L'Umana Fragilità | Danilo Pastore |
Tempo | Gianluca Margheri |
Fortuna | Chiara Nicastro |
Amore | Paola Valentina Molinari |
Giove | Gianluca Margheri |
Nettuno | Federico Domenico Eraldo Sacchi |
Minerva | Arianna Vendittelli |
Giunone | Candida Guida |
Ulisse | Mauro Borgioni |
Penelope | Delphine Galou |
Telemaco | Valerio Contaldo |
Antinoo | Federico Domenico Eraldo Sacchi |
Pisandro | Danilo Pastore |
Anfinomo | Jorge Navarro Colorado |
Eurimaco | Žiga Čopi |
Melanto | Charlotte Bowden |
Eumete | Luca Cervoni |
Iro | Robert Burt |
Ericlea | Margherita Sala |
Regia, scene e costumi | Pier Luigi Pizzi |
Luci | Oscar Frosio |
Accademia Bizantina | |
Direttore Ottavio Dantone |
Gli Eroi Erranti in Cerca di Pace sono i protagonisti della Trilogia d’Autunno del Ravenna Festival, emanazione della stagione estiva che di anno in anno si fa sempre più interessante e ormai vive di vita propria. Per primo scende in campo Ulisse, titolare del capolavoro di Claudio Monteverdi Il ritorno di Ulisse in patria e con lui la sua eroina, Penelope, statica ma in compenso campionessa di resistenza passiva e di tenacia. Con Henry Purcell seguirà a breve Enea, più controverso, meno stanco di guerra e rapido a tagliare i ponti con Didone, grande donna e regina mai abbastanza compianta.
Per accogliere gli erranti Pierluigi Pizzi progetta uno spazio che sarà comune a entrambi i miti. La patria di Ulisse è un ambiente bianco, rettangolare con pareti e porte. Il soffitto è nero e si suppone assente, come in un patio esposto a un cielo notturno. Lo spazio non è chiuso, le porte si aprono e scoprono altri luoghi, invisibili ma dai colori vividi. La perfezione delle proporzioni, ammirevole, e la successione delle porte sulle pareti sono sufficienti a definire uno spazio spoglio e ricettivo, ideale per mettere in risalto le figure umane che qui dentro assumono un rilievo archetipico. Quanto di più adatto ad una vicenda che affonda nel mito e nell’epos per rinnovare, attraverso il testo di Giacomo Badoero e la musica di Claudio Monteverdi, sentimenti, dolori, passioni, pensieri e moti dell’animo variabili nei contesti ma non nella sostanza. Alla sobrietà della scena fa riscontro l’austerità dei costumi, dei gesti e degli oggetti, pochi ma simbolici: il telaio, il letto nuziale, il trono. Alcune aggiunte definiscono i personaggi, come gli attributi degli dei (il fulmine, il tridente, l’elmo) o il bastone da mendicante di Ulisse sotto false spoglie. Un colpo di scena che è anche un colpo di genio fa precedere Giove da un falconiere che conduce un rapace vivo ad ali spiegate, un prodigio. La regia di Pier Luigi Pizzi è fedele al testo e al mito, con il merito di non imporre sovrastrutture interpretative ad un immaginario che rientra di diritto nel bagaglio di ogni spettatore senziente. Pizzi inoltre riesce a definire con pochi tratti efficienti i diciannove personaggi che agiscono sulla scena, di cui nessuno è trascurabile né dal punto di vista drammaturgico che da quello musicale. I personaggi sono affidati a diciassette cantanti, di cui tutti, e qui assistiamo al secondo prodigio, perfettamente in grado di restituire il modo del recitar cantando, progetto musicale che resiste quando tutti gli interpreti sono in grado di reggere la verosimiglianza della lingua cui non basta la pronuncia perfetta, ma servono anche il suono, la cadenza, l’aderenza al senso delle parole, la loro fusione con la musica da cui sorgono, tutto ciò che attiene all’ars retorica richiamata da Ottavio Dantone nelle note di presentazione. In un edificio di tale complessità è sufficiente una frase malposta per minare le fondamenta e rompere l’incanto. Ciò che non è accaduto in questo Ulisse in cui si è presentata nella sua concretezza la magnificenza del recitar cantando. Gran merito di un cast in cui peraltro compaiono cinque cantanti non di madrelingua.
