Baldassare | Michael Spyres |
Ciro | Ewa Podleś |
Amira | Jessica Pratt |
Argene | Carmen Romeu |
Zambri | Mirco Palazzi |
Arbace | Robert McPherson |
Daniello | Raffaele Costantini |
Direttore | Will Crutchfield |
Regia | Davide Livermore |
Scene e Progetto luci | Nicolas Bovey |
Videodesign | D-Work |
Costumi | Gianluca Falaschi |
Maestro del Coro | Lorenzo Fratini |
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna | |
Nuova produzione in collaborazione con Caramoor International Music Festival e Museo Nazionale del Cinema di Torino |
Con l’allestimento del Ciro in Babilonia al Rof 2012 Pesaro compie un ulteriore passo verso l’allestimento dell’integrale delle opere del suo genio locale: ora, all’appello, manca solamente l’Aureliano in Palmira oltre, ovviamente, ai vari pasticci (Eduardo e Cristina, Ivanhoe e Robert Bruce). Per la prima volta di Ciro a Pesaro si è deciso di radunare un cast importante, cercare collaborazioni interessanti (con il Caramoor Festival) e, in sintesi, cercare di difendere al meglio le ragioni dell’opera: opera che, francamente, appare piuttosto debole, soprattutto per colpa del bislacco e cervellotico libretto di Francesco Aventi. Il Dramma con cori di stampo oratoriale è musicato da Rossini con alcuni splendidi spunti (che poi troveranno miglior fortuna in opere future, come l’aria di Amira che passerà all’Amaltea del Mosè in Egitto) ma ancora senza le folgoranti intuizioni drammaturgiche e musicali della maturità: nonostante questo (e anche prescindendo dal dovere istituzionale di un festival monografico come quello di Pesaro) non è affatto tempo perso ascoltare questo lungo Ciro, anche perché nella definizione degli affetti di Ciro e Amira il compositore pesarese compone delle pagine di grandissimo interesse.
Per ovviare alla staticità drammaturgica del lavoro, però, ci sarebbe voluto un direttore diverso: Will Cructhfield è un musicologo preparatissimo, un filologo eccezionale e un ottimo musicista, in grado di guidare i complessi del Comunale di Bologna in una lettura rigorosa e interessante, sempre rispettosa delle voci e dello stile, ma gli manca (o, almeno, gli è mancato in questo debutto pesarese) una scintilla teatrale in grado di innervare i lunghissimi recitativi e donare vitalità drammatica al lavoro. Una direzione, quindi, piena di meriti musicali, ma che pagava troppi dividendi dal lato teatrale, limite tanto più evidente in un’opera drammaturgicamente debole come questa.
Il regista Davide Livermore ha dovuto affrontare un compito non facile per lo stesso motivo: l’idea alla base del suo spettacolo consisteva nel presentare un omaggio al cinema kolossal dei primi del ‘900, facendo vedere un pubblico in abiti anni ’20 assistere alla proiezione del film “Ciro in Babilonia” con tanto di didascalie sceniche visualizzate tramite proiezioni assieme alle virtuali scenografie. Lo spettacolo ha avuto il coraggio di giocare la carta dell’ironia, nonostante l’argomento oratoriale del lavoro, trovando un cast decisamente ricettivo e disposto a recitare in un divertente ed eccessivo stile da “Cabiria” frammenti che si alternavano alla proiezione delle scenografie: il problema è che questa stimolante impostazione è risultata ripetitiva per l’intera durata della lunga opera, non permettendo sviluppi drammaturgici veramente interessanti e, in definitiva, risultando molto più efficace nel filtro della ripresa televisiva che dal vivo della recita. La sfida (difficilissima, bisogna convenirne) è stata dunque vinta a metà, nonostante il funzionale impianto scenico di Nicolas Bovey e i costumi, veramente bellissimi, di Gianluca Falaschi, fantasiosi e spettacolari, oltre che meravigliosamente modellati sulle caratteristiche del cast a disposizione.
La compagnia presentava quanto di meglio si potesse oggi radunare (almeno nei ruoli principali) per l’allestimento di quest’opera alla sua prima volta pesarese. Ewa Podleś (Ciro) arriva al Rossini Opera Festival in un ruolo principale invitata con un colpevole ritardo, che la partecipazione alle Nozze di Teti e di Peleo del 2001 non basta a mitigare: la voce paga lo scotto di una carriera lunga e onerosa, soprattutto nella gestione dei fiati e in sparsi stimbramenti in zona centrale, ma l’autorità e il carisma di un’interprete assolutamente eccezionale hanno la meglio su tutto. La coloratura è ancora vorticosa e “di forza”, l’accento sempre adeguato e partecipe (bellissima la grande scena con catene del II Atto), il timbro conserva ancora il fascino contraltile (oltre all’esibita disomogeneità di registri tipica di voci così estese) che ha reso la Podleś una delle grandi interpreti rossiniane degli anni ’90 e 2000. Un debutto tardivo ma, nondimeno, un debutto eccezionale.
Eccellente l’Amira di Jessica Pratt, stella sempre più luminosa nel firmamento belcantistico che, dopo la sognante Adelaide del 2011, delinea con garbo, fascino e ironia la figura della regina innamorata e fedele, declinando colorature e variazioni con ottimo stile e cogliendo un meritatissimo successo personale.
Michael Spyres affronta le difficoltà della parte di Baldassare con slancio e guasconeria coinvolgenti ed entusiasmanti, soprattutto nella resa della vorticosa coloratura e nella pienezza delle note gravi: peccato per una gestione non ancora compiutamente risolta del registro acuto (che tende ad andare indietro) perché, oltretutto, anche l’accento è sempre vario e interessante.
Nell’aneddotica rossiniana uno spazio particolare è occupato dal Ciro in Babilonia per la presenza dell’aria “Chi disprezza gli infelici”, tutta composta su di un’unica nota (il si bemolle centrale) per il personaggio di Argene: le ragioni di questa bizzarria sono raccontate dallo stesso Rossini, il quale spiega che la prima interprete, Anna Savinelli, “a una spaventevole bruttezza univa una voce indecente. Dopo un accurato esame mi accorsi che il suo registro vocale possedeva almeno una nota felice, il Si bem. centrale, e allora scrissi un’aria in cui ella non doveva emettere che quella nota; tutto il resto era affidato all’orchestra. Il pezzo piacque e fu applaudito, e la mia cantante unitonica fu felicissima del suo trionfo”. L’Argene di Pesaro, Carmen Romeu, non ha proprio nel si bemolle centrale la sua nota migliore, avendo figurato meglio alla Prova Generale che alla prima (forse per l’emozione).
Bene Mirco Palazzi, Zambri dal timbro morbido e personale; così così l’Arbace di Robert McPherson e sufficientemente autorevole il Daniello di Raffaele Costantini.
Gabriele Cesaretti