Violetta Valéry | Carolina López Moreno |
Flora Bervoix | Aleksandra Meteleva |
Annina | Olha Smokolina |
Alfredo Germont | Giovanni Sala |
Giorgio Germont | Lodovico Filippo Ravizza |
Gastone | Oronzo D'Urso |
Barone Douphol | Yurii Strakhov |
Marchese d'Obigny | Gonzalo Godoy Sepúlveda |
Dottor Grenvil | Huigang Liu |
Giuseppe | Alessandro Lanzi |
Un domestico | Nicolò Ayroldi |
Commissionario | Lisandro Guinis |
Direttore | Renato Palumbo |
Regia | Stefania Grazioli |
Scene | Roberta Lazzeri |
Costumi | Veronica Pattuelli |
Movimenti coreografici | Elena Barsotti |
Maestro del Coro | Lorenzo Fratini |
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino | |
Nuova produzione del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino |
La Traviata in scena nella Sala grande del Teatro del Maggio costituisce il secondo impegno fiorentino della stagione (ma è prevista anche una Bohème tra poco più di un anno) per il soprano Carolina López Moreno, reduce da un successo addirittura clamoroso nella recente Madama Butterfly ultima prova di Daniele Gatti come direttore principale del teatro.
Da Puccini a Verdi, da una produzione chiaramente ambiziosa a una più di routine, ma ruolo altrettanto iconico e da primadonna rispetto al precedente, e così dicasi per un'accoglienza parimenti trionfale per la cantante nata in Germania ma di origini colombiana e albanese. Il successo personale della López Moreno è il dato più eclatante che emerge da questa serie di recite, assieme alla risposta del pubblico che ha pressoché esaurito ogni posto del teatro in tutte le serate per un titolo che è certamente ultrapopolare, ma proprio per questo inflazionato. Solo a Firenze nel secolo attuale si contano produzioni e riprese negli anni 2000, 2005, 2009, 2012, 2015, 2016, 2017, 2018, 2019, 2020, 2021 e 2023, non di rado con due proposte dell'opera nello stesso anno.
L'appassionato di lungo corso, ormai smaliziato e interessato anche al repertorio operistico meno usuale, deve arrendersi all'evidenza del richiamo costante che certi titoli esercitano sul pubblico, che oltre tutto non pare per niente turbato (anzi) da un allestimento per il quale anche il logoro termine “tradizionale” appare eufemistico.
Se l'ultima produzione della Traviata a Firenze (nato nel 2021 e riproposto nel 2023) a firma di David Livermore (vedi recensione di chi scrive) poteva essere inquadrato nel cliché del teatro di regia “moderno” (altro termine logoro), tra riambentazione in epoca vicina ai giorni nostri e qualche intervento sulla drammaturgia, quello di Stefania Grazioli più che un deliberato omaggio al teatro musicale “di una volta”, pare la riproposta, previo restauro, di uno spettacolo di una settantina di anni fa. Tra fondali e quinte dipinte, ambienti parigini di rigorosa eleganza creati da Roberta Lazzeri, costumi sontuosi (di Veronica Pattuelli), grandi lampadari di cristallo, masse schierate orizzontalmente, rassicuranti e un po' elementari coreografie di zingarelle e toreador (di Elena Barsotti), la regista - in passato dimostratasi ottima professionista nel riprendere allestimenti di altri - si conferma ottima professionista anche nel confezionare uno spettacolo che pare il risultato di un viaggio nel tempo, mai sgradevole alla vista (tutt'altro, in fin dei conti), efficacemente illuminato da Valerio Tiberi, costruito con mestiere, rigore e buon gusto. Un gusto stravecchio, ma innegabilmente buono. Tra tanto bell'artigianato latita, a dir poco, una lettura registica riconoscibile e originale, a parte certi interventi quali la presenza (già vista da anni un po' in tutte le salse) del “doppio”-bambina della protagonista e un intrigante gioco di ombre e di specchi che ben si adatta alla plumbea atmosfera dell'ultimo atto.
Molto mestiere anche nella bacchetta di Renato Palumbo, profondo conoscitore delle opere di Verdi, che propone una concertazione in cui si apprezza la ricerca di trasparenze orchestrali sin dal Preludio, la capacità di gestire la grande varietà di tempi (da molto ampi ad assai stretti) richiesta alla sempre impeccabile Orchestra del Maggio e quella di saper mantenere l'equilibrio sonoro tra buca e palcoscenico, salvo un'eccezione di cui si dirà. Forse in alcuni episodi si desidererebbe una più vibrante teatralità, ma al termine dell'esecuzione resta comunque una gradevole sensazione di garbo e finezza nella lettura direttoriale.
Si accennava all'accoglienza trionfale riservata alla protagonista Carolina López Moreno, che possiede indubbie doti naturali costituite da una presenza scenica di bell'impatto, di una voce personale, timbrata e sonora, specialmente nella seconda ottava, che viene anche piegata con perizia a suggestive mezzevoci, e soprattutto di un mordente e una capacità di accentare ogni frase di alta scuola, che cattura l'attenzione dell'ascoltatore.
Tutte caratteristiche non comuni, che le consentono di ben figurare anche in un ruolo come Violetta che pare esserle meno congeniale rispetto alla recente Cio Cio San, soprattutto dal punto di vista vocale (nel primo atto le agilità sono un po' aggiustate, anche se non proprio spianate), ma in piccola parte anche in quello interpretativo, poiché il crescendo tragico di Butterfly sembra più il suo ambiente espressivo naturale rispetto allo struggimento dell'ultimo atto della Traviata. È comunque notevole in molti passaggi, dai malinconici cantabili di “Ah fors'è lui” a tutto il drammatico finale secondo.
Suo partner un po' timido è Giovanni Sala, dalla voce piuttosto piccola e soprattutto poco timbrata, anche se tecnicamente ben educata nel passaggio superiore, che risulta costantemente sicuro. Le intenzioni espressive sono comunque apprezzabili e i mezzi naturali portano il tenore a tratteggiare un Alfredo molto giovane, ma soprattutto sentimentalmente fragile, sommerso dal turgore orchestrale del direttore nell'esecuzione della sua cabaletta.
Di rilievo il Giorgio Germont di Lodovico Filippo Ravizza, che canta e accenta con molta sicurezza e con estremo gusto, giovandosi di uno strumento di bel colore baritonale, piacevole e interessante da ascoltare in ogni sua scena, grazie alla dizione nitida e ad un fraseggio già assai vario e rifinito, nonostante la ancora verde età.
Coro del Maggio diretto da Lorenzo Fratini e folto stuolo delle parti di contorno allineati al consueto alto standard del teatro fiorentino, che, come spesso accade, attinge copiosamente dalla propria prolifica accademia e dalle alte professionalità di alcuni componenti del coro che sostengono senza il minimo affanno i ruoli solistici.
Bene quindi l’Annina di Olha Smokolina e il Dottor Grenvil di Huigang Liu, ma si disimpegnano più che adeguatamente, pur con piccoli alti e bassi, anche Aleskandra Meteleva (Flora), Oronzo d’Urso (Gastone), Yurii Strakhov (Barone Douphol), Gonzalo Godoy Sepúlveda (Marchese d’Obigny), Alessandro Lanzi (Giuseppe), Lisandro Guinis (un commissionario) e Nicolò Ayroldi (un servo).
Del successo della produzione, con ovazioni (pure queste in stile di “altri tempi”) per la protagonista, si è già accennato.
La recensione si riferisce alla recita del 24 novembre 2024.
Fabrizio Moschini