Pianoforte | Alexei Volodin |
Franz Schubert | da 3 Klavierstück D946: n. 2 in mi bemolle maggiore |
Ludwig van Beethoven | Sonata n. 24 in fa diesis maggiore, op. 78 "À Thérèse" |
Nikolay Medtner | Sonata - Ballata in fa diesis maggiore, op. 27 |
Modest Musorgskij | Quadri di un'esposizione |
È passato un po' in sordina l'appuntamento della Società dei Concerti all'auditorium del conservatorio di Milano, e un po' dispiace perché lo sparuto pubblico meneghino si è trovato faccia a faccia con un pianista che ha fatto faville, dimostrando di sapersi districare con grande brillantezza tra pezzi più o meno facili, colpi di tosse (immancabili) e cellulari che squillano (ormai, ahimè, immancabili anch'essi).
Alexei Volodin, pianista russo classe 1977 ha iniziato a farsi conoscere piuttosto giovane, sebbene il suo nome non sia mai transitato con regolarità sui cartelloni del nostro paese. Si presenta al recital della Società dei Concerti con un programma curioso e ben assortito: lo Schubert dei Klavierstücke e il Musorgskij dei Quadri di un'esposizione – classici evergreen sempre piacevoli da ascoltare – e la meno eseguita Sonata n. 24 di Beethoven, la cui fortuna critica ha avuto alti e bassi (nonostante l'opinione dello stesso compositore che la considerava migliore del “Chiaro di luna”); ma ad incuriosire è soprattutto la Sonata-Ballata in fa diesis maggiore di Nikolay Medtner, un compositore il cui nome non compare molto spesso sui cartelloni.
Volodin è un pianista di razza e si nota fin da Schubert. Dei tre Klavierstücke propone solo il secondo, quello dal sapore più intimistico, con quel suo sei ottavi barcaroleggiante in apertura. Certamente, i Klavierstücke non sono il banco di prova più impegnativo per un musicista: sono considerati pezzi piuttosto semplici, composti da Schubert per gli amatori; eppure, forse è proprio qui che si rivela il valore di un interprete, nella sua capacità di infondere nuova luce anche sulle opere meno difficili. Non prova di virtuosismo, ma di sensibilità artistica. E Volodin dimostra di averne a volontà: affronta la lenta melodia con attenzione, esaltando le pause e controllando la dinamiche di ogni singola nota, per poi sfociare con incisività nelle sezioni successive. Anzi: forse è proprio per la non difficoltà tecnica che il pianista si può sbizzarrire nel cavarne tutto il sentimento possibile, scivolando da una sezione all'altra con una sinuosità da ballerino della tastiera.
Ed è così anche nella successiva Sonata n. 24 in fa diesis maggiore di Beethoven, composta di due soli movimenti, ma estremamente differenti: la tenerezza intimistica del primo Adagio cantabile Allegro non troppo, fa quasi a pugni con il tema fanfaresco dell'Allegro assai. Volodin sembra trovare l'unità nella ricchezza dei colori che scaturiscono dal Fazioli messogli a disposizione. Il pianista dimostra di possedere un tocco leggiadro e molto misurato nelle dinamiche.
Se Schubert e Beethoven risultano piuttosto simili nell'approccio interpretativo, il discorso si fa più interessante con Nicolay Medtner. Pianista e compositore, egli fu un altro esempio di quella scuola pianistica russa del primo Novecento i cui massimi rappresentanti furono Rachmaninov e Skrjabin. La Sonata-Ballata op. 27 è forse uno dei suoi lavori più noti e “iconici”. Anch'essa in fa diesis maggiore, come la sonata beethoveniana, una tonalità non certo semplice per il pianoforte. La scrittura è densa e prolissa: tre movimenti, strutturati in un'unica arcata, ispirata ad un poema religioso di Afanasij Fet-Šenšin che descrive le tentazioni di Cristo nel deserto, in uno scontro tra luce e buio metaforizzato nel più classico dei contrasti zona acuta-zona grave del pianoforte. C'è nel modo di suonare di Volodin tutto un mondo sentimentale che poco ha a che spartire con il virtuosismo freddo e distaccato: il nostro guarda prima agli affetti piuttosto che agli effetti fini a sé stessi. E il suo studio dello spartito pare trovare l'approvazione del pubblico meneghino.
Approvazione confermata anche dopo l'intervallo, nei Quadri di un'esposizione. L'interpretazione del capolavoro musorgskiano conferma le impressioni che già avevamo avuto nella prima parte: Volodin è un pianista capace di esprimersi sugli ottantotto tasti con slanci lirici anche nelle parti più percussive. Pensiamo qui ad uno Gnomus (primo quadro) dal tocco decisamente pittoresco e leggiadro, oppure ad una Baba Yaga (penultimo quadro) dalle sfumature meno tenebrose di quanto siamo soliti ascoltare.
Anche il pubblico sembra piacevolmente sorpreso e applaude il pianista a lungo.
La recensione si riferisce al concerto del 25 ottobre 2023.
Emiliano Michelon