Violino | Julia Fischer |
Direttore | Vasily Petrenko |
Royal Philharmonic Orchestra | |
Lera Auerbach | Icarus |
Pëtr Il'ič Čajkovskij |
Concerto per violino e orchestra, op. 35 |
Modest Musorgskij |
Tableau d'une exposition (trascrizione per orchestra di Maurice Ravel) |
C'è la Russia al centro di uno dei concerti più attesi di questo Festival Mito Settembre Musica. Anzi, ce ne sono tante, e tante sono anche le Russie mancanti, causa l'immensa vastità geografico-musicale del Paese. Ma più che gli assenti, contano i presenti: c'è la siberiana Lera Auerbach, una degli ultimi artisti ad essere scappati dal regime sovietico; c'è il cosmopolita Čajkovskij, il più “europeo” dei compositori russi della sua generazione; e c'è Musorgskij, che di quella stessa generazione era uno dei più nazionalisti, quasi uno strenuo antagonista del Čajkovskij. E russo è anche il direttore, Vasily Petrenko, che ha saputo amalgamare il tutto in una serata entusiasmante, infiammando l'auditorium stracolmo del Conservatorio Verdi, il quale non avrebbe più voluto lasciarlo andare via, non fosse stato per un malore a metà concerto – poi ci arriviamo – che l'ha indotto alla clemenza. E c'è anche Julia Fischer, che russa non è, ma poco importa, le ovazioni ci sono anche per lei, per il suo Čajkovskij e per il suo Paganini (Capriccio n. 13) che concede come encore.
Lera Auerbach, ex enfant prodige, cinquantenne compositrice, scrittrice, artista a tutto tondo: il suo Icarus, ispirato all'eponimo mito, è un brano tenebroso, quasi un quadro in musica, non lontano in questo dai Quadri di Musorgskij della seconda parte del cartellone. Auerbach pone l'attenzione sulla figura del padre Dedalo, colui che ha costruito le ali che porteranno Icaro troppo vicino al sole: un grande successo divenuto tragedia. La musica è intrisa di una drammaticità epica resa benissimo da Petrenko e da tutta la Royal Philharmonic Orchestra. Violini sulfurei e ottoni “teutonici” aprono il lavoro, come a voler raffigurare il momento della caduta; Auerbach compone una musica incalzante, sempre in tensione, fino al climax finale che si spegne in un sibilo di vita.
L'eccellente prova dell'orchestra è stata alla base anche dell'ottima riuscita del Concerto per violino di Čajkovskij, con la suddetta Fischer come solista. Anzi, sarà stato il fraseggio brillante della tedesca, unita alla più che magistrale interpretazione dell'orchestra, ma il boato inaspettato, fragoroso del pubblico esplode già al termine del primo movimento. E ce n'erano tutte le ragioni: l'intesa tra Petrenko e l'orchestra (di cui è direttore principale) è totale e Fischer si muove sicura sul terreno accidentato del concerto; che sarà pure un'opera che conosce a menadito, ma certi passaggi ostici vengono risolti con una semplicità a tratti disarmante.
È verso la fine di un Andante particolarmente languido che accade l'imprevisto: Petrenko trema vistosamente, si appoggia con tutto il peso al leggio, i musicisti si lanciano a sorreggerlo, gli allungano una sedia e una bottiglia d'acqua. Qualche minuto di preoccupazione, poi lo stesso Petrenko si volta verso la platea e mormora un «scusi». Il concerto riprende, con Petrenko a dirigere da seduto e termina trionfante.
Sarà ancora il direttore a rassicurarci sulle sue condizioni dopo la pausa: sale sul podio, sorride, pollici in su a indicare che sta bene. Gli è stato portato uno sgabello, ma torna a dirigere in piedi dei Quadri di un'esposizione di un'opulenza sonora quasi stordente. Ravel era un raffinatissimo orchetratore, ma la sua versione dei Quadri ha il piccolo difetto – a parere nostro, s'intende – di aver smussato le originarie asperità della partitura musorgkijana, una levigatura impressionista sicuramente affascinante, ma forse poco attinente alla spirito di Musorgskij. Petrenko tratteggia dei Quadri dai contorni nettissimi e dai colori che più vividi non si può. Fin dalla celeberrima melodia che accompagna il percorso espositivo, dal primo all'ultimo trionfale quadro della grande porta di Kiev: il direttore è abilissimo nel tratteggiare i chiaroscuri e l'orchestra risponde alle sue imbeccate con un suono scuro e ricco di dettagli: quel tipo di sonorità che avvolge il pubblico non solo dalle orecchie, ma coglie direttamente alla parte più emotiva dell'ascolto.
Un successo calorosissimo e meritato per Petrenko e la Royal Philharmonic Orchestra.
La recensione si riferisce al concerto del 14 settembre 2023.
Emiliano Michelon