Sir John Falstaff | Ambrogio Maestri |
Ford | Luca Micheletti |
Fenton | Juan Francisco Gatell |
Dr. Cajus | Antonino Siragusa |
Bardolfo | Christian Collia |
Pistola | Marco Spotti |
Mrs. Alice | Rosa Feola |
Nannetta | Rosalia Cid |
Mrs. Meg | Martina Belli |
Mrs. Quickly | Marianna Pizzolato |
L'oste della Giarrettiera | Mauro Barbiero |
Robin, paggio di Falstaff | Loenzo Forte |
Direttore e concertatore | Daniele Gatti |
Regia | Giorgio Strehler |
ripresa da | Marina Bianchi |
Scene e costumi | Ezio Frigerio |
Scene riprese da | Leila Fteita |
Supervisione dei costumi | Franca Squarciapino |
Luci | Marco Filibeck |
Coreografia | Anna Maria Prina |
Maestro del coro | Alberto Malazzi |
Preparatore delle Allieve della scuola di Ballo dell’Accademia del Teatro alla Scala |
Frédéric Olivieri |
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala | |
Allieve della scuola di Ballo dell’Accademia del Teatro alla Scala |
Era il 7 dicembre 1980 quando potemmo apprezzare per la prima volta il Falstaff con la regia di Giorgio Strehler, che fu poi messo in scena con rinnovato successo fino al 2004. Anche le successive regie di Carsen (2013) e Michieletto (2017) ebbero un grande successo ma il Falstaff senza Windsor, ambientato con creatività nella pianura padana ci è rimasto dentro nei ricordi più felici. Quindi un’ambientazione nelle terre di Verdi, con aie, covoni di fieno, cascinali di mattoni, tanto sole con afa, quella delle giornate estive, che ti faceva anelare all’ombra delle osterie tipiche della bassa, con le grandi botti di vino a promettere bevute magistrali. La regia di Marina Bianchi, che riprende quelle fantastiche serate, con le scene (ricordiamo la grande quercia di Herne che aggiunge un po’ di mistero all’abboccamento delle fate, sormontata da una grande luna) e i costumi di Ezio Frigerio (scene riprese da Leila Fteita con la supervisione dei costumi di Franca Squarciapino), le luci di Marco Filibeck e la vivace coreografia di Anna Maria Prina (davvero tenere le piccole allieve ballerine dell’Accademia del Teatro alla Scala dirette da Frédéric Olivieri), riproduce la gestualità di un’umanità sanguigna, con tanta sensualità ma anche con quella malinconia tipica di quelle genti avvezze al duro lavoro dei campi e degli allevamenti, che talora tradisce le aspettative più rosee. Comari sveglie, vitalissime nel gestire la loro quotidianità e pronte a fare capannelli dove si spettegola a più non posso. Così si apprezzano tanti piccoli particolari registici: la caccia al “cignale” che ha una precisione e un gusto ironico ben calibrato, con il finale spassoso della cesta, con Falstaff e la biancheria, che capitombola giù dalla finestra nel Tamigi. La passione sensualissima di Nannetta e Fenton che amoreggiano su un carro di fieno. L’ironia di Alice, ricca di quel buon senso contadino che non si fa prendere per il naso da chicchessia ma neppure insensibile al poetico corteggiamento di un obeso bellimbusto. Lo stesso Falstaff ha la corposità piena ma pensosa ed altrettanto vitalistica di un vecchio soldato, che in vita ne ha viste di tutti i colori ma che boriosamente non ha perso minimamente il gusto della seduzione. Qua e là anche la gestualità della farsa fa capolino con tutte le smorfie della Commedia dell’Arte, gags brillanti, come quelle di Robin, il piccolo paggio di Falstaff (il bravissimo Lorenzo Forte) che gioca con lui a carte e che ripete paro paro gli atteggiamenti vanagloriosi del padrone. Eppoi, il finale coloratissimo e pieno di vita. Insomma, una ricreazione per gli occhi, che si sono ancora una volta riempiti di solare esuberanza.
