Direttore | Riccardo Chailly |
I Soprano (Magna Peccatrix) | Ricarda Merbeth |
II Soprano (Una Poenitentium) | Polina Pastirchak |
Soprano (Mater gloriosa) | Regula Mühlemann |
I Contralto (Mulier Samaritana) | Wiebke Lehmkuhl |
II Contralto (Maria Aegyptiaca) | Okka von der Damerau |
Tenore (Doctor Marianus) | Klaus Florian Vogt |
Baritono (Pater ecstaticus) | Michael Volle |
Basso (Pater profundus) | Ain Anger |
Maestri dei cori | Alfonso Caiani, Bruno Casoni, Alberto Malazzi |
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala | |
Coro del Teatro La Fenice | |
Coro di Voci biache dell'Accedemia Teatro alla Scala |
Al termine dell’intensa tournée con la Filarmonica a Budapest, Vienna e Linz, Riccardo Chailly è tornato a Milano per l’atteso concerto con l’orchestra scaligera e una compagine corale che allineava, oltre alla formazione di casa, anche quelle della Fenice e delle voci bianche dell’Accademia, per l’attesa esecuzione dell’Ottava Sinfonia di Mahler, meglio conosciuta con l’appellativo “dei mille” affidatole dall’impresario Emil Gutmann in occasione della prima esecuzione avvenuta a Monaco nel 1910. La monumentale partitura, il cui sterminato organico - tra voci soliste, cori e orchestra – può avvicinarsi effettivamente ai mille esecutori, è stata eseguita solamente altre due volte nella sala del Piermarini: nel 1962 con Hermann Scherchen e nel 1970 sotto la giuda di Seiji Ozawa.
La relativa rarità di esecuzione rispetto alle altre sinfonie mahleriane si può forse spiegare, oltre all’impegno richiesto, anche con una certa ambiguità formale e di contenuti che caratterizza le due macro parti sulle quali si struttura la partitura. L’accostamento del “Veni creator” - inno liturgico dedicato allo Spirito Santo risalente al IX secolo - del primo movimento con i versi dell'ultima scena del secondo Faust di Goethe, scelti dall’autore per la struttura episodica della seconda parte, pone la necessità di trovare un nesso e, di conseguenza, il senso profondo e autentico della composizione. Dall’altra la sua forma ecclettica e per certi versi ibrida - tra Cantata, Oratorio, musiche di scena non immemori di un’impronta operistica - pone all’esecutore la difficoltà di conciliare in una prospettiva unitaria aspetti differenti.
Lo stile stesso è molto diverso e secondo alcuni illustri musicologi - Adorno in testa - addirittura una regressione rispetto al percorso sinfonico mahleriano. Non a caso ancora oggi illustri interpreti del compositore guardano con un certo imbarazzo a questa sinfonia e la affrontano sporadicamente. Non è il caso di Riccardo Chailly il quale ha diretto l’Ottava in più occasioni (nel 2016 la scelse per commemorare Abbado ed iniziare il proprio mandato come responsabile del festival di Lucerna) e l’altra sera, in una sala gremita, ha mostrato di saper conferire il giusto valore ai molteplici aspetti della sinfonia, ponderando con attenzione le intenzioni di ampio respiro come quelle di riflessione e contemplative. La distesa e solenne invocazione di apertura da parte del coro, scandita senza retorica dalle compagini corali affidate alle abili cure di Bruno Casoni (voci bianche), Alberto Malazzi (coro scaligero) e Alfonso Caiani (coro della Fenice), si è affermata con particolare perentorietà come una presa di posizione decisa e convinta innanzi al divino da parte di un’umanità ben consapevole dei propri diritti.
Rischiando di essere un po’ troppo schematici, possiamo suddividere in due gruppi le tendenze interpretative dell’Ottava in quanti assecondano o addirittura esasperano la monumentalità dell'opera (enfatizzando le sonorità, allargando i tempi e spingendo al massimo la ampiezza dinamica) e coloro i quali, invece, preferiscono circoscriverne l’eloquio riducendo gli effetti retorici e assottigliando gli spessori fonici e le trame polifoniche. Riccardo Chailly ha sintetizzato le due tendenze mitigando, nella prima parte, le sfarzosità sonore e ritmiche con l’intimità contenuta e dignitosa dell’invocazione “Infirma nostri corporis” e, ancor precedentemente, nell’implorazione “Imple superna gratia”.
Astrazione e intensità - a tratti drammatica - sono stati invece i due poli emotivi della seconda parte nella quale con Chailly, chiusa ormai la visione celestiale d’inizio, l’orchestra, con squisiti sprazzi strumentali e solistici, è intervenuta in prima linea per approdare ad una intensa e tesa passionalità terrena. Anche qui il maestro ha dato prova di una visione unitaria della mastodontica architettura nella quale gli sfarzi delle masse corali e orchestrali si dettagliavano internamente in tenerissime oasi cameristiche (basti pensare alle trasparenze della trama orchestrale dell'inizio della seconda parte). Ci pare che Chailly sappia trovare l'unitarietà di questa complessa sinfonia attraverso un meticoloso e scrupoloso rispetto del testo, dei colori, dei tempi e dei singoli episodi. Una molteplicità stilistica e di forma per le quali sarebbe molto facile - e in molte esecuzioni effettivamente lo è - abbandonarsi nei rivoli della partitura perdendo di vista il complesso dell'opera.
Buoni i solisti: la voce di buon volume di Ricarda Merbeth (Magna Peccatrix), la precisa Polina Pastirchak (Una Poenitentium), la garbata e luminosa Regula Mühlemann (Mater gloriosa), il timbro morbido e caldo di Wiebke Lehmkuhl (Mulier Samaritana) e, completando le parti femminili, Okka von der Damerau (Maria Aegyptiaca). Per gli uomini: un magnifico Michael Volle dai toni stentorei e espressivo nel fraseggio, Klaus Florian Vogt (Doctor Marianus) squillante ma non sempre attento nelle note alte e, infine, Ain Anger (Pater profundus) dalla voce robusta e ben dispiegata nel registro grave. La nuova camera acustica della Scala migliora ma non risolve i problemi della sala per il repertorio sinfonico. Caloroso il consenso del pubblico.
La recensione si riferisce al concerto del 18 Maggio 2023
Lodovico Buscatti