Il Conte di Almaviva | Luca Bruno |
La Contessa di Almaviva | Desirée Rancatore |
Figaro | Gabriele Sagona |
Susanna | Cristin Arsenova |
Cherubino | Sabrina Messina |
Don Bartolo | Luciano Leoni |
Don Basilio | Saverio Pugliese |
Barbarina | Federica Foresta |
Marcellina | Federica Giansanti |
Don Curzio | Pietro Picone |
Antonio | Alessandro Busi |
Direttore | Beatrice Venezi |
Regia | Michele Mirabella |
Scene e costumi | Cappellini/Licheri |
Maestro del coro | Luigi Petrozziello |
Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini | |
Allestimento del Teatro Massimo Bellini |
Secondo titolo in programma della stagione corrente, Le nozze di Figaro arrivano sul palcoscenico del Teatro Massimo Bellini, ed è confortante vedere la sala piena e un’età media ad occhio e croce più bassa del solito. Sarà stata la recita pomeridiana o forse la serata quasi primaverile, ma il pubblico catanese, al netto dell’irrefrenabile impeto da cineoperatore in libera uscita, mantiene la concentrazione lungo tutto l’arco narrativo dello spettacolo. E lo fa nonostante l’aggravio di una breve lettura introduttiva all’opera da parte di Caterina Andò e Giuseppe Montemagno che in tal modo suppliscono alla mancanza del programma di sala.
La recita procede senza inciampi, scevra però da un qualsivoglia brivido o frizzante emozione che dovrebbero connotare una folle giornata fatta di equivoci, sotterfugi, amarezze coniugali o piccanti incursioni ormonali. La regia di Michele Mirabella non coglie infatti né le dinamiche femminili che regolano l’interazione tra Susanna e la Contessa, né tanto meno le schermaglie di classe tra servo e padrone che vanno ben al di là della vexata quaestio sullo ius primae noctis, per citare solo alcuni dei temi presenti nell’opera.
La scena fissa fatta di porte e armadi che si affacciano su più livelli e attraverso i quali entrano ed escono i personaggi, fagocita in un certo qual modo qualsiasi idea registica, impressionando lo spettatore con i soli colori sgargianti. Cappellini e Licheri, responsabili di scenografia e costumi, puntano infatti sul colpo d’occhio generato dalle macchie di colore e, nella confezione dei costumi, caratterizzano la classe nobiliare con abiti sui toni del rosso e dell’arancio mentre la coppia Susanna - Figaro veste in bianco e azzurro.
Poco o nulla aggiungono al turbinio delle situazioni sapientemente delineate dall’intreccio fra musica e libretto ammiccamenti, mossette e gestualità stereotipate, né tanto meno il mostrare il Conte che brandisce un piede di porco per entrare nel “gabinetto” della moglie o ancora Antonio perennemente alle prese con un vaso di gerani. Ulteriore elemento di ridicolo è poi una sorta di ombrello fatto di tralci vegetali calato dall’alto a simboleggiare il boschetto nel quale avverrà l’ultimo inganno nei confronti di Almaviva.
A fare da contraltare alla parte visiva fatta di contaminazioni da avanspettacolo c’è invece una lettura musicale della partitura che si limita a tenere tutto in riga senza guizzi e bagliori e con palesi scollamenti nel micidiale finale secondo. A sipario chiuso, un velatino lascia solo intravvedere la scena così che, nota dopo nota, l’ouverture si srotola schiudendo le porte su una concertazione né gelida né fiammeggiante ma semplicemente priva di mordente. Il debutto di Beatrice Venezi nel primo titolo della trilogia dapontiana si può quindi assimilare ad un approccio iniziale che merita un concreto approfondimento nel lavoro di concertazione. Manca in definitiva la luminosa ancorchè lieve e sferzante aura mozartiana, del tutto priva di colori e vivacità teatrale è così tale lettura nella quale si stenta a trovare una personale interpretazione.
La compagnia di canto riesce nonostante tutto a venirne a capo grazie a buone individualità quali Desirée Rancatore che, pur non ricevendo particolari aiuti dal podio, fraseggia con intelligenza e sceglie la carta della mestizia per caratterizzare una Contessa senza particolari sfaccettature ma che riflette amaramente sull’infelicità coniugale nell’aria del terzo atto, punto indubbiamente migliore di tutto lo spettacolo. Il canto delicato e dolce infarcito di belle smorzature e filati diventa così l’unico attimo di sospensione della serata mentre meno riuscito risulta il duettino “Sull’aria” visto il linfatico tappeto sonoro dal quale non soffia “il soave zeffiretto”.
Accanto a lei Cristin Arsenova è una Susanna dinamica e dalla buona presenza scenica sia pure con vocalità puntuta ma ben proiettata. Merito del giovane soprano è l’aver evitato la fastidiosa petulanza che spesso le interpreti assimilano alla scaltra servetta, forte anche di una linea di canto omogenea che le consente di superare senza grandi problemi momenti impegnativi quali “Deh vieni non tardar”.
Meno personale e fin troppo enfatico risulta invece il Cherubino di Sabrina Messina che si è divisa le recite con Albane Carrère e Sonia Fortunato. Il personaggio è inoltre penalizzato dalla regia per via di un’esagerata ipercinesia che assimila la tempesta ormonale del giovane paggio a comportamenti più consoni ad una farsa. Le due arie sono così eseguite con un’enfasi che poco trasmette dello stupore adolescenziale pur seguendo correttamente la scrittura vocale.
Completano il cast femminile la fresca Barbarina di Federica Foresta e l’espressiva Marcellina (sia pur privata dell’aria) di Federica Giansanti.
Meno brillante è invece il comparto maschile che non va al di là di una buona tenuta ma sembra soffrire particolarmente il grigiore della concertazione della Venezi. Gabriele Sagona, Figaro dal timbro gradevole e dalla linea fluida, manca un po’ di volume ma è soprattutto deficitario in ambito interpretativo mancando di quell’insinuante ironia che dovrebbe contrapporre il servo al padrone ancorato alle convinzioni da Ancien régime.
Luca Bruno, il Conte nello spettacolo catanese, esibisce un canto manierato che, complice il timbro non troppo dissimile da quello di Figaro, non sembra in grado di rendere la protervia e la caparbia difesa dei diritti nobiliari. La grande aria del terzo atto è portata a termine senza troppi scossoni fatta salva una certa durezza nelle agilità sul “giubilar” mentre “Contessa perdono” ha la corretta dose di vulnerabilità.
Si aggiungono ai due protagonisti maschili un buon Don Bartolo, Luciano Leoni, e un parimenti corretto Don Basilio, Saverio Pugliese, sia pure con il taglio dell’aria, insieme al Don Curzio di Pietro Picone e Antonio di Alessandro Busi.
Della serata resta alla fine la piacevole sensazione di un pubblico, anche di neofiti, che torna a teatro volentieri in una ristabilita “corrispondenza di amorosi sensi” tra l’istituzione culturale e la città.
La recensione si riferisce alla recita del 2 Marzo 2023.
Caterina De Simone