Filippo II | Michele Pertusi |
Don Carlo | Andrea Carè |
Rodrigo | Luca Salsi |
Il Grande Inquisitore | Ramaz Chikviladze |
Un frate | Adriano Gramigni |
Elisabetta | Anna Pirozzi |
La Principessa d'Eboli | Judit Kutasi |
Il Conte di Lerma | Andrea Galli |
Un araldo reale | Andrea Galli |
Tebaldo | Michela Antenucci |
Una voce dal cielo | Michela Antenucci |
Direttore | Jordi Bernàcer |
Maestro del Coro | Stefano Colò |
Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini | |
Coro Lirico di Modena |
È di questi giorni la notizia che il Comunale di Modena in vista del primo anniversario della scomparsa di Mirella Freni, associerà il suo nome a quello dell’altra gloria operistica locale, cioè Luciano Pavarotti, al quale il teatro è già dedicato. Scelta doverosa che vede così riuniti i nomi dei due grandi cantanti, accomunati non solo da un lungo e prestigioso sodalizio artistico, ma anche da esperienze di vita e da un’amicizia che non è mai venuta meno. Inoltre questo Don Carlo viene dedicato a Mirella Freni e Nicolai Ghiaurov, grandi interpreti di quest’opera e cittadini modenesi.
Il Teatro Comunale di Modena, a causa del perdurare della pandemia da Covid 19, continua la propria programmazione via streaming con coerenza, impegno e risultati di rilievo; dopo Dido and Aeneas, Werther e Cenerentola in forma scenica è la volta di Don Carlo di Giuseppe Verdi nell’edizione in quattro atti in italiano, questa volta in concerto. Non starò a ripercorre la storia delle versioni dell’opera, proponendo le riflessioni mie (in occasione della proposta parigina in 5 atti in francese dell’ottobre 2017), di Ugo Malasoma (Teatro alla Scala di Milano, gennaio 2009) e David Toschi (Teatro Comunale di Firenze, dicembre 2004).
La ripresa del concerto è stata effettuata il primo febbraio 2021 alla presenza dei soli giornalisti, mentre la trasmissione in streaming è andata in onda il 6 febbraio. Il teatro avvisava gli addetti stampa che la resa acustica, la distribuzione dei musicisti e il rapporto dei volumi fra orchestra, coro e solisti non sono pensati per chi ascolta in teatro bensì per la ripresa video e in virtù delle norme di distanziamento anti-covid. Infatti l’orchestra era disposta per tutta la platea, quindi fuori dal proprio luogo deputato, i coristi, ben distanziati, occupavano tutto il palcoscenico, mentre i solisti erano collocati al proscenio. Alle orecchie di noi giornalisti, dislocati nel quarto ordine dei palchi, giungeva quindi un impatto sonoro disomogeneo, soprattutto a causa dell’invadenza acustica orchestrale, che non di rado falsava gli equilibri e copriva le voci.
Date queste premesse giudicare il lavoro del direttore Jordi Bernàcer non era del tutto agevole. Si aveva l’impressione che il direttore spagnolo ricercasse un’impronta scabra, serrata, volutamente lontana da colori morbidi di ascendenza francesizzante, optando per ampie volute che trascinavano inesorabilmente con loro i destini dei personaggi (e talvolta travolgevano i cantanti). L’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini seguiva diligentemente i dettami del maestro non senza qualche sbavatura, soprattutto nel settore degli ottoni. L’impegnatissimo Coro Lirico di Modena diretto da Stefano Colò forniva anche i sei Deputati fiamminghi, non sempre a fuoco, soprattutto nell’attacco del loro intervento. L’esecuzione seguiva integralmente la versione scaligera del 1884.
Il cast era dominato da due grandi artisti. Il primo, Michele Pertusi, ho avuto l’opportunità di seguirlo fin dal suo esordio in un palcoscenico operistico, Monterone diciannovenne nel cosiddetto Controrigoletto (Pistoia, Piazza Duomo, 12 luglio 1984), una versione in forma di concerto dell’opera verdiana con i transfughi dell’edizione in scena al Teatro Comunale di Firenze, per protesta contro il regista russo Ljubimov. Dopo una prima parte della carriera dedicata in gran parte al belcanto con qualche non occasionale incursione nei periodi successivi, da qualche anno la tendenza si è invertita e i grandi ruoli verdiani sono comparsi sempre più frequentemente tra i suoi impegni. Pertusi aveva già affrontato Filippo II e lo conoscevo da registrazioni, ma era la prima volta che lo ascoltavo dal vivo in questo ruolo. Dopo tanti anni di carriera il tempo ha lasciato segni di poco conto, mentre sono accresciute la compattezza sonora e soprattutto la sottigliezza del fraseggio. Il Filippo di Pertusi, nobile, autorevole, dolente, umanissimo, quasi fragile psicologicamente a momenti, rimaneva impresso nella memoria e si proponeva come alternativa ai tanti Re di Spagna protervi, alteri, aggressivi e, diciamocelo, un po’ a senso unico. Memorabile il monito rivolto a Rodrigo Ti guarda dal Grande Inquisitor, seguito dagli altri due Ti guarda! nei quali traspariva un misto di sgomento, sorpresa, ma soprattutto timore per quell’uomo che lo spiazza e per cui prova ammirazione e forse anche affetto. Quello di Pertusi è un sovrano solo, quasi smarrito nel grande monologo che apre il terzo atto, che, complice un legato d’alta scuola, regalava una lettura del personaggio assai peculiare. Ma a questo grande artista bastavano due paroline che di solito passano inosservate per lasciare il segno. Così il suo Sta ben, rivolto all’Inquisitore lasciava trasparire tutto il travaglio interno del Re.
