Massimiliano conte di Moor | Mika Kares |
Carlo Moor | Roberto Aronica |
Francesco Moor | Artur Rucinski |
Amalia | Aurelia Florian |
Arminio | Antonio Corianò |
Moser | Giovanni Battista Parodi |
Rolla | Enrico Cossutta |
Maestro concertatore e direttore | Francesco Ivan Ciampa |
Regia | Leo Muscato |
Scene | Federica Parolini |
Costumi | Silvia Aymonino |
Luci | Alessandro Verazzi |
Filarmonica Arturo Toscanini | |
Coro del Teatro Regio di Parma | |
Maestro del Coro | Martino Faggiani |
I Masnadieri, melodramma scritto per Verdi dall'amico Andrea Maffei, dal dramma di Schiller, viene un anno dopo Attila e a pochi mesi di distanza dal primo Macbeth, ed è la prima opera composta per un teatro estero: il Queen's Theatre di Londra.
Il viaggio per la capitale inglese prende a Verdi molto più tempo del normale. Dopo una sosta a Parigi, il compositore decide di fare una deviazione per conoscere la valle del Reno le cui atmosfere accendono la sua fantasia. “Vi sono immensità di castelli in ruina a cui la gente vi unisce delle novelle da fare spavento di diavoli e di streghe” racconta, raccogliendone le emozioni, il fedele compagno di viaggio Muzio. Da qui nasce forse il canto mesto e nostalgico del violoncello del Preludio che il gesto netto di Francesco Ivan Ciampa, interrompe con secchi, precisi, inesorabili interventi orchestrali: la vita di adesso è ben altro, il passato non tornerà.
La vita di adesso, per Carlo Moor ripudiato dalla famiglia, è la banda di fuori legge di cui è diventato l'infelice condottiero. La vita di adesso, per Amalia sono la nostalgia dell'amato e l'affetto filiale per il vecchio padre di lui, che non riesce ad odiare pur essendo responsabile del suo allontanamento. La vita di adesso è il rimpianto di Massimiliano Moor per il figlio perduto, la vita di adesso sono le macchinazioni dell'altro figlio Francesco, feroce e determinato, nell'omicidio per ottenere il potere, molto più di Macbeth, e colpito in sogno dalla sua coscienza molto più di Attila.
Temi musicali fortemente contrastanti che il maestro Francesco Ivan Ciampa, seguito con grande precisione dalla Filarmonica Arturo Toscanini, valorizza e riesce a far rientrare nell'ambito di un colore omogeneo e coerente.
Carlo Moor ha la voce ferma e virile, morbida nei cantabili e brillante negli afflati eroici, di Roberto Aronica. L'interpretazione e l'accento sempre appropriati rendono, con tangibile immediatezza, il tormentato percorso che porterà Carlo dalla lettura di Plutarco, con cui esordisce il personaggio, alla disperata consapevolezza che la violenza e l'omicidio lo accomunano, nonostante ogni apparenza, al malvagio fratello. E, come lui, solo nel sangue troverà la sua via d'uscita.
All'irruenza di Aronica risponde con pari incisività Aurelia Florian. Consapevole che il ruolo era stato pensato per la leggendaria Jenny Lind, denominata ai suoi tempi “l'usignolo del nord”, il trentenne soprano rumeno che torna al Festival Verdi dopo aver esordito come protagonista ne La battaglia di Legnano dello scorso anno, mantiene con fermezza la propria linea di canto nell'ambito del costante lirismo che è proprio di Amalia. Non c'è spazio, nella truce rocca dei Moor, per esternare i sentimenti. Per questo l'espressione, nella prima parte dell'opera, non è mai spinta o esasperata ma sempre intima e toccante. Anche le agilità, affrontate con grande bravura, hanno il colore riservato e controllato di chi piange da solo e di nascosto. Con l'avanzare della vicenda l'intensità cresce. Molto efficace il confronto con Francesco, alla violenza del quale reagisce con pari veemenza, nella scena del cimitero, poi la gioia breve e inaspettata dell'incontro con Carlo - bellissimo per la resa vocale ed espressiva dei due protagonisti, il duetto del terzo atto - e i drammatici accenti del finale, perfettamente sostenuti.
