IL GIRO DI VITE dal racconto di Henry James, adattamento di Carlo Sciaccaluga |
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Istitutrice | Linda Gennari |
Mrs Grose | Gaia Aprea |
Peter Quint | Aleph Viola |
Miss Jessel | Virginia Campolucci |
Miles | Luigi Bignone |
Flora | Ludovica Iannetti |
Il Prologo | Davide Livermore |
Regia |
Davide Livermore assistente Mercedes Martini |
Scene | Manuel Zuriaga |
Costumi | Mariana Fracasso |
Luci | Antonio Castro |
Musiche | Giua |
Disegno sonoro | Edoardo Ambrosio |
THE TURN OF THE SCREW di Benjamin Britten, libretto di Myfanwy Piper |
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Quint | Valentino Buzza |
The Governess | Karen Gardeazabal |
Miles | Oliver Barlow |
Flora | Lucy Barlow |
Mrs Grose | Polly Leech |
Miss Jessel | Marianna Mappa |
Direttore | Riccardo MInasi |
Regia | Davide Livermore |
Scene | Manuel Zuriaga |
Costumi | Mariana Fracasso |
Luci | Nadia Garcia, Antonio Castro |
Orchestra e Tecnici dell'Opera Carlo Felice | |
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova in collaborazione con il Teatro Nazionale di Genova basato sulla produzione del 2017 del Palau de les Arts Reina Sofia di València |
Come sempre, la voce dell’innocenza sgorga durante l’intervallo, in particolare nella lunga coda che si dipana dalla toilette delle signore: “Certo che se la stagione inizia così…”. Il borbottio viene da un'abbonata, presumo, che strabuzza gli occhi su un viso piuttosto provato dalla prima ora e mezza (abbondante) di spettacolo; e dire che ne manca ancora metà. Scatta a quel punto la muliebre solidarietà quasi generale e un po’ la si comprende; dalla parte opposta del corridoio, un maschietto si lancia in un semplice “James l’avevo letto e in effetti - occhi al cielo - me lo ricordavo tosto, ragazzi!”. Facciamo conto che sia un’intervista ai presenti in sala, perché lo è, in fondo.
Non entro qui nel merito dei singoli spettacoli, che dal punto di vista scenico, registico e musicale hanno anche pregevoli aspetti, senza alcun dubbio, ma sorge qualche perplessità sull'intera proposta: quasi quattro ore di spettacolo incentrato sul racconto di Henry James, suddiviso in una realizzazione in prosa, creata da Carlo Sciaccaluga, e nell’opera omonima di Benjamin Britten, eseguita da un ensemble del Teatro Carlo Felice diretto da Marco Minasi. Attori prima, cantanti poi, stessa regia, quella di Davide Livermore, e stesse scene (Manuel Zuriaga), il che fa da trait d’union della serata, e naturalmente stesso palcoscenico, il Teatro Ivo Chiesa (Teatro Nazionale) di Genova; fin qui tutto bene, a partire dalla collaborazione di due importanti realtà teatrali genovesi - finalmente! - e a seguire per l’idea artistica, che è corretta e pure stimolante. Poi arriva però l’elemento più delicato, a mio parere, che è la lettura che si è scelto di dare al testo originale, certo coerente e con effetto mastice straordinario tra i due lavori, ma troppo impegnativa, vista la durata globale dello spettacolo. Sciaccaluga e Livermore scelgono di focalizzare il tutto sulla pedofilia, tema che nel testo originale di certo esiste ma che rimane un po’ meno esplicito, o forse offuscato da altre ombre e suggestioni: il Male cos’è? Dov’è? È lì davanti a tutti nella villa di Bly, chiaro, manifesto, o è un subdolo inghippo che si attorciglia nella mente disturbata della giovane istitutrice? Sono spettri “reali” tornati dal buio o sono fantasmi dell’inconscio? Ai posteri l’ardua sentenza. In effetti non lo si dice, il groppo rimane lì, irrisolto, in perfetto stile James.
