Donna Fiorilla | Giuliana Gianfaldoni |
Selim | Adolfo Corrado |
Don Geronio | Marco Bussi |
Don Narciso | Francisco Brito |
Prosdocimo | Bruno Taddia |
Zaida | Francesca Cucuzza |
Albazar | Antonio Garés |
Direttore | Hossein Pishkar |
Regia | Roberto Catalano |
Scene | Guido Buganza |
Costumi | Ilaria Ariemme |
Luci | Oscar Frosio |
Coreografia | Marco Caudera |
Maestro del coro | Alberto Pelosin |
Maestro al fortepiano | Riccardo Mascia |
Orchestra Giovanile Luigi Cheruibini | |
Coro Lirico Veneto |
Il lungo tour nei teatri che hanno coprodotto il Turco in Italia con la regia di Roberto Catalano si è appena concluso al Verdi di Pisa dopo le recite di Rovigo, Ravenna, Novara, Jesi e Rimini. La lodevole idea di una collaborazione tra molti teatri ha consentito di ottimizzare le risorse mirando a un buon livello qualitativo, obiettivo non scontato in un titolo di Rossini, autore che pone sempre non poche difficoltà esecutive.
Il Turco, peraltro, è opera molto particolare, rientrata in repertorio in epoca di poco antecedente all'esplosione della Rossini-renaissance (grazie anche a due produzioni teatrali e una discografica che vedevano protagonista Maria Callas), ma mai salita agli onori del cosiddetto “grande repertorio” come la Cenentola o l'Italiana in Algeri, con le quali probabilmente non condivide la stessa felice invenzione melodica e rispetto alle quali è teatralmente appesantita proprio da quell'aspetto metateatrale che la rende unica e innovativa: il personaggio di Prosdocimo, tanto intrigante sulla carta nel suo essere protopirandelliano, quanto invadente in scena e, in fin dei conti, un tantino cerebrale, Pirandello-style, e forse anche poco simpatico.
Per la descrizione del colorato e assai funzionale allestimento di Roberto Catalano si rinvia a quanto scritto da Daniela Goldoni che lo ha visto a Ravenna e da Domenico Ciccone a Jesi, le cui recensioni si condividono anche riguardo ai positivi giudizi su una regia che ha i pregi di essere molto caratterizzata (pur rientrando nel filone ormai ben conosciuto dell'opera buffa in abiti moderni, in questo caso anni '60 del Novecento, realizzati da Ilaria Ariemme) e di adattarsi bene a spazi teatrali di dimensioni diverse, grazie alle stilizzate scene di Guido Buganza.
È lodevole nel suo complesso anche la direzione dell'iraniano di formazione tedesca Hossein Pishkar, che guida un'Orchestra Giovanile Cherubini di livello più che discreto (a parte qualche brutta nota dei fiati nella Sinfonia) con gesto molto chiaro ed elegante, sicuro nell'accompagnamento delle voci e nel mantenere l'equilibrio tra buca e palcoscenico, salvo indulgere episodicamente in qualche sonorità un po' eccessiva che la generosa acustica del Verdi mette subito in mostra.
Da un mestiere già così rifinito in una giovane bacchetta era lecito aspettarsi anche un poco più d brio e di spumeggiane teatralità, anche se è plausibile un filo di nervosismo per l'improvvisa indisposizione fatta annunciare prima della recita da parte di Giuliana Gianfaldoni, interprete di Fiorilla. La prestazione del soprano non è quindi valutabile, attesa una certa dose di prudenza che si percepiva nell'affrontare un ruolo tanto lungo e difficile, anche se l'esecuzione è stata comunque corretta e priva di infortuni vocali. L'impressione ricavata è quella di un bel controllo del fiato che consente smorzature suggestive da parte di uno strumento di soprano leggero, in linea con una tradizione esecutiva che ha visto molte voci di questa natura cimentarsi con un ruolo che prevede molti passaggi di coloratura rapida. Il carattere di Fiorilla emergerebbe forse meglio con una voce un filo più corposa, ma è probabile che l'indisposizione abbia frenato la verve vocale e scenica della cantante.
Molto bene il Don Geronio di Marco Bussi, il quale unisce un canto piuttosto preciso a una resa davvero notevole del personaggio, tanto divertente quanto interpretato con gusto e senza mai gigioneggiare.Notevole il senso della parola messo in mostra da Bruno Taddia, che sa fraseggiare in modo squisito. D'altra parte il ruolo di Prosdocimo comporta le gioie e i dolori cui sopra si accennava e deve essere assegnato invariabilmente a un cantante-attore di grosso calibro (basti scorrere la discografia dell'opera per trovare un elenco di fuoriclasse), senza il quale l'opera rischia di naufragare. Taddia sa adempiere a tanto onere e ciò basti a definire il suo apporto all'esecuzione.
Il Selim di Adolfo Corrado è risolto soprattutto per mezzo di una voce robusta e timbrata (la più consistente dell'intero cast), che conferisce la giusta autorevolezza del personaggio, pur con qualche occasionale ruvidezza nella linea vocale.
Francisco Brito affronta Don Narciso con una chiara ispirazione allo stile di canto di Florez, in linea con molti colleghi della generazione successiva a quella del fuoriclasse peruviano. Il modello (che pure non ha mai eseguito, purtroppo, la parte in teatro) è corretto, trattandosi di un ruolo creato da Giovanni David, ma purtroppo è assimilabile all'originale solo nei cantabili in zona centrale che si giovano del bel timbro del tenore, poiché in regione acuta si avverte una certa fatica. Lo stesso vale per l'interprete dell'altro ruolo tenorile, Albazar, cui l'esecuzione integrale dell'opera riserva un'aria non proprio comoda e che vede il pur volenteroso (ed efficace negli altri interventi) Antonio Garés in difficoltà. Bene, malgrado qualche fissità nell'ottava superiore, Francesca Cucuzza che presta a Zaida una voce sonora e ben proiettata.
La prova più che discreta del Coro Lirico Veneto contribuisce al buon successo della serata, con un Teatro Verdi non esaurito come in altre occasioni, ma comunque ben gremito, che applaude tutti gli interpreti, in particolare Bussi e Taddia.
La recensione si riferisce alla prima del 10 gennaio 2025.
Fabrizio Moschini