Figaro | Davide Giangregorio (18 maggio) |
Roberto Lorenzi (19 maggio) | |
Susanna | Eleonora Bellocci (18 maggio) |
Tatiana Zhuravel (19 maggio) | |
Il Conte d'Almaviva | Vito Priante (18 maggio) |
Vincenzo Nizzardo (19 maggio) | |
Cherubino | Cecilia Molinari (18 maggio) |
Chiara Tirotta (19 maggio) | |
Bartolo | Francesco Leone |
La Contessa d'Almaviva | Mariangela Sicilia (18 maggio) |
Maria Novella Malfatti (19 maggio) | |
Marcellina | Laura Cherici |
Basilio | Paolo Antognetti |
Don Curzio | Cristiano Olivieri |
Antonio | Dario Giorgelè |
Barbarina | Patricia Daniela Fodor |
Due contadine | Chiara Salentino |
Rosa Guarracino | |
Direttore | Martijn Dendievel |
Regia e scene | Alessandro Talevi |
Costumi | Stefania Scaraggi |
Videomaker | Marco Grassivaro |
Coreografo e regista assistente | Danilo Rubeca |
Maestro del Coro | Gea Garatti Ansini |
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna |
Le Nozze di Figaro sono uno di quei rari capolavori dal meccanismo talmente perfetto da rendere del tutto problematico (oltreché inutile) intervenire sulla drammaturgia e assai inopportuno agire sui caratteri dei personaggi o sulla narrazione magari con gag pesanti lontane mille miglia dallo spirito mozartiano. Mi viene in mente a tal proposito una delle ultime produzioni di quest’opera da me viste, ad Aix-en-Provence (vedi recensione) con la regia di Lotte de Beer, in cui tutto era così eccessivo, pacchiano, folle (ma di una follia non ben organizzata), pesante. E pure se qualche trovata poteva essere divertente si trovava a cozzare senza rimedio con la musica.
A Bologna si è avuto l’accortezza di rivolgersi ad Alessandro Talevi, uno dei talenti registici più interessanti delle ultime generazioni. Mi sono rimasti nel cuore tre suoi spettacoli fiorentini di qualche anno fa: L’histoire du soldat al Teatro Goldoni, L’amore delle tre melarance al Comunale e soprattutto il delizioso Albert Herring al Teatro della Pergola (vedi recensione di Fabrizio Moschini), una delle creazione teatrali più intriganti viste in Italia in queste ultime stagioni. Queste Nozze di Figaro non sono forse ai livelli della produzione britteniana, anche a causa dei limiti fisici e tecnici del palcoscenico bolognese, ma si tratta comunque di una messa in scena di bel rilievo, ben recitata e dall’ottima andatura. Inoltre Talevi ha una solida formazione musicale e si intuisce dal modo in cui sa far fruttare e sottolineare i mutamenti espressivi e di clima ad ogni trapasso di scansione ritmica, di linguaggio, di tono, ecc.. All’aprire del sipario la scena che vediamo è costituita da blocchi di parete alcuni dei quali recano una porta o una finestra o un semplice muro. Detti blocchi nel corso dello spettacolo si possono scomporre o ricomporre in vari modi fino a suggerire il giardino dell’ultimo atto. I costumi (di Stefania Scaraggi) sono moderni, ma durante le arie spesso appaiono immagini dei personaggi della commedia in abiti settecenteschi, vedi le sensuali donne evocate dal desiderio erotico di Cherubino, il minaccioso Figaro che incombe sul Conte durante “Vedrò mentr’io sospiro”, o i passati teneri trascorsi tra moglie e marito durante le arie della Contessa (video di Marco Grassivaro). Tutto scorre con mirabile leggerezza ma non con superficialità, cogliendo con precisa attinenza gli snodi dell’azione. La recitazione è molto curata, di impronta realistica ma con qualche tocco surreale. Impagabili poi sono alcuni spunti ironici, come la reazione di Bartolo (fino ad allora su sedia a rotelle spinta da Marcellina) quando si accorge che stanno per essere scoperti gli altarini dei suoi trascorsi amorosi; e lo vediamo all’improvviso recuperare la motilità per tentare di scappare alla chetichella. Ma sarebbe lungo citare i momenti davvero amabili di questa produzione a cui hanno dato il loro felice contributo anche Teresa Nagel (luci) e Danilo Rubeca (coreografo e regista assistente). Nel programma di sala Alessandro Talevi pone l’accento su quanto le cose siano poco cambiate, dal Settecento a oggi, Di quanto il divario tra i super ricchi e i poveri sia sempre più accentuato, con i primi che cercano di sfruttare le classi più deboli. Come dice Marcellina “L’argent fait tout” e la frase è proiettata sul sipario durante l’ouverture.