Ecco allora uno spettacolo per forza cupo, angosciante, soffocante come il mood del caso richiede, certo realizzato in maniera efficace e con idee sceniche originali, ma appunto troppo pesante; una riflessione che nasce anche dalle impressioni raccolte qua e là, dal pubblico, che è e deve essere un pezzo importante sulla scacchiera del sistema teatro, altrimenti il tutto rischia di diventare uno sfogo narcisistico fine a se stesso. Magari mi sbaglio, per carità, vedremo il bilancio conclusivo, ma quattro ore così sono troppe, tanto più che la parte in prosa tende a dilungarsi nella parte finale, a essere ripetitiva, creando un vero e proprio avvitamento - la parola calza a pennello - di ridondanza e perdendo pure in mordente.
Dopo due ore così, il povero Britten non può che dare il colpo di grazia. Opera interessantissima, avvolgente per le sue caratteristiche timbriche, coinvolgente dal punto di vista armonico, spiazzante e profonda, ma non provoca, all’interno di questa serata, l’effetto che dovrebbe: l’idea suadente delle stesse scene e della medesima regia (adattata all’opera, naturalmente) si trasforma a tratti in un già visto, che fa calare la tensione. Certo, il segreto sta nella “buca”, è lì tutto il nuovo, lo straordinario che non abbiamo ancora assaggiato, il contrasto scioccante tra quello che vediamo e quello che ascoltiamo, ma bisogna anche tener presente che parte del pubblico l’opera non la frequenta abitualmente e a un certo punto rischia di perdere la concentrazione. Del resto, dopo due ore di silenzio e di turbamenti, ci sta. Anche qui raccolgo le impressioni reali, quelle sanguigne che vengono dalla platea: mentre l’orchestra suona, per altro in maniera encomiabile, la gente parlotta, cogliendo la parte strumentale come occasione di stacco mentale; non va bene, ma la stanchezza ha anche questo effetto. Però quell’opera bellissima non se lo merita, di essere relegata in fondo e di fungere un po’ da eco al già fatto. Forse un titolo più “leggero”, più variegato negli umori, più dinamico, si presterebbe maggiormente a un’operazione del genere? A un connubio tra prosa e lirica? Penso di sì.
Dedico l’ultima parte di queste considerazioni ai protagonisti, che hanno fatto un ottimo lavoro, in verità: un breve cenno agli attori (che non è il nostro pane abituale), che ho trovato efficaci, brava in particolare la protagonista, Linda Gennari. Completano il cast Gaia Aprea (Mrs Grose), Aleph Viola (Peter Quint), Virginia Campolucci, Luigi Bignone, Ludovica Iannetti, Davide Livermore (Il Prologo).
Qualche parola in più agli interpreti musicali, che trovano un'ottima protagonista femminile in Karen Gardeazabal, intensa, capace di restituire ogni volta i diversi sentimenti che si impossessano di lei, chiara e calda nell’emissione vocale; è ben affiancata da Polly Leech (Mrs. Grose), adeguata “spalla” e supporto alle lacerazioni della giovane istitutrice. Valentino Buzza (Prologo e Quint) non ha sempre la limpidezza adeguata, dovrebbe forse prestare più la voce alle spire demoniache del personaggio, tuttavia bene si disimpegna nel suo ruolo e veste i panni spettrali di Quint con efficacia scenica; corretta e insinuante Marianna Mappa (Miss Jessel), un po’ più discontinua Lucy Barlow (Flora). Bravo nell’impegnativa parte di Miles la voce bianca Oliver Barlow. Puntuale l’esecuzione dei musicisti, che si sono cimentati in una partitura complessa, caleidoscopica, dalle raffinate e perfette geometrie, ricca di parti solistiche e di intrecci timbrici, variazioni ritmiche che trasformano in un “giro” continuo il tema musicale principale; Marco Minasi è stato abile a mettere in luce i contrasti e i giochi armonici, accompagnandoli e servendoli adeguatamente al palcoscenico. Scene e regia, con pareti mobili che imprigionano i personaggi, sono perfettamente funzionali al racconto, con alcune trovate geniali come la stanza rovesciata, molto efficace nel rendere la dimensione un po’ onirica, un po’ allucinata di una mente disturbata da violenza e paura, in cui rimbombano filastrocche che sembrano ogni volta più stonate.
Gli applausi non scattano con grande entusiasmo, specie dopo la prima parte, e si avvitano, loro sì, un poco su se stessi. Ma aspettiamo le prossime recite: anche qui il finale è aperto.
La recensione si riferisce alla recita del 13 ottobre 2024.
Barbara Catellani