Violetta | Nino Machaidze |
Alfredo | Saimir Pirgu |
Giorgio Germont | Roberto Frontali |
Flora | Tonia Langella |
Gastone | Blagoj Nacoski |
Il barone Douphol | Italo Proferisce |
Il marchese d'Obigny | Luciano Roberti |
Il dottor Grenvil | Andrea Comelli |
Annina | Francesca Manzo |
Giuseppe | Alfio Vacanti |
Un domestico di Flora/un commissionario | Antonio Barbagallo |
Zingarella | Francesca Davoli |
Matador | Michele Morelli |
Direttore | Carlo Goldstein |
Regia | Mario Pontiggia |
Scene | Francesco Zito e Antonella Conte |
Costumi | Francesco Zito |
Luci | Bruno Ciulli |
Coreografie | Gaetano La Mantia |
Assistente alla regia | Angelica Dettori |
Maestro del Coro | Salvatore Punturo |
Direttore del corpo di ballo | Jean-Sébastien Colau |
Orchestra, Coro e Corpo di ballo del Teatro Massimo |
Palermo è una città dalla diverse anime frutto di una storia millenaria e di un sincretismo culturale che da sempre ne hanno definito il carattere.
Pure a distanza di oltre un secolo la matrice fin de siècle è una sorta di enjambement che lega ed identifica la radice spagnola dei viceré con la rinascita e lo sviluppo economico della belle époque con la dinastia dei Florio.
All’apertura del sipario sul salone delle feste di Violetta il Palermitano medio non avrà quindi stentato a riconoscere gli ambienti di Villa Whitaker e Villa Malfitano, esempi paradigmatici del liberty cittadino che, sin dall’Esposizione nazionale del 1891, conferì alla città dimensione europea. Chiaro è dunque l’omaggio che Francesco Zito, autore di costumi e scene (per queste ultime coadiuvato da Antonella Conte) ha voluto fare all’anima art déco del capoluogo siciliano all’interno del progetto Traviata di cui si riferisce.
L’allestimento ha un po’ la funzione di totem scaccia pensieri nell’ambito delle stagioni à l’affiche del Teatro Massimo, in quanto la produzione guidata dal regista Mario Pontiggia ha debuttato nel 2017 in occasione della tournée dei complessi artistici in Giappone ed è poi stata ripresa nel 2019. Non ci fosse stata la pausa pandemica di sicuro sarebbe stata riproposta con cadenza ravvicinata anche per dare respiro alle casse della Fondazione.
Al mio personale terzo passaggio si confermano tutte le molte ombre e poche luci che caratterizzano tale confezione elegante, affidata ad ottimi scenografi e ad un raffinato costumista, che vive però del solo fare arredamento sul palco. La mano del regista così come nelle due precedenti occasioni è invisibile, non si preoccupa minimamente di scalfire la dura superficie di feroce critica sociale che la partitura presenta. Il coro, sempre compatto, in tonitruante presenza ma punto di forza della performance musicale grazie a Salvatore Punturo, è immobile, allineato in ranghi compatti durante il brindisi o alla festa di Flora, i cantanti entrano ed escono dal fondo o dalle quinte diligentemente, cantano al proscenio le loro arie e fanno ciò che di solito fanno.
La concezione della serata all’opera che scacci qualsiasi elucubrazione mentale è qui rispettata in pieno. Tra l’altro il giudizio è confermato dalla lettura frettolosa di Carlo Goldstein che, dal podio, tiene tutto in riga alternando tempi di valzer scanditi dal metronomo a galoppi forsennati in "Si ridesta in ciel l’aurora" e accompagnamenti bombastici come nel pieno orchestrale del concertato che segue la scena della borsa. Così la compagine corale ne esce vincitrice perché mostra l’omogeneità e la potenza, ma si perdono le mille e mille sfumature contenute nella partitura.
Il preludio all’atto primo ne è l’emblema, mancante com’è di trasparenza e aereo sguardo verso il futuro tragico nelle frasi iniziali per poi virare verso la descrizione del démi-monde. Dovrebbe racchiudere la parabola di Violetta, il suo raccogliersi a pensare alla sua vita e a ciò che sarebbe essere amata amando per poi scacciare tale riflessione e tornare a ciò che è. Purtroppo niente di tutto questo è presente oltre ad una lettura di mera routine nella quale è difficile trovare tensione drammatica.
La stessa protagonista, Nino Machaidze, ha tutte le carte in regola per essere un’ottima Violetta: cremosità del timbro, registro acuto imponente e voluttuosità dei centri ma, complice la direzione poco ispirata, finisce per cantare tutto in mezzo forte o forte. Nella grande scena dell’atto primo le agilità sono portate a termine con attenzione ma senza l’abbandono e la scioltezza che sarebbero indicate ad un personaggio in bilico tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere. Nel confronto con Germont l’interprete ha per fortuna il sopravvento e aggiunge le naturali doti di espressività al disilluso "Dite alla giovane", vertice della sua prestazione canora. Ciò che manca è però il grande respiro tragico con i necessari assottigliamenti e fraseggio frastagliato del finale, momento nel quale è difficile credere alla salute declinante della protagonista.
Al suo fianco troviamo Saimir Pirgu che riprende il ruolo di Alfredo e debutta in una produzione scenica a Palermo. Dalla sua ha il totale controllo dei mezzi vocali ed un’emissione sorvegliatissima che gli consente di sfumare, alleggerire o controllare le progressioni all’acuto con estrema facilità. Così l’aria e la cabaletta sono risolte con eleganza e giovanile baldanza, mentre nella scena della borsa mostra fraseggio collerico e partecipato al punto giusto.
Alla fine la prestazione canora di entrambi i protagonisti ruota comunque attorno alla figura di Germont, un Roberto Frontali catalizzatore di eventi oltre che autore di un’ottima prova che delinea con cura il bigottismo dell’epoca. Il baritono romano conferma l’eccellente musicalità caricando di malevolenza "Un dì quando le veneri" ma in generale affronta tutto il secondo atto senza alcun manierismo, come si conviene ad una conversazione garbata dietro la quale si cela la protervia. Nell’interazione che scaturisce dal suo canto nascono le azioni dei due giovani avviati verso la tragedia finale.
Un buon supporto allo spettacolo forniscono inoltre Tonia Langella, Flora, e la dolente Francesca Manzo, Annina.
Gli applausi scroscianti e i lanci di fiori alle chiamate finali dimostrano alla fine che Traviata, purchè in confezione tradizionale, riempie i teatri e accontenta il pubblico medio. Perché dunque impelagarsi in operazioni che possono sembrare controverse ancorchè dispendiose?
La recensione si riferisce alla prima del 17 Gennaio 2023.
Caterina De Simone