Otello | Yusif Eyvazov |
Desdemona | Barno Ismatullaeva |
Iago | Nicola Alaimo |
Emilia | Irene Savignano |
Cassio | Riccardo Rados |
Roderigo | Andrea Schifaudo |
Lodovico | Adriano Gramigni |
Montano/Araldo | Italo Proferisce |
Direttore | Jader Bignamini |
Regia | Mario Martone |
Scene | Margherita Palli |
Costumi | Ortensia De Francesco |
Video | Alessandro Papa |
Luci | Pasquale Mari |
Maestro del Coro e del Coro di voci bianche | Salvatore Punturo |
Orchestra, Coro e Coro di voci bianche del Teatro Massimo | |
Nuovo allestimento del Teatro Massimo in coproduzione con il Teatro San Carlo di Napoli | |
Era l’autunno 2021 e il Teatro San Carlo di Napoli si apprestava ad inaugurare la stagione lirica con una nuova produzione di Otello a firma Mario Martone.Trattandosi di un nuovo allestimento la curiosità dei media specializzati cresceva in attesa del debutto, ancor più poiché, a pochi giorni dalla prima, il teatro aveva calendarizzato un interessante convegno in collaborazione con l’Università di Montréal all’interno del quale alcuni fra i più autorevoli registi d’opera avrebbero esposto le loro idee su come fare teatro musicale.
Fra i relatori lo stesso Mario Martone avrebbe seraficamente affermato che nella sua esperienza il modo per aggirare le eventuali proteste del pubblico era di concepire un allestimento magari urticante, o quanto meno dirompente, ma con costumi legati all’epoca descritta nel libretto dell’opera portata in scena.
Mai affermazione fu più vera! L’Otello attualmente in cartellone al Teatro Massimo che lo ha coprodotto insieme al San Carlo è la dimostrazione di quanto le parole pronunciate dal regista siano la fotografia del comune sentire dello spettatore medio. Le sporadiche contestazioni che hanno accolto il team creativo alla fine della prima presumibilmente derivano dall’aver visto una Desdemona soldatessa in tuta mimetica, scarponi e canottiera (scandalo!), avendo Martone attualizzato la vicenda del Moro ambientandola in un assolato paesaggio maghrebino nel quale un esercito occidentale si trova in missione di pace.
In realtà un tale spostamento temporale non modifica in modo sostanziale la drammaturgia, definisce invece il personaggio della sposa d’Otello vista come donna volitiva che affianca il marito da pari a pari, nel secondo atto è impegnata ad alleviare le sofferenze di infermi e migranti in un ospedale da campo e financo si difende impugnando una pistola prima di soccombere alla follia omicida nel finale dell’opera. Nulla che non sia già insito nel libretto di Boito e, ancor più nella fonte letteraria primigenia, nell’atto veneziano espunto nell’Otello verdiano. Dopo tutto se pur nessuno avrebbe potuto parlare di femminicidio nel febbraio del 1887 di questo si tratta, di uomini che nella difficoltà di relazionarsi con il prossimo ricorrono alla violenza, sia essa scaturita da competitività malata (leggasi Iago) o da profonda insicurezza che si trasforma in desiderio di possedere completamente la donna amata. Al contrario dei personaggi maschili Desdemona ed Emilia si mostrano sempre per quel che sono senza infingimenti.
La regia si concentra dunque su questa dicotomia uomo-donna indagando i moti dell’anima spesso repressi nella sfera personale. Come un ordigno innescato essi sono sempre pronti ad esplodere e netta risulta la separazione fra il profilo pubblico e quello privato di Otello e Iago, in questo aiutati da una sorta di sipario tagliafuoco che cala come una mannaia isolandoli da tutti gli altri nei momenti di riflessione violenta.