Altra scelta indovinata è l’aver dato fiducia a un direttore ventottenne poco o punto conosciuto da noi, Martijn Dendievel, che si è rivelato non solo in grado di condurre in porto l’impresa con navigata professionalità, conducendo l’orchestra con una esemplare leggerezza di tocco, scorrevolezza, eleganza e, quando necessario, con lo stupefatto incantamento che tutto sospende. Ma la cosa più sorprendente è che questa direzione sposa alla perfezione la regia di Talevi rivelando un’unità di intenti che non è sempre facile trovare. Aggiungiamo poi l’uso sempre appropriato delle appoggiature e la fantasia e il gusto per cadenze e abbellimenti per di più pensati in funzione del cantante a disposizione (e infatti ciò che è stato ideato per la prima compagnia spesso muta e viene adattato alle caratteristiche del cast alternativo). L’orchestra del Teatro Comunale segue Dendievel con evidente soddisfazione, che si manifesta chiaramente quando il direttore si presenta alla fine per ricevere gli omaggi della platea (e, in questo caso, dell’orchestra). Inappuntabili gli interventi del Coro diretto da Gea Garatti Ansini.
Scelte con criterio anche le due compagnie di canto. I due Figaro sono entrambi trentaquattrenni. Davide Giangregorio (18 maggio), corretto e dal timbro gradevole di basso baritono, punta su una recitazione che gioca più sui torni surreali, mentre Roberto Lorenzi, ragazzone alto e gagliardo, ha voce più sonora e delinea con profitto un personaggio più realistico.
Eleonora Bellocci, la Susanna del 18 maggio, è un soprano leggero piuttosto esile in basso, cosa che non la renderebbe ideale per la parte, piuttosto centralizzante. Ma canta bene, è spigliatissima in scena, è uno dei centri motori dell’azione e in definitiva è un personaggio credibilissimo. Tatiana Zhuravel (19 maggio) è meno singolare, anche se non demerita. La sua Susanna è più contenuta, piuttosto accurata nel canto, ma col rischio di passare, in certi momenti un poco in secondo piano.
Vito Priante (18 maggio) e Vincenzo Nizzardo (19 maggio) impersonano il Conte d’Almaviva. Padroni della scena, rendono entrambi bene il carattere del nobilotto al quale tutto è dovuto, alla ricerca di nuove emozioni perché perennemente annoiato. Alla fine, gabbato, è costretto a scusarsi pubblicamente con la consorte, ma nessuno potrebbe scommettere su un suo sincero pentimento. Dei due interpreti Priante è più accurato vocalmente, mentre Nizzardo, pur con una voce che si espande con facilità, ha un’emissione un poco più ruvida, che forse contribuisce ad accrescere il carattere protervo del Conte. Sia l’uno che l’altro però, arrivati a “Vedrò mentr’io sospiro”, come il novanta per cento dei baritoni, inciampano nel passo di coloratura sul finire dell’aria (ma Priante se la cava meglio del collega).
Quanto a Mariangela Sicilia, Contessa il 18 maggio, c’è da dire che lo strumento ha acquistato corpo rispetto a qualche anno fa; le manca ancora una certa confidenza col personaggio, soprattutto nei recitativi e in certi pezzi d’assieme, e una maggiore duttilità. Anche per Maria Novella Malfatti (19 maggio) il problema non è farsi udire, ma la ricerca di una maggiore omogeneità vocale. Entrambe hanno comunque buoni momenti, soprattutto nelle due arie.
Cherubino ideale è Cecilia Molinari (19 maggio). Credibilissima visivamente nel delineare un adolescente che emana un fascino inconsapevole, ha voce molto gradevole che sa usare con grande cognizione di causa. Chiara Tirotta è in possesso di uno strumento più corposo ed è tecnicamente irreprensibile; dipana la parte con gusto e ottiene un giusto riconoscimento dal pubblico dopo la sua seconda aria. Le manca solo la credibilità fisica della collega per rendere alla perfezione il suo Cherubino.
Spassosa la Marcellina di Laura Cherici, bionda panterona dagli appetiti sessuali ben in evidenza e poi madre amorevole. Viene tagliata la sua aria del quarto atto e la cantante, dopo il recitativo che precede “Il capro e la capretta”, abbandona il palco velocemente accennandone l’incipit.
Spiritoso anche il Bartolo in carrozzella di Francesco Leone, pronto all’occorrenza a recuperare la motilità in caso di imbarazzo e ben caratterizzato il Basilio ex figlio dei fiori di Paolo Antognetti (pure lui orbato della sua aria).
Credibile nella sua acerbità la Barbarina di Patricia Daniela Fodor e tratteggiato con accuratezza il Don Curzio di Cristiano Olivieri.
Completano il cast le due contadine di Chiara Salentino e Rosa Guarracino.
Vivo e convinto successo per tutti dopo le arie e alle uscite finali.
La recensione si riferisce alle serate del 18 e 19 maggio 2023
Silvano Capecchi