IL MAESTRO DI CAPPELLA | |
Baritono | Bruno Praticò |
LA FURBA E LO SCIOCCO | |
Madama Sofia | Marilena Laurenza |
Il Conte Barlacco | Enrico Maria Marabelli |
Arlecchino | Ferruccio Soleri |
Pulcinella | Franco Javarone |
Orchestra del Teatro di San Carlo | |
Direttore | Giovanni Di Stefano |
Maestro al clavicembalo | Riccardo Fiorentino |
Regia | Lamberto Puggelli |
Scene | Nicola Rubertelli |
Costumi | Giusi Giustino |
Per molti decenni il patrimonio musicale del ‘700 napoletano, uno fra i tesori della città, è stato trascurato e poco rappresentato, mentre da parte dei cultori si moltiplicavano le proposte sul come metterlo meglio in luce, fino a pensare (cosa mai realizzata) ad una sede stabile per la messinscena delle opere di quel periodo.
Poi lentamente qualcosa è cambiato: già il fatto che Riccardo Muti abbia dedicato per ben cinque anni l’apertura del Festival di Pentecoste di Salisburgo a questo repertorio ha risvegliato le coscienze, poi nelle ultime stagioni lo stesso San Carlo ha iniziato a proporre con maggiore frequenza titoli di quell’epoca, come in quest’ultima stagione: dopo il Don Trastullo di Jommelli, ecco nel Teatrino di Corte di Palazzo Reale, sede appropriata per un repertorio di questo tipo, il dittico Maestro di cappella / La furba e lo sciocco.
Ad essere pignoli, ferma restando l’assoluta appartenenza di Cimarosa al mondo musicale napoletano, il Maestro di cappella non appartiene storicamente alla città partenopea. Quello che si definisce come “Intermezzo buffo” ha una storia piena di punti interrogativi: ignoto l’autore del libretto (forse lo stesso compositore), sono in dubbio anche il luogo della sua prima esecuzione (San Pietroburgo? Berlino?) e soprattutto la sua stessa natura: oggi pare improbabile che sia stato composto come un Intermezzo vero e proprio, cioè da rappresentare negli intervalli di un’opera seria, e ci si chiede se sia nata come aria a sé stante per basso buffo, o se potesse far parte di una composizione più elaborata.
Sia come sia, il lavoro ha ormai una storia esecutiva che lo porta ad essere presente con una certa frequenza sui palcoscenici. Fra le occasioni più inconsuete, va ricordato che nel 2004 venne eseguito alla Reggia di Caserta in un’esecuzione riservata ai cosiddetti potenti del mondo, allora a Napoli per un vertice G7.
La vicenda del povero Maestro che vorrebbe eseguire un’aria ‘in stile sublime’ ma ha a che fare con un’orchestra indisciplinata che lo costringe, onde imporre l’ordine, a cantare anche le parti orchestrali, fa venire in mente quasi una felliniana Prova d’orchestra ante litteram.
Protagonista è stato Bruno Praticò. Il baritono valdostano canta la parte con la scioltezza e la disinvoltura di chi è perfettamente a suo agio in tale repertorio, e il trovarsi da solo in scena non è certo per lui un problema, vista la sua facilità all’improvvisazione e il suo saper essere padrone del palcoscenico, abbandonandosi volentieri a qualche gag (nel senso di considerazioni parlate, aggiunta di battute in dialetto napoletano) che possono far presa sul pubblico.
A Praticò va anche l’elogio di essersi adattato in tempi brevi ad una situazione d’emergenza: così come l’abbiamo visto, lo spettacolo ce lo mostra unico protagonista a dirigere un’orchestra di manichini. In realtà la regia di Lamberto Puggelli prevedeva la presenza dei veri orchestrali del San Carlo, poi per disaccordi sindacali il loro ruolo in scena è venuto meno, e si è dovuti ricorrere ai pupazzi, con l’intervento, per evitare la staticità più assoluta, delle maschere che avremmo ritrovato poi nella Furba e lo sciocco.
Sono proprio le maschere della Commedia dell’arte a condurci gradualmente, senza soluzione di continuità, nel mondo della seconda opera in programma.
Anche in una parte minima, è sempre un piacere rivedere Ferruccio Soleri nei panni di Arlecchino, ovvero colui che oggi è la maschera bergamasca per antonomasia, che con Franco Javarone, altrettanto autorevole Pulcinella, introduce gradualmente nel mondo della seconda opera, che riunisce gli Intermezzi scritti da Domenico Sarro per l'Artemisia.
Sarro è un compositore pugliese fra i meno rivisitati al giorno d’oggi, ma che ha un posto specialissimo nella storia del San Carlo: sua infatti è l’Achille in Sciro, l’opera con cui, nel 1737 venne inaugurato alla presenza del Re il gran teatro napoletano.
Detto ciò, la vicenda della Furba e lo sciocco, non presenta grandi originalità: i personaggi principali sono due: Madama Sofia che trovandosi in ristrettezze economiche vuole farsi sposare dal ricco Conte Barlacco ma, da donna onesta, solo dopo averlo fatto innamorare di sè. L’uomo si crede furbo ma ovviamente cade nella rete con grande facilità.
Puggelli immagina che la vicenda sia recitata da comici di strada e sullo sfondo musicale della sinfonia (che poi viene dall’opera La Partenope dello stesso Sarro) li fa arrivare sulla loro carretta in una piazza di Napoli e ce li mostra mentre si preparano per rappresentare la vicenda comica.
L’idea è gradevole e ben realizzata anche grazie al bel gioco scenografico di Nicola Rubertelli, ai costumi ben studiati da Giusi Giustino, e infine grazie a un gruppo di protagonisti in ottima forma. Il difetto è che l’attenzione è spostata tutta sui poveri attori e l’ambiente che li circonda: loro diventano i veri protagonisti, relegando quella che dovrebbe essere la vicenda dell’intermezzo quasi sullo sfondo, abolendo i balli previsti e diluendone gli effetti comici, i travestimenti, gli inganni e gli equivoci che passano spesso inapparenti.
Detto ciò, solo lodi per i due cantanti, entrambi perfettamente in parte: Enrico Maria Marabelli, finto burbero, in ottima forma vocale come si è visto nelle onomatopee della prima aria Mi rimbomba dentro il core e nel carattere più composito della seconda Son per lei uno Zibaldone.
Marilena Laurenza non è da meno, Donna Sofia dalla linea di canto fluida e assai espressiva, ed attrice spiritosa.
Il direttore Giovanni di Stefano ha diretto molto bene, ottenendo le sonorità giuste da parte di un’orchestra a ranghi ridotti come si conviene a questo repertorio.
Molti applausi da parte di un pubblico non numerosissimo ma attento.
Bruno Tredicine