Francesca | Galina Cheplakova |
Paolo Malatesta | Dmytro Popov |
Dante Alighieri | Dmitry Golovnin |
Lanceotto Malatesta | Vladislav Sulimsky |
Virgilio | Ilia Kazakov |
Direttore | Kirill Petrenko |
Maestro del coro | Gijs Leenaars |
Rundfunkchor Berlin | |
Berliner Philharmoniker | |
Programma | |
Samuel Barber | Adagio per archi op.11 |
Sofia Gubaidulina | The Wrath of God |
Sergei Rachmaninov | Francesca da Rimini op.25 |
Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria.
I versi danteschi ricorrono nella Francesca da Rimini di Rachmaninov, prima nel prologo, declamati dagli infelici protagonisti e poi nell'epilogo come un grido straziante del coro, che trova ex abrupto la parola dopo che fino a quel momento si era espresso solo con melismi senza versi.
Quest'opera di Rachmaninov, su libretto di Modest Tchaikovskij, è quasi inedita in Italia dove domina (nelle sporadiche riprese) quella di Zandonai, ed è entrata nel repertorio dei Berliner Philharmoniker nel loro recente concerto con Kirill Petrenko sul podio della Philharmonie.
Il mito dei due amanti infelici ha ispirato vari altri compositori, da Tchaikovskij stesso a Ambroise Thomas a Mercadante, la cui opera venne proposta a Martina Franca anni fa. Per la partitura di Rachmaninov Petrenko dimostra affinità, e insieme ai Berliner nella solita eccellente forma ha offerto una lettura accesa, contrastata, drammaticamente infocata, che ha coinvolto da subito in una progressione musicale inesorabile, con tempi serrati e chiaroscuri ben contrastati.
Da un punto di vista teatrale la struttura dell’opera è efficace: nel prologo, tra sonorità impetuose e i lamenti del coro, Dante e Virgilio osservano le anime in pena e il Vate è colpito dalle figure dei due amanti.
Con un flashback la loro storia prende vita: la gelosia di Lanceotto, la scoperta del presunto tradimento e il delitto. Compatto e veloce l’epilogo, di nuovo nell’oltretomba, chiuso dal coro che, come abbiamo anticipato, ripete con toni imponenti e tragici l'ammonimento dantesco.
L’opera dura poco più di un’ora ma appare perfetta così. In questa brevità i personaggi sono ritratti con nitidezza, non tradita dall’ottima compagnia di canto, seguita con attenzione da Petrenko.
Dominatore della serata è stato Vladislav Sulimsky, un Lanceotto impressionante in una parte dalla scrittura non facile specialmente nel lungo monologo su cui è caricato quasi l'intero peso della prima parte. Solida voce di baritono, grande forza interpretativa con una recitazione credibile esibita anche nella forma di concerto sono stati i punti focali di una prova da ricordare.
Francesca è stata Galina Cheplakova, soprano lirico di solida grana vocale e timbro terso, brava a mettere in luce l'animo tormentato del personaggio. A lei spetta la pagina più celebre dell’opera. l’aria “Oh non piangere mio Paolo”, spesso eseguita in concerto dai soprani. Dmytro Popov è stato un Paolo appassionato, affrontato con piglio diretto e accenti sicuri. A Dante e Virgilio sono riservate l'introduzione alla vicenda e l'epilogo: parti brevi ma con due interpreti indovinati in Dmitry Golovnin, un Vate dalla vocalità più chiara, e Ilia Kazakov, che con la sua corda di basso ha dato solennità alle battute di Virgilio.
Il ruolo del coro è limitato come spazio ma di precisa rilevanza nell'economia musicale dell'opera, e il Rundfunkchor Berlin guidato da Gijs Leenaars ne è stato degno interprete con una prova incisiva nei giochi di volumi sonori.
La serata si era aperta con l’Adagio per archi di Samuel Barber, trascrizione per orchestra del secondo movimento del suo Quartetto op. 11, rielaborazione suggerita da Toscanini che ne diresse la prima esecuzione nel 1938. La pagina arrivò sugli spartiti dei Berliner Philharmoniker nel primissimo dopoguerra, già a dicembre 1945 e adesso vi mancava dal 2020, già era-Petrenko. Il quale riprende la partitura seguendone il variegato flusso dinamico con una naturalezza che lo rende quasi inapparente. Gli archi sono compatti con suono morbido e tratti iridescente. Nel complesso un'esecuzione suggestiva, dall'atmosfera quasi sospesa.
Non poteva esserci contrasto maggiore di quello che si è creato con The Wrath of God, pagina del 2019 che Sofia Guibaidulina volle dedicare a Beethoven. Come l’Adagio di Barber, anche questo lavoro della compositrice russa era parte di una composizione più complessa, il suo Oratorio On Love and Hateche ebbe la sua prima nel 2016.<br/> Musica ciclopica che ben descrive quello che c'è nel titolo: l’ira di Dio verso gli uomini con l’umanità atterrita in una lettura che, attraverso rari alleggerimenti, va avanti verso un finale quasi apocalittico.
In apertura hanno dominato gli ottoni, spinti nelle tonalità più profonde in momenti di impressionante veemenza sonora che si sono ripetuti poi in una pagina difficile per gli equilibri orchestrali, ma di cui Kirill Petrenko e i Berliner vengono a capo con precisione e nitidezza, anche fra piani sonori dirompenti come forse poche orchestre al mondo sarebbero riuscite a fare, a parte i sempre granitici Berliner.
Philharmonie gremita, successo vivissimo e festoso.
La recensione si riferisce alla rappresentazione del 17 gennaio 2025.
Bruno Tredicine