Ottavio Dantone ha tenuto le fila dell’impresa con la competenza, la sensibilità e l’apparente semplicità con cui fa apparire facili cose difficilissime. Ha sistemato l’orchestra ai piedi del palcoscenico ma non nella buca, in uno spazio aperto alla platea, per far correre il suono più liberamente. Se gli intermezzi puramente orchestrali sono stati incantevoli, ciò che ha più impressionato è la totale fusione tra strumenti e cantanti, grazie all’eccellenza dell’Accademia Bizantina, indiscutibile.
Ogni interprete merita una citazione. Mauro Borgioni, Ulisse, esordisce con un monologo in cui si mischiano ricordi, invettive, flusso di coscienza, invocazioni agli dei, sostenuto con umana dignità, una cifra interpretativa che lo sposta dall’aura del mito. Delphine Galou disegna con finezza una Penelope colma di sottigliezze psicologiche, ferma nel rifiuto dei proci molesti, pervicace nel disincanto quando teme di essere disillusa, e infine composta in una serenità che arriva un po’ alla volta. Il fronte degli dei ha forti sostegni. Arianna Vendittelli è lucida e tagliente come ci si aspetta da Minerva, Gianluca Margheri è perfetto come Giove con cui condivide non solo l’accento assertivo del dio, ma anche muscoli che finora abbiamo visto solo nei quadri. Federico Domenico Eraldo Sacchi è il basso profondo che ci vuole per Nettuno, ma anche per il procio Antinoo, l’ultimo a fallire con l’arco di Ulisse. Candida Guida è una giovane e aggraziata Giunone che per una volta lavora per la pace. Sull’isola vivono anche alcuni mortali. Telemaco riconosce presto il padre e cerca di mediare con la madre incredula, il tutto a carico di Valerio Contaldo, tenore dal timbro accattivante, capace di dare consistenza al personaggio. La coppia Melanto/Eurimaco, giovani amanti senza pensieri, è in mano a due giovani cantanti molto interessanti: il soprano Charlotte Bowden, britannica dalla pronuncia infallibile e il tenore Žiga Čopi, forse sloveno, voce incantevole e ottima pronuncia. Il controtenore Danilo Pastore compare dapprima nel prologo in cui, nudo e candido come farina, presta la voce delicata e il corpo alto e sottile all’ Umana Fragilità. Più avanti, rivestito in abiti sontuosi, riappare come Pisandro, altro procio destinato alla smacco dell’arco. Jorge Navarro Colorado, Anfinomo completa con merito il gruppo dei proci. Luca Cervoni dà consistenza a un ruolo breve ma tutt’altro che secondario, è Eumete, colui che accoglie amichevolmente Ulisse appena giunto a Itaca. Iro è un personaggio di grande rilievo, un parassita che vive per bere e mangiare, ributtante per volgarità. Lo interpreta un veterano del ruolo, Robert Burt tanto abietto quando si compiace della crapula quanto patetico nel lamento che precede il suicidio, in apertura del terzo atto, cantato nel bello stile dell’epoca. Gianluca Margheri, il Tempo, Chiara Nicastro, la Fortuna e Paola Valentina Montanari, Amore sono i protagonisti del prologo e pertanto hanno l’onere di dare il tono alla rappresentazione: missione compiuta. Conclude la vicenda con il giusto pathos Margherita Maria Sala nel ruolo di Ericlea, la nutrice che riconosce Ulisse senza lasciare dubbi.
Il pubblico, molto internazionale, ha accolto con il dovuto entusiasmo tutti gli artisti, artefici di una serata memorabile, con una speciale ovazione per il falco che ha aggiunto bellezza a bellezza.
La recensione si riferisce alla Prima del 15 novembre 2024.
Daniela Goldoni