La voce fluente e dotata di grande volume del giovane baritono polacco Artur Ruciński, che interpreta Francesco, risalta particolarmente nel canto spiegato della sua prima aria in cui, come farà tra quarant'anni Jago, premedita ed organizza il suo delitto. Molto efficaci, nel quarto atto, il racconto allucinato del sogno e l'estrema ricerca di un'impossibile assoluzione.
Massimiliano Moor, padre vecchio, afflitto, sofferente ispira a Verdi bellissime pagine musicali che il giovane basso finlandese Mika Kares interpreta con la proprietà vocale e la nobiltà d'accento sempre richieste per questo tipo di ruolo. La mestizia desolata del primo atto in cui rimpiange, con Amalia, l'adorato Carlo, cacciato e perduto, è seguita dalla forza del racconto del trattamento disumano inflittogli dall'altro figlio. Il vecchio è vivo, ma parla con la voce tremenda di un fantasma che chiede giustizia.
Il ruolo di Arminio non è per chi è chiamato ad interpretarlo, di facile gestione. Il camerlengo di Francesco, prima suo complice nel delitto, poi pentito al punto da incaricarsi di tenere segretamente in vita il vecchio Moor - gettato vivo in un sotterraneo perchè muoia di stenti - ha, nel corso di tutta la vicenda, interventi brevi e fulminei che necessitano di una sicura impostazione vocale. Il tenore Antonio Corianò gestisce benissimo tutte le sue entrate, vocalmente ineccepibili e rese efficaci dal fraseggio espressivo e ben scandito. Il timbro rotondo, ricco di volume e colori, si apprezza particolarmente nel racconto della morte di Carlo e ancor più negli accenti toccanti della scena della foresta.
Convincente ed incisivo, nel ruolo del pastore Moser, Giovanni Battista Parodi, e sempre adeguati gli interventi di Enrico Cossutta che interpreta il masnadiero Rolla, compagno di Carlo Moor.
Come da titolo, il Coro in quest'opera la fa da protagonista. Il lavoro più oneroso spetta, ovviamente, alla sezione maschile. Il testo, spesso truce, che la compagine guidata da Martino Faggiani è chiamata a cantare, viene reso con suono brillante e ben calibrato che alleggerisce e rende gradevoli i temi musicali non sempre raffinati che la partitura prevede per una banda di malfattori. Preciso e giusto, per colore ed intensità, anche l'intervento, fuori scena, della sezione femminile.
Ottima la resa della Filarmonica Arturo Toscanini, che si presenta, da subito, con la qualità del suo primo violoncello Diana Cahanescu ed esegue con compattezza di suono e varietà di colori le accuratissime direttive impartite dal podio.
Nell'ambito di un allestimento non sempre coerente con il progetto minimalista che lo ispira – buona l'idea di calare dall'alto gli alberi della foresta per evitare l'interruzione del cambio scena, ma i fusti si muovono quando qualcuno li sfiora, e, nel finale, restano appesi a mezz'aria sulle teste dei protagonisti come enormi zampe d'elefante, inducendo al sorriso mentre si compie un dramma – la tradizionalissima regia di Leo Muscato trova i suoi momenti migliori nella gestione delle scene che vedono protagonisti i masnadieri. Il regista aggiunge alla banda, i cui componenti sono valorizzati singolarmente, sfruttando la disinvoltura e duttilità scenica dei membri del Coro del Regio, una coppia di mimi le cui azioni risultano utilissime per dare continuità allo spettacolo e portare a conclusione scene che il libretto lascia a volte bruscamente in sospeso. Appropriati i costumi con un unico piccolo appunto riferito al personaggio di Francesco: a che serve mettergli in mano un bastone da zoppo a cui l'interprete non si appoggia mai limitandosi ad agitarlo come se si trattasse del manico di un ombrello?
Il pubblico, che aveva sottolineato con applausi a scena aperta i momenti più emozionanti, tributa alla fine a tutto il cast i meritati applausi, riservando particolari festeggiamenti ad Aurelia Florian, a Roberto Aronica e al direttore Ivan Ciampa. I Masnadieri hanno conquistato il Regio.
Patrizia Monteverdi