L’altro elemento fuoriserie era Anna Pirozzi. Il soprano napoletano era quella, tra gli elementi del cast, che meno temeva gli assalti orchestrali che giungevano dalla platea e la voce svettava vittoriosa (travolgente il si 4 in chiusura dell’opera). Non si creda però che il suo canto risultasse avaro di sfumature; la tavolozza dinamica era ricca, con pianissimi, anche in zona acuta, di intonazione adamantina. Con la Pirozzi Elisabetta torna ad essere un soprano lirico spinto, interrompendo la catena delle Mimì e talvolta delle Adine prestate al dramma verdiano, in ottemperanza a una realtà storica che poco o nulla aveva a che vedere né col dramma di Schiller, né con l’opera di cui stiamo trattando. Il soprano in Don Carlo deve cantare su una tessitura che batte spesso sul centro e sul grave (la prima interprete, Marie-Constance Sass era un falcon) con slanci all’acuto che talvolta devono sovrastare nutriti organici orchestrali. Anna Pirozzi riportava il personaggio alla concezione originaria. E l’interprete restituiva ad Elisabetta la compostezza, la dignità della Regina (le indicazioni ricorrenti sullo spartito sono largo, grandioso, commosso, dolce), donna disillusa, piegata alla volontà della ragion di Stato, offesa nel proprio onore, fiera nella propria austera severità, ma a tratti sopraffatta dalla piena dei ricordi della Francia lontana e dell’amore perduto.
Andrea Carè proponeva un Infante fragile emotivamente, tramite un fraseggio ricco di chiaroscuri, particolarmente felice nei duetti con Elisabetta; molto bello ad esempio l’attacco scoperto sul sol bemolle 3 (eseguito come previsto in partitura: a mezza voce, dolcissimo) di Vago sogno m’arrise al quarto atto. Meno felice la sua prova quando lo spartito richiedeva un canto di slancio, anche perché il tenore torinese sembrava (almeno l’altra sera) non aver stretto rapporti di intima amicizia col si 3 (vedi, nel secondo atto, il terzetto con Eboli e Posa e la scena dell’auto-da-fé) e qualche volta anche col si bemolle 3.
Luca Salsi iniziava con voce sonora ma un po’ pesante e soggetta a qualche lieve calo di intonazione (es.: il fa diesis 3 di il tuo dolor nel duetto Don Carlo - Posa del primo atto); poi le cose miglioravano e il baritono emiliano emergeva soprattutto nei momenti politici come la scena con Filippo II, felice per lo slancio, la sincerità degli accenti, la virile immediatezza e gli acuti ricchi di suono. Meno centrate le pagine galanti e cortigiane, come il colloquio con Eboli nella scena del giardino e il successivo Carlo ch’è sol, in debito di leggerezza e varietà di fraseggio, nonché con i trilli solo accennati (vedi anche scena del carcere); caratteristica quest’ultima comune però al 95% dei baritoni di cui ci sia testimonianza sonora, molti dei quali, anzi, nemmeno ci provano e tirano dritto senza curarsi dello spartito. Per rendere il lato più tenero del personaggio si notava uno sforzo maggiore del solito nel variare le dinamiche (Per me giunto è il dì supremo) e alcune frasi (es.: Sospetti tu di me? verso la fine della scena del giardino del secondo atto, come altre nella scena del carcere) erano da tenere a mente per sensibilità e delicatezza. Buono infine O Carlo ascolta e quel che segue.
Judit Kutasi sosteneva piuttosto agevolmente la tessitura in più di un momento sopranile di Eboli (ma il do bemolle di Ah! Ti maledico in O don fatale e gli acuti finali della stessa aria apparivano un poco tirati), esibiva una certa facilità di emissione nei melismi della Canzone del velo che salgono più volte al la 4, mentre meno fluide apparivano le sempre ostiche sestine. Ma il trentaquattrenne mezzosoprano rumeno nonostante risolvesse con una certa souplesse tutte le insidie del ruolo, rimaneva tuttavia un poco confinato in un limbo di genericità espressiva. Non mostrava insomma mai la zampata che distingue la fuoriclasse dalla buona professionista.
Di buon impatto sonoro Il Grande Inquisitore di Ramaz Chikviladze, ruvido e monolitico, impari al confronto con Pertusi.
Il Frate di Adriano Gramigni si disimpegnava con correttezza e buon mestiere.
Garbata vocalità quella di Andrea Galli (Araldo reale e Conte di Lerma) e gradevole e fresca Michela Antenucci (Tebaldo e Una voce dal cielo).
Nell’ascolto streaming si notavano alcune differenze rispetto alla recita ascoltata dal vivo. Innanzitutto gli equilibri sonori risultavano più omogenei, come era prevedibile, e la direzione di Bernàcer ci guadagnava senza le bordate di suono che talvolta travolgevano il palcoscenico, libere di espandersi com’erano fuori dal golfo mistico. Così si aveva una maggiore sensazione di morbidezza e colori più tenui avevano modo di manifestarsi. Altra differenza nell’ascolto video era il livellamento dei volumi dei cantanti, cosicché la più penalizzata appariva quella che aveva la voce più sonora, cioè Anna Pirozzi. Discorso opposto, naturalmente, per chi in teatro appariva meno sonoro. Altra impressione è che siano stati corretti alcuni passi, soprattutto orchestrali. Comunque la qualità complessiva della ripresa mi è parsa buona, fatta eccezione per alcune microinterruzioni audio.
La recensione si riferisce alla recita del 1 febbraio 2021 aperta solo alla stampa e programmata in streaming a partire dal 6 febbraio 2021.
Silvano Capecchi