Carlo VII | Luciano Ganci |
Giacomo | Vittorio Vitelli |
Giovanna | Vittoria Yeo |
Delil | Gabriele Mangione |
Talbot | Luciano Leoni |
Giovanna innocente | Linda Vignidelli |
Giovanna guerriera | Lara Guidetti |
Maestro concertatore e direttore | Ramon Tebar |
Regia | Saskia Boddeke e Peter Greenaway |
Scene | Annette Mosk |
Costumi | Cornelia Doornekamp |
Video edit | Elmer Leupen |
Luci | Floriaan Ganzevoort |
Video design | Peter Wilms |
Coreografie | Laura Guidetti |
Maestro del Coro | Martino Faggiani |
Orchestra I Virtuosi Italiani | |
Coro del Teatro Regio di Parma |
La location di Giovanna D’Arco, secondo titolo del Festival Verdi 2016, è il seicentesco Teatro Farnese a cui si accede salendo l’imponente scalone del Palazzo della Pilotta attraverso il percorso espositivo della Galleria Nazionale di Parma.
In occasione delle recite che, a partire dal 2011, hanno portato in questo suggestivo spazio l’opera lirica, era sempre stato utilizzato il palcoscenico originale con il pubblico collocato sulle gradinate lignee: sistemazione estremamente affascinante anche se, per non pochi aspetti, problematica.
Il progetto ideato da Saskia Boddeke e Peter Greenaway, registi di questa produzione, capovolge la disposizione della scena e della platea collocando una piattaforma, circondata dall’orchestra, sotto le gradinate che diventano così un elemento scenico. Il pubblico è sistemato su una struttura, arredata con eleganti poltroncine, che partendo dal palcoscenico storico, degrada lentamente verso terra.
Mediante la tecnologia del video mapping le gradinate e le eleganti arcate che le sovrastano vengono ridisegnate e si animano di effetti visivi tridimensionali che ingannano la percezione visiva dando l’impressione di essere reali. “Vi stupiremo con i nostri effetti speciali” è il caso di dire, ed è proprio così, al punto che spesso capita che le sorprendenti costruzioni virtuali distraggono l’attenzione dal piccolo spazio dove i protagonisti cantano e agiscono in situazioni che facilmente sfuggono, impegnati come si è a ragionare su quello che sta succedendo altrove.
Infatti le proiezioni niente hanno a che vedere con la vicenda oggetto dell'opera, essendo impostate su un tema più ampio che riguarda i conflitti tra le religioni e i loro effetti disastrosi che sono di triste attualità anche ai nostri giorni.
La forza evocativa di questo discorso è però notevolmente incrinata dalle proiezioni che richiamano la figura di Giovanna, rappresentata da un enorme viso femminile con occhioni mobili ed inquietanti che sbattono le ciglia in modo fastidioso. Il culmine dell’inopportunità si raggiunge al momento della battaglia decisiva dove la Pulzella troverà la morte. Tra le realistiche fiamme che incendiano la gradinata appare una figuretta femminile in calzoncini bianchi, disegnata in stile cartoon, che, suscitando ironici sorrisi, toglie immediatamente alla scena ogni pretesa drammatica.
Intanto sulla piattaforma in cui agiscono i vivi c’è da prestare attenzione alla rappresentazione, a volte stucchevole in quanto troppo ripetuta, ma più spesso di grande forza poetica, del conflitto di personalità vissuto dalla protagonista che, per tutta la recita, è affiancata da due danzatrici che rappresentano rispettivamente la fanciulla innocente e la guerriera.
Nel finale compare sul palco un muretto che offre un appoggio alla morente e sul quale si alternano immagini delle vittime innocenti delle guerre del mondo: lei per prima, ma anche e soprattutto quelle di oggi.
Giovanna è interpretata da Vittoria Yeo. Il soprano coreano, spiccatamente lirico, canta con sicurezza ed omogeneità di suono. Le manca qualcosa in termini di drammaticità e l’interpretazione risulta un po’ piatta. C’è, a questo proposito, da considerare che non la aiuta il fatto di dover cantare sempre immobile e con il viso inespressivo: tutte le azioni che la riguardano sono infatti delegate ai due cloni che agiscono in sua vece.
Convincente il Carlo VII di Luciano Ganci. Il tenore ha un colore caldo e lucente che rimane ben timbrato anche nella zona acuta. La sua linea di canto di toccante lirismo, insieme al fraseggio chiaro e ben scandito, rende molto accattivante il suo personaggio.
Ben risolto anche il Giacomo di Vittorio Vitelli, confinato dalla regia sulle ripide gradinate del teatro. Il timbro virile ed importante arricchito, quando necessario, da qualche velatura di patetismo, è perfetto per il ruolo del padre dell’eroina che, roso dal sospetto, travisa ciò che vede al punto da provocare la rovina della figlia.
Solido ed efficace, nel ruolo dell’inglese Talbot, il basso Luciano Leoni. Incisivo, nell’ambito del piccolo ruolo dell’Ufficiale del Re, il tenore Gabriele Mangione.
Il coro del Teatro Regio, che ovviamente sul piccolo palcoscenico non ci sta, si trova a dover cantare in ogni angolo del Farnese: lo si sente, a sorpresa, sotto i praticabili di accesso alla platea, poi schierato in fila per uno nell’emiciclo della gradinata e, per finire, in gruppo dietro l’orchestra. La compagine diretta da Martino Faggiani dimostra, anche e soprattutto in questa occasione, le sue doti di flessibilità e professionalità con interventi sempre precisi, puntuali e, ovunque collocata, di ottima resa sonora.
Il bianco è l’unico colore dei costumi ideati da Cornelia Doornekamp che consistono in tuniche declinate in varie fogge, con qualche accessorio aggiuntivo per i protagonisti.
Il direttore e concertatore Ramon Tebar, dopo una Sinfonia brillante che ben sottolinea il contrasto tra il guerresco e l’elegiaco, ammorbidisce un po’ troppo le dinamiche risultando complessivamente poco incisivo.
Lo spettacolo è stato accolto positivamente dal pubblico che, con una grande percentuale di ospiti stranieri, gremiva il teatro. Si è udita una sola isolata manifestazione di dissenso nei confronti dei responsabili della regia.
La recensione si riferisce alla recita del 2 ottobre 2016
Patrizia Monteverdi