro | Mauro Presazzi |
Assistente alla direzione musicale |
Caterina Centofante |
Come è noto molti teatri lirici da diverso tempo non investono con una certa dovizia verso produzioni che siano davvero interessanti. Questo perché il teatro lirico è spesso oggetto di varie rivisitazioni compositive e al contempo non si riesce a comprendere come in Italia l’evoluzione che viene dagli anni settanta sia oggi compiuta. Pertanto, per naturali esigenze ministeriali, si commissionano composizioni di teatro lirico che spesso iniziano e finiscono nel tempo di rappresentazione. Diversa è la questione di Anita l’opera che il Teatro Sperimentale Belli di Spoleto ha commissionato al compositore Gilberto Cappelli il quale ha voluto dedicare un lavoro assolutamente sperimentale alla figura di Anita Garibaldi. Una mitologia della storia, una riscoperta attraverso la possibilità sonora di far rivivere un personaggio tanto importante quanto scomodo. Cappelli è molto esperto, riesce a creare quindi una partitura assolutamente corale, dove il tutto si svolge in un tempo unico, di un’unica scena traslata che è solo la sintesi della vita di Anita. È quindi una lettura umanistica, di grande bellezza. Cappelli non va nello scandaglio della forma atonale, sceglie la strada modale creando una partitura che inizia in re minore e finisce nella stessa tonalità. È allora un susseguirsi di emozioni, dove al centro della scena è proprio l’impatto musicale dell’autore. Cappelli crea una possibile opera immersiva, possibile perché il suo esperimento è quello di portare all’interno del suo suono lo spettatore. Incantamento. Sulla base quindi di notizie storiche e su un libretto scritto da Andrea Cappelli con Raffaella Sindoni assistiamo ad una vera Odissea. L’inizio e la fine di un viaggio. Di una grande umanità. Dove la cifra di Cappelli è l’interpretazione musicale delle emozioni dei protagonisti. Due in scena Anita e Giuseppe. Più il coro che ha un ruolo di assorbimento delle emozioni. L’orchestra funge da eco, quasi una base sicura di ritorno inglobante del suono. È tutto quindi scorrevole. La storia sembra scritta per una forma di spirituale sintesi musicale. In questo Cappelli è non solo bravo, ma nella sua scrittura è molto evidente l’umiltà della vita umana.
Interpreti della prima tenutasi al Teatro Caio Melisso di Spoleto il soprano Chiara Guerra nel ruolo della protagonista ed il baritono Alberto Petricca nel ruolo di Garibaldi. La Guerra ha esordito in un ruolo molto difficile con grande padronanza tecnica ed espressiva dando l’impressione che la parte scritta da Cappelli le fosse particolarmente congeniale. La duttilità vocale, il profondo senso della ricerca del suono in ogni nota hanno permesso a questa giovane artista di dare una lettura molto convincente di Anita. Soprattutto in quella disperazione terminale e tanto pucciniana dell’addio alla vita. In questo è stata talmente brava da far arrivare agli spettatori quella idea citata di introspezione e di partecipazione immersiva.
Mentre Petricca dal canto suo è stato attento a non travalicare la scena di Anita. Il suo ruolo di presenza quasi a sostegno di Anita, non era facile; il giovane baritono ha saputo ben realizzare anche vocalmente ciò che richiedeva Cappelli. La sua elaborazione ha portato a dare al personaggio uno spessore importante. Infatti Garibaldi diventa colui che sostiene la lotta e la presenza di Anita. Nella sua opera Cappelli ha operato uno stravolgimento della visione comune, dando finalmente ad Anita il giusto ruolo non solo nella storia, ma nella presenza umana. Petricca non ha mai usato l’eccesso del suono, anzi, nel suo ruolo così complesso è stato molto bravo da tramutare quel transfert sonoro in un transfert musicale sfoggiando una tecnica da cantante esperto, con una forte preponderanza verso i ruoli drammatici del tardo romanticismo. È stato molto coerente con il rendere Giuseppe Garibaldi un personaggio che ama fino allo stremo Anita. Ed in sintesi la storia di Cappelli è questa. Un sentimento prolungato di una profonda relazione d’amore. Coraggiosa e umanamente umile.
Il coro del Teatro Lirico Sperimentale ha fatto quello che un coro quasi bachiano doveva fare in quella che di Cappelli è una possibile idea di cantata sacra. Il coro come in Bach delle Passioni, sente la pietà degli interpreti e ne crea una possibile dolcezza d’intenti.
La regia di Andrea Stanisci va proprio lì dove vuole Cappelli, in un percorso a più voci di un movimento che è solo il segno psicologico dei personaggi. Lui è proprio bravo a far fare tutto agli interpreti, compreso il coro, senza clangore, con tanta sensibile forma di silenzio scenico. Con una impostazione scenica talmente lieve da apparire traslata. Una cosa molto rara. Lo stesso dicasi dell’uso altrettanto silenzioso delle luci di Eva Bruno che si è avvalsa degli inserimenti elettronici in scena. Di grande segno i costumi di Clelia De Angelis.
Direttore del prezioso coro è stato Mauro Presazzi sicuramente come Marco Angius copartecipi di una definizione di una partitura di grande levatura. Angius a capo dell’Ensamble Calamani riesce proprio a fondere tutte le voci in questo maestoso corale, riuscendo in pieno ad evidenziare quella idea narcisisticamente bella di Gilberto Cappelli che lascerà al futuro un riferimento imprescindibile di opera immersiva.
La recensione si riferisce alla recita del 24 agosto 2024.
Marco Ranaldi