Leandro | Shira Patchornik |
Giacomina | Valeria La Grotta |
Elisa | Martina Licari |
Lauretta | Natalia Kawatek |
Colagianni | Camilo Delgado Díaz |
Lamberto | Matteo Loi |
Direttore | Federico Maria Sardelli |
Regia | Jean Renshaw |
Scene e costumi | Lisa Moro |
Lighting designer | Pietro Sperduti |
Orchestra Barocca Modo Antiquo |
Il Festival della Valle d’Itria è ritornato su una delle costanti più apprezzate della sua storia, la musica barocca, allestendo al Teatro Verdi di Martina Franca la prima rappresentazione moderna de L’Orazio, opera composta da Pietro Auletta sul finire di quel genere musicale. Una proposta di grande interesse, quella del direttore artistico Sebastian F. Schwarz, che ha affidato alla sapiente bacchetta di Federico Maria Sardelli la cura di un lavoro la cui storia editoriale ed esecutiva è alquanto farraginosa. Ricostruita peraltro con grande chiarezza dagli scritti di Bianca De Mario, Giuseppina Crescenzo e dello stesso Sardelli.
Basato sul libretto di Antonio Palomba, poi divenuto prolifico librettista napoletano, L’Orazio fu rappresentato per la prima volta a Napoli al Teatro Nuovo nel Carnevale del 1737, quando Auletta è già da diverso tempo maestro di cappella del Principe di Belvedere. Dopo la première, data al Teatro Nuovo di Napoli nel carnevale del 1737, l’opera venne riallestita per ben 20 volte in giro per l’Europa, fino al 1764. Un successo che ne ha determinato la continua metamorfosi, in una girandola d’interpolazioni e di attribuzioni errate che trovarono il culmine quasi due secoli più tardi, quando l’antiscientifica impresa degli Opera Omnia pergolesiani annoverò nel 1942 una versione condensata e mutilata dell’opera che fu di Auletta, attribuendola a Pergolesi sotto il titolo de Il maestro di musica.
«Accingersi a dar la prima in tempi moderni dell’Orazio di Pietro Auletta e Antonio Palomba è impresa difficile e piena d’insidie - ha sottolineato infatti Federico Maria Sardelli - L’Orazio ha avuto la ventura/sventura di essere un’opera di grande successo: nulla di peggio, nel Settecento, per alterare e pian piano distruggere ogni integrità della sua struttura originaria. Chi dà alla luce l’edizione critica della partitura assolve un compito improbo, non soltanto perché la rete delle progressive modificazioni non è sempre chiara o attestata, ma perché per di più non esiste alcun testimone musicale risalente alla prima del 1737. È dunque impossibile stabilire un qualsiasi "testo originario". L’Orazio divenne un pasticcio subito dopo esser nato, tagliando il cordone ombelicale che lo legava al suo autore e disseminandosi come tale lungo trent’anni di continui successi».
In questo caso la scelta, nell’impossibilità di ristabilire il testo del 1737, è caduta sul manoscritto di Firenze, ritenuto il più attendibile, che raccoglie materiali esecutivi relativi alle esecuzioni del 1740-1749. Mancando in tutti i manoscritti arrivati a noi la sinfonia originaria, Sardelli ha optato per quella de La locandiera dello stesso Auletta, andata in scena al San Carlo nel 1738. E sin da queste iniziali battute la concertazione di Sardelli, sul podio dell’eccellente Orchestra Barocca Modo Antiquo, si è rivelata ancora una volta esemplare per chiarezza di gesto e precisione negli attacchi, vibrante all’occorrenza ma sempre attenta a cesellare perfettamente ogni passaggio della partitura.
Omogeneo e di livello il cast, a iniziare dal soprano israeliano Shira Patchornik nella parte en travesti di Leandro, risolta con voce fresca e ben emessa e con un fraseggio accurato anche nei momenti di maggiore coloratura. Virtuosismi che hanno caratterizzato, soprattutto nelle arie di bravura, pure le ottime prove del soprano Valeria La Grotta, Giacomina di spiccata musicalità e capace di accenti ammirevoli anche nei momenti più ricchi di pathos; e del soprano Martina Licari, Elisa dalla voce ricca di armonici e sempre precisa ed elegante nel fraseggio. Il mezzosoprano Natalia Kawatek ha interpretato la parte di Lauretta con voce adeguata e notevole verve scenica, elementi che hanno contraddistinto anche le prove del baritono Matteo Loi come Lamberto e del tenore Camilo Delgado Díaz nella parte di Colagianni.
Non del tutto convincente, invece, l’allestimento firmato dalla regista Jean Renshaw, con le scene (solo un praticabile inclinato su cui era poggiato un pianoforte) e i moderni costumi di Lisa Moro, e l’efficace lighting design di Pietro Sperduti. Forse un ambiente troppo freddo e vuoto per rendere adeguatamente l’intrigante veste comica della trama, che è emersa meglio dalle vivaci capacità attoriali dei protagonisti su cui la regista ha ben lavorato.
Alla fine calorosissimi applausi per tutti gli interpreti.
La recensione si riferisce alla serata del 22 luglio 2023
Eraldo Martucci