Direttore | Riccardo Chailly |
Programma | |
Maurice Ravel | Daphnis et Chloé suite no.1 |
Maurice Ravel | Daphnis et Chloé suite no. 2 |
Pëtr Il'ič Čajkovski |
Sinfonia n.5 op.64 |
Filarmonica della Scala |
È sempre un piacere presenziare a manifestazioni internazionali quando compagini e artisti italiani tengono alto il nome della nostra Arte. È stato il caso di eri sera a Lubiana dove, nell’ampia sala del Cankarjev dom gremita, si è esibita con straordinario successo la Filarmonica della Scala con Riccardo Chailly sul podio.
Il programma è stato cambiato all’ultimo momento non nella sostanza, ma nella scaletta, circostanza che ha lasciato qualche spettatore interdetto. Nella prima parte sono state eseguite le Suite di Ravel e nella seconda la Quinta Sinfonia di Cajkovskij e non viceversa come annunciato in partenza.
Della complessa genesi delle due suite basterà ricordare che sono tratte dalla “Sinfonia coreografica” Daphnis et Chloé che debutto nel 1912 a Parigi con esiti contrastanti.
Entrambe le pagine musicali sono lussureggianti e alternano le tipiche atmosfere raveliane che trascolorano da ambienti rarefatti ed eterei ad altri in cui la musica sembra contenere una pulsione vitale vividissima, quasi barbarica.
Riccardo Chailly ne ha dato un’interpretazione al calor bianco ottenendo dalla sua compagine un suono straordinario per bellezza e compattezza e, al contempo, di impalpabile leggerezza con la musica che galleggiava in un tempo sospeso grazie anche alla bravura dei professori d’orchestra.
L’incanto delle arpe, la fluida levità dei legni, la lucentezza degli ottoni e il lirismo degli archi si sono compenetrati con la grandiosa imponenza delle percussioni.
I giovani e teneri pastori protagonisti sono stati evocati con grazia nel loro mondo, circondati da una natura incontaminata e benigna.
Pubblico attentissimo che alla fine è esploso con applausi interminabili e meritatissimi.
Dopo l’intervallo è cominciato, con la Sinfonia n.5 op.64, il consueto “viaggio” introspettivo che si intraprende sempre quando si ascolta Cajkovskij.
Nella musica del compositore russo – nelle opere liriche in modo inconfondibile – c’è sempre un’ansia, un’inquietudine, un senso di disagio che si percepiscono subito.
Non fa eccezione questa sinfonia, che è ammantata e percorsa dal tema ricorrente del destino che compare, più o meno trasfigurato, in tutti i quattro movimenti.
Poco importa se lo stesso Cajkovskij definì “ampolloso” l’Andante finale, o che non fosse troppo convinto della buona riuscita del suo lavoro. Resta il fatto che la sua musica arriva sempre al cuore dell’ascoltatore, soprattutto con un’orchestra e un direttore all’altezza del cimento.
Chailly e la Filarmonica della Scala, in questo senso, sono stati eccellenti.
Il direttore ha prosciugato la partitura – sin troppo, in alcuni momenti – di quegli orpelli leziosi e stucchevoli che si ascoltano ogni tanto anche da artisti di fama. L’orchestra ha risposto con puntuale precisione ma senza perdere quell’umanità che gronda da ogni nota.
Accomuno tutte le sezioni in un plauso generale ma sono rimasto rapito dal rendimento dei corni, dei legni e dallo straordinario lavoro degli archi gravi che hanno dato una tinta a quel lato oscuro di cui ho parlato all’inizio.
Anche in questo caso il trionfo e le ripetute chiamate al proscenio per Riccardo Chailly, sono state inevitabili in una serata che ha riempito di orgoglio anche chi scrive.
La recensione si riferisce alla serata del 2 settembre 2024
Paolo Bullo