Wotan | Gábor Bretz |
Donner | Andrew Foster-Williams |
Froh | Julian Hubbard |
Loge | Nicky Spence |
Fricka | Marie-Nicole Lemieux |
Freia | Anett Fritsch |
Erda | Nora Gubisch |
Alberich | Scott Hendricks |
Mime | Peter Hoare |
Fasolt | Ante Jerkunica |
Fafner | Wilhelm Schwinghammer |
Woglinde | Eleonore Marguerre |
Wellgunde | Jelena Kordić |
Flosshilde | Christel Loetzsch |
Direttore | Alain Altinoglu |
Regia, scene, costumi e luci | Romeo Castellucci |
Coreografia | Cindy Van Acker |
Drammaturgia | Christian Longchamp |
Collaborazione artistica | Maxi Menja Lehmann |
Collaborazione alle scene | Paola Villani |
Collaborazione ai costumi | Clara Rosina Straßer |
Collaborazione alle luci | Benedikt Zehm |
Assistente alla coreografia | Stéphanie Bayle |
Orchestre symphonique de la Monnaie |
"There will be fate": il destino è il fil rouge della stagione lirica 2023/2024 della Monnaie inaugurata da Cassandra, una nuova commissione che attualizza la figura dell'omonima sacerdotessa troiana inserendola nel mondo scientifico contemporaneo, inascoltato di fronte all'emergenza climatica che minaccia il nostro futuro. L'ineluttabilità della sorte ritorna prepotentemente come tema portante della seconda opera in cartellone, Das Rheingold, che inaugura il ciclo del Ring wagneriano assente da Bruxelles dal 1980 in collaborazione col Liceu e che proseguirà con le altre tre giornate tra il febbraio del 2024 e il gennaio del 2025.
Autore della messa in scena è Romeo Castellucci, che firma la sua sesta produzione alla Monnaie dopo Parsifal, Orphée et Eurydice, Die Zauberflöte, Jeanne d'Arc au bucher e il Requiem di Mozart, quest'ultima vista anche recentemente a Napoli non senza qualche dissenso da parte del pubblico: il regista cesenate, infatti, è noto per firmare spettacoli molto accattivanti dal punto di vista visivo ma a volte considerati scollegati dalla loro intrinseca drammaturgia musicale e fini a sé stessi. In qualunque caso, non si può comunque negare che dietro ogni sua scelta artistica ci sia un ragionamento anche molto approfondito sulla musica e sul testo, ragionamento che da un lato lo porta sia ad associazioni di idee registiche molto simboliche e dall'altro a un didascalismo calligrafico che lo porta a esasperare quanto c'è effettivamente scritto nero su bianco su partitura e libretto.
Come vede Castellucci questo Prologo del Ring, dunque? La scena è improntata a un binarismo cromatico: mentre sono neri sia il Reno sia il regno dei Nibelunghi, il primo un bassofondo acquatico che sembra una fognatura e il secondo un'industria siderurgica, il Walhalla è uno spazio bianco immacolato, una sorta di museo dove sono esposti i Pantheon di molte religioni del mondo (sono presenti i marmi del Partenone, i rilievi dell'Arco di Tito e varie sculture di santi). Gli Asi però vi camminano incerti, calpestando un tappeto umano di uomini e donne, tanto soggetti al loro potere quanto basamenti instabili per i loro piedi: infatti dal loro primo ingresso sono anch'essi neri, ancora immaturi a salire nel nuovo palazzo costruito da Fasolt e Fafner. Di fronte ad essi, inoltre, i cantanti escono di scena e vengono doppiati da dei bambini che recitano i loro ruoli: sono divinità giovani, ancora piccole di grandezza e valore contro i due giganti; similmente, gli Asi diventano anziani in seguito al rapimento di Freia e dell'appassimento dei suoi pomi.