Al di là di un certo immobilismo delle masse corali sia nella tempesta iniziale che durante il coro degli omaggi, la direzione d’attori è curata, mai enfatica anzi consona ad un moderno teatro musicale. Non si comprendono dunque le contestazioni riservate al team artistico, tra l’altro le scene di Margherita Palli, i costumi di Ortensia De Francesco e le splendide luci di Pasquale Mari rendono un ottimo servizio ad una visione registica che mantiene intatta tutta la forza evocativa già ben presente al debutto della produzione nel 2021.
Tanto più che Jader Bignamini ottiene dall’orchestra di casa sonorità cangianti che supportano alla perfezione il magistrale intreccio di partitura e libretto sin dal grandioso affresco musicale della tempesta iniziale per poi proseguire lungo tutto l’arco narrativo con immutata tensione drammaturgica. L’introduzione al duetto d’amore del violoncello solo, poi diventato quartetto, la molle sensualità degli archi nel sogno di Cassio, la melopea del corno inglese che introduce la canzone del salice come pure la perfetta gestione di voci ed orchestra nel grande concertato del terzo atto oltre alla costante precisione dei fagotti durante l’intera recita sono solo il frutto di una concertazione ispirata che però nello scambio dialogico con il palcoscenico non sempre trova adeguato contraltare.
Se Nicola Alaimo fa della malia insinuante la chiave di lettura di uno Iago malefico nascosto fra le pieghe di una linea morbida e omogenea lungo l’intera gamma; se gli acuti fulminanti del brindisi, le agilità prodigiose della ragna e il credo oscuro e malvagio procedono in bella sinergia con il tappeto sonoro approntato dal podio, rispettando tra l’altro tutti i piani e pianissimi prescritti, altrettanta sintonia non si ritrova con Yusif Eyvazov che del ruolo eponimo offre una caratterizzazione alquanto generica che poco dice del progressivo disgregamento dell’universo spirituale di Otello. Forte di un sicuro registro acuto il tenore padroneggia senza sforzo passi drammatici quali Abbasso le spade e A terra!...E piangi! ma il fraseggio manca di mordente pur essendo l’attore convincente. Ciò che il linguaggio del corpo lascia intravedere non si manifesta infatti nel canto scandito, quasi metronomico oltre che privo di colori e sfumature. Il cantante inoltre sembra accusare la fatica nell’ultimo atto, quasi tradito dalle energie nervose che un ruolo così impegnativo inevitabilmente assorbe. La sensazione è che non abbia ancora introiettato la parte ma di certo avrà modo di ripensarla ed approfondirla per poi decidere se sia il caso di riprenderla con maggiore consapevolezza.
D’altra parte accanto ad Eyvazov c’è la Desdemona imperiosa di Barno Ismatullaeva che molto si immedesima nella figura della soldatessa immaginata da Martone. Svanita del tutto l’idea della fanciulla virginale strappata all’alta società veneziana e soggiogata dalle vittorie di Otello, sfoggia al contrario una linea granitica appoggiata su riserve di fiato infinito che le consentono di cavalcare i marosi orchestrali del quartetto e di staccare il partner senza sforzo nel duetto dell’atto terzo. Si potrà obiettare che manca un po’ di abbandono nel duetto d’amore ma, del pari, è dolente, quasi staccata dalla realtà che la circonda nella canzone del salice e ancor più nell’Ave Maria conclusiva.
Accanto ai tre personaggi principali si distingue il Cassio fresco e di belle intenzioni di Riccardo Rados, mentre un buon supporto offre l’Emilia di Irene Savignano. A completare degnamente il cast ricordiamo inoltre Andrea Schifaudo, Roderigo, Adriano Gramigni, Lodovico e Italo Proferisce, Montano.
Inutile sottolineare che le masse corali danno ancora una volta prova della loro compattezza sia nella componente adulta che fra le voci bianche dirette da Salvatore Punturo.
Al termine, come già sottolineato, grandi consensi per l’intero cast e per il Maestro Bignamini e dissensi immotivati per un allestimento che non tradisce affatto lo spirito dell’opera.
La recensione si riferisce alla prima del 24 Gennaio 2024.
Caterina De Simone