Il diavolo | Luca Micheletti |
Il soldato | Massimo Scola |
Il narratore | Valter Schiavone |
La principessa | Lidia Carew |
Il diavolo (scene danzate) | Andrea Bou Othmane |
Violino | Daniele Richiedei |
Contrabbasso | Gianpiero Fanchini |
Clarinetto | Giuseppe Bonandrini |
Fagotto | Anna Maria Barbaglia |
Cornetta | Marco Bellini |
Trombone | Devid Ceste |
Percussioni | Francesco Bodini |
Direttore | Angelo Bolciaghi |
Regia e ideazione scenica | Luca Micheletti |
Assistente alla regia | Francesco Martucci |
Direttore della fotografia | Davide Maldi |
Assistente ai movimenti scenici | Silvia Illari |
Sculture | Luigi Casermieri e Liliana Confortini |
Disegno luci | Fabrizio Ballini |
Coproduzione Compagnia teatrale I Guitti, CamerOperEnsemble, Fondazione Ravenna Manifestazioni |
Come scritto più volte su queste pagine, poter vedere una produzione operistica in tempo di Covid impone scelte che almeno per ora, e non si sa fino a quando, sembrano inevitabili: la prima è quella della diffusione via streaming, e a seguire ci sono la ricerca di titoli agili da mettere in scena e/o la forma concertante per quelli del grande repertorio. Ciò non toglie che un progetto artistico dietro queste scelte sia non solo auspicabile ma addirittura conditio sine qua non per cercare di continuare a fare cultura attraverso il teatro in musica. Si può dire che la scelta di mettere in scena l’Histoire du soldat di questi tempi sia quasi inevitabile: agile è agile, per organico e durata, ed inoltre quest’anno ricorrono i cinquant’anni dalla morte del compositore. Ma è soprattutto il contesto storico sociale in cui è immersa la sua genesi a farne quasi un manifesto dell’Opera al tempo del Covid. La natura di “storia musicale” dell’Histoire, non opera in senso stretto perché priva di parti realmente cantate ma con un solidissimo humus melodrammatico, ha permesso una serie di adattamenti più o meno riusciti della sua fruizione che sono andati dalla completa riscrittura del testo narrativo alla compressione di tutti i personaggi in un’unica voce narrante alla commistione con altre composizioni anche non dell’autore.
La produzione ravennate sceglie invece di mantenere lo stesso testo sul quale Stravinskij lavorò con l’amico scrittore Charles-Ferdinand Ramuz, in una nuova traduzione ritmica italiana a cura del regista Luca Micheletti e di Giusi Ceccaglini, recuperando inoltre quattro scene non presenti nel rifacimento che andò in scena nel 1924 a Parigi al Théâtre des Champs-Élysées, prima occasione di rivedere l’opera dopo la prima assoluta a Losanna il 28 settembre 1918 e che divenne poi la base per tutte le successive messe in scena (per quanto possa valere il concetto di “versione corrente” per una composizione come questa). Nelle note di regia, inoltre, Micheletti scrive che “le evidenti analogie con il periodo storico in cui l’opera fu creata, la ricorrenza in memoria di Stravinskij, la dimensione quasi cameristica che risulta un vantaggio di fronte alle correnti restrizioni, l’attualità del tema – quello della ricerca della felicità e della riflessione su ciò che è essenziale e ciò a cui possiamo rinunciare…Tutto concorre a fare di questa produzione una magica coincidenza”, riferendosi anche all’ondata di epidemia Spagnola che allora stava imperversando per il mondo, esattamente come ora fa il Covid: nulla da attualizzare quindi rispetto a quanto l’autore aveva scritto in un mondo tormentato da guerra ed emergenza sanitaria.
Unico cambiamento di rilievo è stato l’inserimento con funzione di intermezzo dopo la scena della vecchia mezzana dei Tre pezzi per clarinetto solo, scritti nel 1919 con dedica al mecenate svizzero Werner Reinhart che contribuì in modo determinante alla prima rappresentazione elargendo cospicue risorse economiche, ed eseguiti con bella unità stilistica rispetto al resto dell’opera.
La cifra interpretativa di questa produzione sembra essere la sconfitta: una sconfitta cupa e senza rimedio che investe il soldato fin dal suo primo cedimento al diavolo, quando si accorge che i supposti tre giorni del tempo passato con lui sono in realtà tre anni e lo hanno privato degli affetti più cari. Allora sotto una Pastorale di grande intensità drammatica medita il suicidio con la propria pistola, avvicinata e allontanata alla tempia in un continuo andirivieni. La sua strada è segnata, e da quel momento qualunque tentativo di ritrovare la felicità apparirà inesorabilmente segnato dal principio. Appare chiaro nella visione registica come anche la principessa non sia mai stata abbandonata veramente dal diavolo: è lui nel dialogo che precede la Marcia finale a convincere il soldato a tornare nel suo paese e a cadere definitivamente nel suo dominio, un’altra anima fra le tante simboleggiata dal violino che viene appeso dal diavolo su una parete insieme a tanti altri già conquistati. Una visione di pessimismo a senso unico? Non necessariamente: il narratore è lì non solo per illustrare gli eventi ma ne è anche partecipe al pari del diavolo, e mentre l’azione si svolge mette in guardia lo spettatore ("bisogna saper scegliere, avere tutto è proibito”). Scene e costumi rimandano all’epoca della composizione, il soldato ha una divisa tipica della Grande Guerra e narratore e diavolo hanno aspetto e trucco che rimandano agli anni 20 del secolo scorso; il tutto viene però elaborato con la cura e la qualità che può dare una produzione di ottimo livello, impreziosita dalle sculture di Luigi Casermieri e Liliana Confortin e dal decisivo disegno luci di Fabrizio Ballini.
Oltre che curare l’allestimento, Luca Micheletti interpreta un diavolo di sottigliezza potremmo dire operistica, uno Jago e uno Scarpia che si fanno attori di prosa ma con riconoscibilissima carica melodrammatica. Il soldato di Massimo Scola esprime anch’egli una grande carica emotiva, mostrando chiaramente l’impari lotta che deve affrontare con il suo antagonista. Come detto sopra, il narratore di Valter Schiavone esprime curiosità, interesse, paura per quello che racconta al pubblico, diventando monito vivente contro l’ambizione di condurre una vita senza compromessi. Molto coinvolti anche i danzatori Lidia Carew e Andrea Bou Othmane, perfettamente inseriti nella visione registica e scenica. Bravissimi senza riserve tutti i solisti dell’ensemble, al quale il direttore Angelo Bolciaghi conferisce varietà di accenti e pulizia di suono in piena sintonia con il momento scenico.
Di altissima qualità nella nitidezza dell’alta definizione la trasmissione in streaming, che ha permesso di apprezzare tutti i particolari dell’allestimento. La visione sarà possibile sul sito www.ravennafestival.live fino al prossimo 21 aprile.
Domenico Ciccone