Beatrice di Tenda | Giuliana Gianfaldoni |
Filippo Maria Visconti | Biagio Pizzuti |
Agnese del Maino | Theresa Kronthaler |
Orombello | Celso Albelo |
Anichino / Rizzardo del Maino | Joan Folquè |
Direttore | Marco Spotti |
Maestro del coro | Fabrizio Cassi |
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli di Bari | |
Esecuzione di forma di concerto |
Con le recite in forma di concerto di Beatrice di Tenda, il Festival della Valle d’Itria conferma di avere tra i suoi autori prediletti Vincenzo Bellini. Ad esclusione di "Adelson e Salvini", il suo primo titolo ad essere composto, è stato infatti rappresentato l’intero corpus del genio catanese. Una storia iniziata agli albori del Festival, nel 1977, quando andò in scena la "Norma" con le parti della protagonista e di Adalgisa affidate a due soprani, così come era avvenuto nella prima edizione del 1831. Una produzione passata alla storia che vide protagonista Grace Bumbry nel ruolo del titolo. E al celebre soprano americano è stato conferito, durante la seconda recita di "Beatrice di Tenda", il Premio Rodolfo Celletti 2022, intitolato appunto al grande critico musicale che all’epoca era direttore artistico del Festival. A consegnarglielo, in un’atmosfera di grande commozione, il presidente della Fondazione Paolo Grassi, ente produttore del Festival, Franco Punzi, e il direttore artistico Sebastian F. Schwarz.
Ritornando al rapporto di Bellini con il Festival, un’altra rappresentazione storica è stata quella de "I Capuleti e i Montecchi" del 1980, diretti da Alberto Zedda e con protagonisti Luciana Serra, Martine Dupuy, Dano Raffanti e Luigi De Corato. Nel 1983 andò in scena "La straniera" diretta da Tiziano Severini, mentre nel 1985 toccò a "I puritani", che vide trionfare il soprano Mariella Devia nel ruolo di Elvira, per la cui interpretazione si aggiudicò il Premio Abbiati. Sarà ancora Alberto Zedda a dirigere "Il pirata" nel 1987, mentre nel 1994 fu la volta de "La sonnambula" affidata alla coppia d’assi Patrizia Ciofi e Giuseppe Morino. Ed è ancora la Ciofi nel 2005 a tenere a battesimo "I Capuleti e i Montecchi" nella versione scritta per il Teatro alla Scala il 26 dicembre 1830 e riadattata da Bellini in alcuni ruoli, fra i quali quello “en travesti” di Romeo che dalla consueta tessitura mezzosopranile passa a quella di soprano. L’ultima opera belliniana presente al Festival, prima di questa Beatrice, è stata "Zaira" nel 2012.
"Beatrice di Tenda" va in scena al Teatro La Fenice il 16 marzo 1833, con Giuditta Pasta nel ruolo del titolo. Il libretto di Felice Romani è ispirato a una vicenda reale avvenuta nel 1418 nei pressi di Milano. Il lavoro fu segnato da non poche discussioni fra il musicista catanese e il poeta ligure: quest’ultimo infatti consegnò il libretto assai in ritardo e Bellini gli addossò la colpa del poco successo dell’opera, troncando il loro sodalizio lavorativo. Protagonista assoluta è Beatrice – spesso paragonata alle regine donizettiane ma da esse in realtà molto diversa – sposa infelice, consapevole dell’ineluttabilità del fato che la condanna alla morte terrena, ma tranquilla della pace celeste. A proposito di quest’opera, che alterna pagine bellissime ad altre meno ispirate, Fabrizio Della Seta, insigne musicologo e autore di un recentissimo volume su Bellini, scrive nelle note di sala che «è l’opera belliniana che ha avuto maggiore influenza su Verdi anche sotto il profilo stilistico.
Fra i tratti che saranno caratteristici del maestro più giovane, il più importante è che, sebbene contenga molte splendide melodie, il fondamento della sua struttura non è melodico bensì ritmico: molti passi si basano sulla ripetizione di brevi figure dal ritmo ostinato…Questo modo di procedere sarà ricorrente in Verdi, mentre è abbastanza raro nelle opere precedenti di Bellini». Caratteristiche che l’impeccabile direzione di Michele Spotti (subentrato all’ultimo a Fabio Luisi), sul podio dell’affidabile Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, ha messo ottimamente in risalto con un gesto nitido ed elegante, capace di assecondare tutte le dinamiche presenti nella partitura con abbandono melodico ma anche con la giusta incisività, sempre attento però alle ragioni del canto. Nel ruolo di Beatrice si è fatta ammirare il soprano tarantino Giuliana Gianfaldoni, le cui meravigliose filature e il timbro morbido e luminoso anche nel facile registro acuto le hanno consentito di onorare l’impervia scrittura belliniana con un’interpretazione dolente e malinconica che ben si confaceva alle sue due principali arie solistiche: “Ma la sola, ohimé! son io... Ah! La pena in loro piombò...” (Scena sesta dell'Atto I) e “Deh! Se un'urna è a me concessa... Ah! la morte a cui m'appresso...” (Scena ultima).
Di grande rilievo anche la prova del baritono Biagio Pizzuti nella parte di Filippo Maria Visconti, risolta con una voce ben emessa, stile appropriato e fraseggio incisivo. Con un timbro pieno, ma con un’inflessione “nasaleggiante”, il tenore Celso Albelo ha delineato un Orombello efficace ma spesso forzato. Vocalmente e stilisticamente adeguata l’Agnese del Maino del mezzosoprano Theresa Kronthaler. A completare validamente il cast il tenore Joan Folqué nella doppia parte Anichino / Rizzardo del Maino. Molto bene il Coro del Petruzzelli, ben guidato da Fabrizio Cassi. Alla fine calorosi applausi per tutti gli interpreti.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 26 luglio 2022.
Eraldo Martucci