Don Pasquale | Roberto De Candia |
Norina | Giulia Mazzola |
Ernesto | Javier Camarena |
Dottor Malatesta | Dario Sogos |
Un notaro | Fulvio Valenti |
Direttore | Iván López-Reynoso |
Regia | Amélie Niermeyer |
Scene e costumi | Mari-Alice Bahra |
Luci | Tobias Löffler |
Coreografie | Dustin Klein |
Assistente alla regia | Giulia Giammona |
Maestro del Coro | Salvo Sgrò |
Orchestra Donizetti Opera | |
Coro dell'Accademia Teatro alla Scala | |
Nuova produzione della Fondazione Teatro Donizetti. Allestimento dell'Opéra de Dijon |
Don Pasquale, uno dei pochi titoli donizettiani rimasti in modo permanente nella programmazione di tutti i teatri del mondo, vide la luce nel 1843, durante uno dei periodi più creativi della vita del suo autore. L’edizione critica uscita quest’anno, per celebrare la quale il Festival ha deliberatamente inserito in cartellone il titolo in oggetto, ha richiesto uno sforzo titanico a causa dei ripensamenti e delle continue modifiche operate a suo tempo da Donizetti stesso in corso d’opera.
L’importanza di questo lavoro, curato da Roger Parker e Gabriele Dotto, rimane però straordinaria in quanto proietta una luce più chiara su quali fossero le modalità di composizione di un’opera nel corso della prima metà dell’Ottocento, dimostrando come la partitura venisse via via adattata alle mutevoli esigenze esecutive. Non sono poche, infatti, le scoperte inerenti importanti questioni di scrittura o l’impiego di particolari risorse strumentali da parte dell’autore, tutti dettagli che hanno ricadute nella soluzione di vari problemi di agogica e dinamica.
Lo spettacolo del Donizetti Festival, con la regia di Amélie Niermeyer, le scene e costumi di Maria-Alice Bahra, è coprodotto con l’Opéra di Dijon. La scena, girevole, ci presenta da ogni lato la modernissima e lussuosa dimora di Don Pasquale, all’esterno della quale è parcheggiata un’obsoleta autovettura al cui interno vive una Norina totalmente priva di risorse ed estremamente desiderosa di praticare una rapida ascesa sociale. La sorpresa avverrà sul finale quando la donna, mentre tutti celebreranno la dignità di ogni genere di amore, fuggirà da sola abbandonando anche il fidanzato, fiera della propria indipendenza cui non intende davvero rinunciare.
La regia punta a mettere in risalto il lato malinconico della vicenda connesso in parte all’età del protagonista e allo spleen che lo assale, ma al tempo stesso opera anche una riflessione più globale sui rapporti umani. Lo spettacolo, a parte qualche momento forse eccessivamente festaiolo, nel suo complesso è funzionante, è brillante, ben congegnato e si avvale di un apparato scenico davvero di lusso.
La direzione di Ivàn López-Reynoso, che si basa come detto in precedenza sulla nuova edizione critica, predilige tempi serrati e sonorità vivaci, pur mettendo in giusta evidenza i momenti riflessivi, come ad esempio quello immediatamente successivo all’episodio dello schiaffo propinato da Norina al povero Don Pasquale. Il tappeto sonoro è particolarmente variegato ed ha il pregio di distaccarsi da certa tradizione un po’ trita che vorrebbe l’orchestra solo come un sostegno alle varie situazioni comiche proposte sul palcoscenico.
Roberto De Candia è un Don Pasquale con i fiocchi, un personaggio a tutto tondo, completo, sia dal punto di vista interpretativo sia da quello vocale. Javier Camarena, nei panni di Ernesto, sfoggia uno strumento perfettamente gestito e dal timbro degno di nota; l’acuto si leva solido e sicuro, il suono è sempre ben in maschera.
Giulia Mazzola, allieva della Bottega Donizetti, è una Norina scoppiettante, sempre padrona della scena, davvero encomiabile. La voce corre, è ben proiettata e non manca di corpo. Bravo anche Dario Sogos, che incarna un Malatesta scattante e particolarmente propenso ad adattarsi a ogni tipo di situazione. Anche in questo caso la notevole capacità attoriale si congiunge ad una tecnica precisa e ad una particolare dote espressiva. Con loro il notaro di Fulvio Valenti.
Buoni gli interventi del Coro dell’Accademia Teatro alla Scala, ben preparato da Salvo Sgrò.Anche in questo caso grande successo di pubblico che, se ancora servisse, è un’ulteriore conferma di quanto il Festival sia ormai entrato nel cuore degli spettatori e di quanto la sua alta qualità non sia passata inosservata.
La recensione si riferisce alla prima del 17 novembre 2024.
Simone Manfredini