Herman | Brandon Jovanovich |
Lisa | Evgenia Muraveva |
Tomski | Vladislav Sulimsky |
Jelezki | Igor Golovatenko |
Cekalinski |
Alexander Kravets |
Surin | Stansilav Trofimov |
Contessa | Hanna Schwarz |
Polina | Oksana Volkova |
Masa | Vasilisa Berzhanskaya |
Direttore | Mariss Jansons |
Regia | Hans Neuenfels |
Scene | Christian Sschmidt |
Costumi | Reinhard von der Thannen |
Luci | Stefan Bolliger |
Video | Nicolas Humbert, Martin Otter |
Coreografie | Teresa Rotemberg |
Wiener Philharmoniker | |
Angelika Prokopp Sommerakademie der Wiener Philharmoniker |
Il gioco d’azzardo nuoce gravemente alla salute. Lo sa bene Hermann, protagonista dell’opera La dama di picche di Peter Ilijč Čajkovskij, che per inseguire la fortuna al gioco calpesta l'amore di Lisa, provoca la morte della Contessa per strapparle il segreto delle tre carte per poi togliersi la vita di fronte al tracollo finanziario. Ma lo sottolinea con forza anche l’allestimento del regista Hans Neuenfels che nello spettacolo andato in scena al Festival di Salisburgo dimostra dichiaratamente di provare una forte antipatia per ciascuno dei personaggi in scena. Non ha tutti i torti.
Il compositore russo trova una sintonia molto personale con l’impossibilità dell’amore. L’autodistruzione di un individualista ai margini della società benpensante appare tanto in Onegin che nella Dama, che oltretutto hanno molti altri punti in comune: il libretto tratto da Puškine firmato a quattro mani dal compositore con il fratello Modest, una donna alle prese con la scelta tra uno sciagurato egoista e un uomo benestante di nobilissimi sentimenti, la perdizione punitiva del protagonista. In Onegin Tatjana sceglie secondo ragione, Lisa invece sceglie sconsideratamente secondo sentimento e le conseguenze sono molto più radicali: suicidio per entrambi. Il fatto che i personaggi non siano totalmente edificanti non impedisce però al compositore di provare un forte trasporto per le loro vicende, testimoniato da una musica carica di passione e di una volontà comunicativa che il direttore Mariss Jansons ha colto (come sempre) con grande acutezza, facendo della materia orchestrale un ricettore e trasmettitore sensibilissimo di impulsi narrativi ed emotivi attraverso un’attenzione precisissima (ed estremamente coinvolgente) al dettaglio. Risiede proprio nelle diverse intenzioni di chi ha letto la partitura rivestendo dei suoi messaggi il libretto e di chi ha interpretato il libretto confidando in una simile flessibilità della musica la discrepanza che si è avvertita tra i due racconti paralleli del golfo mistico e del palcoscenico.
Jansons ha incantato con la totale complicità dei Wiener Philharmoniker, e i cantanti si sono ritrovati a metà strada tra quanto suggerito dal direttore e quanto proposto dal regista, ovvero una lettura che è apparsa distaccata nel profondo e multidirezionale in superficie. La cornice infatti è varia, dalla parodia del folk russo a scene da regime con bambini-soldati relegati in gabbie, spensierati bagnanti inizi Novecento, fino alla zarina Caterina che saluta la folla festante ridotta in scheletro con imponente tiara di cristalli. C’è un dispiegamento di forze notevole in questo allestimento, con continui cambi di scene e costumi: si passa dagli anni’30 a mantelli da sacerdotesse silvane, dalle stereotipate pellicce da freddo siberiano di personaggi tra riferimenti storici e fantasy alla versione multicolore di una sorta di cabaret berlinese, dagli shorts e basco in stile “girls just wanna have fun” di Polina e amiche, fino ad arrivare al completo circense di Hermann, portato con sprezzo sul petto nudo. Il regista vuole evitare che il pubblico si affezioni ai personaggi o venga coinvolto nella vicenda, e ci riesce.
Lo spettacolo punta su una triade di veterani: oltre a direttore e regista la wagneriana Hanna Schwarz, che nel ruolo del titolo riversa la forza di decenni di esperienza sul palco. Il suo significativo indugiare sottovoce sul sottotesto dell’aria di Grétry (che Čajkovskij inserisce come forma di reminiscenza), è certamente uno dei momenti più intensi di questa produzione, nella quale la Schwarz riesce anche senza cantare a ricavare i sentimenti più autentici, in particolare nel suo lunghissimo abbraccio a Hermann, diventato simbolo della nostalgia del passato.
Squadra che vince non si cambia, e infatti accanto a Jansons salgono sul palco nei ruoli di Hermann e Lisa i due cantanti che l’anno scorso hanno conquistato in un’edizione memorabile della Lady Macbeth di Šostakovič: Brandon Jovanovich e Evgenia Muraveva. In comune hanno la prestanza vocale, in questo caso anche la tendenza a un'espressione solida, ma monolitica. La voce di Jovanovich, sonora e omogenea nell'intera estensione, non ha alcuna difficoltà a reggere l’impatto di un ruolo molto impegnativo per lo stato di continua esaltazione (anche musicale) del personaggio.
È invece delicato e appassionato il principe Jelezki, marito abbandonato fatto della stessa pasta di Gremin: la musica lo dice chiaramente e Igor Golovatenko lo evidenzia dimostrando sensibilità e musicalità nella conduzione del fraseggio. Il regista decide però di trasformarlo in un noioso conformista che con quest’aria in realtà fa capire a Lisa che in lei vede soprattutto una moglie dedita alla famiglia, al marito e alla casa.
Oksana Volkova mette nella spensieratezza di Polina tutta l’energia e la giovanile impertinenza che appartengono alla nota più lieve dell’opera, ma caricandola (eccessivamente) anche della sua solida consapevolezza vocale e scenica.
Nel grande cast vanno citati ancora almeno il convincente Tomski di Vladislav Sulimsky e l’inseparabile coppia Čekalinski-Surin (Alexander Kravets, Stanislav Trofimov), complici di loschi maneggi e »lucignoli« della sala da gioco, che dipingono incisivamente e con grande vivacità interpretativa l’intero ambiente. Il coro dell’Opera di Vienna ha qualche incertezza, mentre danno ottima prova di sé i bambini del Salzburger Festspiele und Theater Kinderchor che quest’anno festeggia i dieci anni di attività.
“La vita è un gioco”, canta Hermann, ma il suo sembra un grido disperato di autoconvinzione: la verità la racconta, magnificamente, l’orchestra.
Larecensione si riferisce alla serata del 10 agosto 2018.
Rossana Paliaga