La concertazione di Daniele Gatti chiama l’applauso incondizionato. Ricca nel ritmo e attentissima ai particolari strumentali (il tintinnio scintillante del triangolo e dei legni nel richiamare il sacco delle monete o i violini leggerissimi nei soavi trilli a ritmo di danza che conducono Falstaff tutto agghindato al convegno amoroso, ma anche i trilli dei fagotti sarcastici nella seduzione seguente o il corno lontano con il dolce controaltare del corno inglese che principiano l’incanto della “magia” nel parco di Windsor), con una pulsazione dinamica inesausta che non dimentica affatto i tanti indugi ed aperture melodiche. La densità dell’orchestra qua e là risulta un po’ debordante (le voci dei protagonisti hanno chi più chi meno poco volume) ma il fraseggio dei personaggi emerge comunque, con i chiaroscuri della partitura, tra luminosità e penombre, che sono tutti al loro posto: l’eterea trasparenza nella scena delle fate al terzo atto, con il delicato minuetto per il matrimonio dei due giovani innamorati o l’agitatissimo ingresso di Ford a “caccia”, con gli archi concitati a descrivere l’uragano di affanno e rabbia che alberga nel suo animo gelosissimo. Viviseziona il grande teatro shakespeariano, che arricchisce di brio, irrequietezza e vitalità, dedicate principalmente alle allegre comari di Windsor. Avvolge l’idillio dei due giovani innamorati con un accompagnamento che ingloba leggerezza, grazia e maliziosità. Il quartetto “a cappella” delle donne al primo atto incede con saltellante brillantezza, mentre il “canone a cinque” degli uomini è animato ma non caotico, come vivaci nel contrappunto ma mai confusionari suonano i concertati dei finali uno e due. Davvero bello il breve preludio al terzo atto, con quel crescendo dinamico dei contrabbassi e le cascate discendenti dei violini a ricordare l’acqua che gronda da un protagonista di pessimo umore, amareggiato ed immalinconito, che tuttavia si rianima, tornando alla proverbiale trillante giovialità nell’andante sostenuto di “Ehi! Taverniere!”. La Fuga, poi, chiude meravigliosamente la concertazione, tra una ritmica comicità e una tarantella leggera e gioiosa.
Bene il coro diretto da Alberto Malazzi, delicato e trasparente all’ingresso delle fate.
Chi delude invece è proprio Ambrogio Maestri nel riproporre il ruolo che l’ha reso famoso nel mondo. Il suo Falstaff ha ancora il giusto phisique du rôle ma, gli anni passano inesorabili, e il timbro si è inaridito, la voce si è spolpata nel volume, l’emissione è qua e là accidentata, con l’accento e il legato da minimo sindacale, la salita agli acuti e gli acuti stessi assai faticosi, con mezzevoci o coperte dall’orchestra o parecchio opache e il falsetto privo di corpo o “gracchiante”. Il fraseggio ovviamente ne risente, così che sembra sempre sulla difensiva e non incide più di tanto: il Monologo è privo di grossolanità, certamente, ma non impressiona; ispira simpatia e cordialità nel colloquio con Ford con un’autostima che manca un po’ di pomposità, per esempio nel “Va’, vecchio John” o nel duetto con Alice. Per contro il personaggio si carica di un’opportuna amara malinconia per tutti gli sberleffi subiti, anche con una certa eroica dignità. Maestri, in definitiva, riesce a trasmetterci l’idea che Falstaff, così crepuscolare, è una simpaticissima e tenera canaglia.
Luca Micheletti si cala nel personaggio di Ford con gusto. L’arioso “È sogno? o realtà?” si sviluppa in un discreto trascolorare di sentimenti: dall’allucinazione all’ira, dallo stupore alla gelosia, tra il disincanto e l’invettiva, tra la disperazione e i propositi di rabbiosa vendetta. E se il fraseggio è ricco non da meno risultano i fondamentali con acuti ben timbrati.
Il timbro smaltato e l’emissione delicata di Juan Francisco Gatell sono ideali per disegnare da un lato la tenerezza e l’ingenuità ma dall’altro anche la esuberanza giovanile dell’innamorato Fenton.
Spassoso il trio comico degli uomini: Antonino Siragusa è il dottor Cajus, Christian Collia è Bardolfo e Marco Spotti Pistola.
Bravissima la Alice Ford di Rosa Feola. Brillante nel timbro, con un’emissione morbida e squillante negli acuti. Personaggio di grande umanità, di femminilità rigogliosa e di contagiosa gioia di vivere in “Gaie comari di Windsor”. Spiritosa, piena di charme ed eleganza e dal fraseggio inoppugnabile, con colorature leggere e briose: dal risentimento di “Falstaff m’ha canzonata” alla civetteria del progettato castigo, dalla solidarietà di madre verso Nannetta alla sensualità sviluppata nel duetto con Falstaff.
Rosalia Cid è la vivace Nannetta. Ha voce soave, un’emissione garbata e filati eterei e vibranti a tessere una leggerissima tela di ragno insieme all’orchestra diafana in “Sul filo d’un soffio etereo”.
Convincenti la ruffiana intrigante, ironicamente ossequiente, con un pizzico di esibita maestosità tronfia Marianna Pizzolato nel ruolo di Mrs. Quickly e la degna sodale Martina Belli in quello di Mrs. Meg Page.
Citiamo anche Mauro Barbiero nel ruolo muto dell’oste della Giarrettiera.
A conclusione, vivo successo per tutti i protagonisti: direttore, cantanti e i responsabili della messa in scena che hanno ripreso con gusto questo storico spettacolo.
Maestri si è portato per mano al proscenio il piccolo Lorenzo Forte, il paggio che ha messo tanta allegria nella sua recita da attore consumato meritando calorosi applausi.
La recensione si riferisce alla prima del 16 gennaio 2025.
Ugo Malasoma