Nemmeno i Nibelunghi se la passano bene: Alberich vive attaccato prima a una trave di ferro e poi ai numerosi anelli dello stesso materiale che forgia nella sua insaziabile bramosia di potere. L'anello diventa la sua catena quando viene imprigionato e spogliato completamente nudo: il furto dell'oro lo ha però reso umano, fragile e indifeso nella sua mortalità, ripetutamente umiliato da Wotan e Loge che lo imbrattano con lo stesso colore del regno da cui proviene. La vendetta del Nibelungo non tarda ad arrivare: è lui ad accecare Wotan passandogli la mano cosparsa di nero sull'occhio e insudiciando le sue nuove e candide vesti.
In sintesi, una visione che non si discosta troppo dalle coordinate di musica e parole, adottando delle intuizioni sceniche che possono rivelarsi d'effetto (i numerosi cambiscena a vista o l'inaspettato inabissamento degli Asi nel Walhalla) o ridondanti (i citati "doppi" fanciulleschi e vecchi, i coccodrilli calati durante l'ultima apparizione dei giganti) se non addirittura fastidiose e "irriverenti" (lo scaltro Loge viene disegnato come un intrattenitore da avanspettacolo che si diletta di trucchi di prestigio e a un certo punto lancia delle uova su alcuni ritratti di storici interpreti del Ring portati in scena).
La direzione e la resa del cast vanno di comune accordo con il disegno registico: Alain Altinoglu alla guida dell'Orchestra sinfonica della Monnaie non opta per un approccio titanico ed epicheggiante ma predilige invece agogiche meditate, sonorità controllate e colori sfumati, andando così incontro alle esigenze dei solisti le cui voci non vengono mai soverchiate.
La compagnia vocale, di cui la maggior parte al debutto nelle parti e di côté non wagneriano, si dimostra complessivamente valida. Si rivelano trascinanti soprattutto le interpretazioni di Scott Hendricks, Alberich capace di piegare la sua vocalità graffiante in insidiose e frustrate mezzevoci nel momento della sua prigionia, e di Nicky Spence, istrionicissimo Loge che si impone per la precisione con cui articola tutti i suoi lunghi interventi.
Più compassato il Wotan giovanile di Gábor Bretz, che costruisce un personaggio più riflessivo che attivo, ben lungi dall'immaginario comune collegato al ruolo. Al suo fianco, Marie-Nicole Lemieux è una Fricka dalla voce pastosa e scura più che adeguata ai tormenti della regina degli Asi. Bene si comportano anche gli altri dèi, Andrew Foster Williams (Donner), Julian Hubbard (Froh) e soprattutto la Freia disperata e squisitamente lirica di Anett Fritsch.
Efficacemente minaccioso il Fasolt di Ante Jerkunica, dallo strumento vocale possente e rotondo, cui fa eco il Fafner umbratile di Wilhelm Schwinghammer, che la regia lo vuole "doppiare" gli interventi del fratello come se i due li stessero cantando all'unisono.
Corretti i contributi del valido Mime di Peter Hoare e del compatto trio delle figlie del Reno (Eleonore Marguerre, Jelena Kordić e Christel Loetzsch), queste ultime completamente nude e ricoperte d'oro nella scena iniziale. Meno a fuoco invece la Erda di Nora Gubisch, il cui profetico intervento passa quasi inosservato anche a causa della regia che non lo risalta abbastanza.
Menzione d'onore ai bravissimi mimi (quasi tutti su base volontaria) che partecipano attivamente all'azione scenica senza distrarre ed essere di disturbo per la musica.
Infine cito per dovere di cronaca i partecipanti al team registico che affiancano Castellucci: Christian Longchamp (Drammaturgia), Maxi Menja Lehmann, Paola Villani, Clara Rosina Straßer, Benedikt Zehm (rispettivamente, Collaborazione artistica, alle scene, ai costumi, alle luci) e Cindy Van Acker (Coreografie).
Teatro da sold out per tutte le recite in cartellone. Pubblico entusiasta e partecipe che omaggia direttore e cast con ripetuti e lunghi applausi, dimostrando particolare calore a Hendricks e Spence. Die Walküre, la prima giornata, sarà rappresentata a gennaio/febbraio.
La recensione si riferisce alla recita di sabato 28 ottobre 2023.
Martino Pinali