Il Conte di Almaviva | Davide Luciano |
La Contessa di Almaviva | Ruzan Mantashyan |
Susanna | Ying Fang |
Figaro | Riccardo Fassi |
Cherubino | Polly Leech |
Marcellina | Iris van Wijnen |
Bartolo | Michael Hauenstein |
Basilio | Lucas van Lierop |
Don Curzio | Jeroen de Vaal |
Antonio | Sam Carl |
Direttore | Riccardo Minasi |
Regia | David Boesch |
Scene | Patrick Bannwart |
Costumi | Meentje Nielsen |
Luci | Olaf Winter |
Nederlands Kamerorkest |
Due ore per le Nozze di Figaro sembrano poche, anche se ogni minuto di quest’opera vale un Perù. Con il consueto senso pratico, ad Amsterdam di questi tempi devono aver pensato che qualcosa è sempre meglio di niente, così hanno quasi dimezzato la folle giornata, riducendo una produzione del 2016. Hanno tagliato diverse arie, sacrificato Barbarina ma tenuto il giardiniere Antonio, senza il quale il prodigioso finale del secondo atto non sta in piedi. Hanno cercato di salvare la trama tagliando i nastri insanguinati ma conservando le spille. Dopo qualche minuto ci si abitua e sembra che sia sempre andata così, arie e duettini sfumano ma si va avanti con quello che c’è, come in tempo di guerra. La scena è spoglia ma contiene tutto quello che serve, siamo ai tempi nostri come si deduce dagli outfit Adidas e da una foto di Jimi Hendrix nel bugigattolo di Cherubino, nonché dalla gigantesca cabina armadio telecomandata del secondo atto. I valletti però sono in costume, anacronistici ma tuttora presenti nelle case dei ricchi.
La regia teatrale di David Bösch è snella ed efficiente, ben ripresa anche in video e, pur in ristrettezze, riesce a evidenziare i punti del racconto necessari a dare un senso alla trama. I costumi non brillano ma almeno non disturbano. Si fa apprezzare il grembiule all’olandese del giardiniere Antonio, d’altronde nel settore sono insuperabili.
Sul palco un gruppo di ragazzi o poco più, benché stando a metri di distanza l’uno dall’altro, descrivono il desiderio amoroso in tutte le sue forme: quello impellente di Cherubino, quello pieno di promesse di Susanna e Figaro, l’altro al tramonto di Rosina e del Conte, quello sepolto nel passato di Marcellina e Bartolo. Il direttore, Riccardo Minasi, aggiunge consistenza al racconto con un’orchestra capace di sottolineare tutte le sfumature della sensualità. Di attese amorose, più o meno fondate, l’opera è piena e da qui derivano la freschezza e il suo apparire ogni volta nuova, soprattutto se gli interpreti sono perfettamente nel ruolo, giovani, bravi e belli. Figaro e Susanna, la prima coppia in scena, sono incarnati da Riccardo Fassi e Ying Fang. Il giovane basso italiano non si fa pregare dal punto di vista dei mezzi vocali, più che consistenti oltre che di bel timbro, ma non corre il rischio di sembrare lui il padrone di casa, cosa che a volte accade in quel match vocale con il conte, sempre sottotraccia. Il suo Figaro è sveglio, pronto, solerte ma con quel filo di candore che dà nuova linfa al personaggio.
Ying Fang, soprano cinese di formazione americana, è una buona attrice con una vena comica spontanea ed elegante. Molto in parte dal punto di vista vocale, canta con dolcezza e intelligenza, padrona della lingua non solo musicale; non ha accenti esotici e inoltre con la sua dizione ben scandita riporta alla luce parole note solo a chi conosce il libretto a memoria. Con la Contessa forma un sodalizio finalizzato alla sopravvivenza, ma basato su una consuetudine quotidiana e un affetto che fa di loro l’unica coppia veramente stabile di tutta l’opera. Rosina è Ruzan Manthashyan, nota alle cronache per un brutto episodio capitato nel gennaio di quest’anno a Dresda in occasione di un concerto cui doveva partecipare in coppia con Yusif Eyvazov, lei armena e lui azero. Quest’ultimo, noto soprattutto per essere il consorte di Anna Netrebko, si è rifiutato di cantare con lei in quanto considerata nemica dell’Azerbaigian. Tra i due l’organizzazione ha preferito il consorte. A Dresda si sono persi qualcosa perché la Manthashyan non solo è bellissima, ma anche brava. La sua Contessa è molto giovane e molto consapevole di aver sposato una macchina da tradimenti. Naturalmente è sempre innamorata, ma più che altro ci tiene a umiliare il marito. Dà il meglio negli insiemi, con una presenza scenica importante, sempre ironica, garbata e presente. La sua linea di canto è classica e ben strutturata, si vede e si sente che ha studiato con Mirella Freni. Sembra di madrelingua italiana per come padroneggia il testo, non solo per pronuncia e dizione, ma anche per lo scavo nelle parole. Nelle arie mantiene un severo distacco, il che la esime dall’essere lagnosa.
Davide Luciano è un Conte maleducato e smargiasso, un nuovo ricco di periferia che stappa lo champagne a tempo e se ne compiace, di una bullaggine più divertente che irritante. La sua voce importante gli permette di sprigionare una forte energia, con cui cerca di far capire chi è il padrone proprio mentre viene buggerato in ogni modo. Nonostante i comportamenti da cliente del Billionaire canta con sensibilità e intrinseca nobiltà, soprattutto nella grande aria del terzo atto, in cui la dignità del personaggio è riscattata dalla sobrietà dell’interprete. Polly Leech è un giovane mezzosoprano inglese nei panni, orribili per colpa dei costumisti, di Cherubino. Bionda, soffice, con gli occhi di un vero ragazzino sembra tutto il contrario di quel seduttore seriale che è il “fanciullo” di corte. Quando però inizia a cantare con la sua voce, così sensuale soprattutto nelle note gravi, è sorprendente. Sale sulla sedia come i bambini a Natale per Voi che sapete e inizia una guerra di sguardi con Susanna e Rosina, mentre con questo suo timbro speciale produce note di seta appena un po’ stropicciata per chiedere alle donne grandi com’è l’amore. In realtà è lei che lo spiega a loro, le sta seducendo. Personalmente non ho mai sentito cantare con tale sottigliezza erotica la canzonetta sull’aria.
Riccardo Minasi, a capo dell’ottima Nederland Kamerorkest, è forse l’artefice principale della riuscita di questo spettacolo. Stacca tempi distesi per permettere ai cantanti di respirare con la musica, poi li varia nelle riprese e nei finali cogliendo alla perfezione tutti gli snodi drammaturgici. La dinamica è quanto mai varia e mutevole per rispettare le ragioni del canto ma anche per dare forza alle grandi chiuse. Il suo fandango è memorabile, del resto chi frequenta la musica barocca è sempre gran maestro di danze. Trova un colore diverso per ogni aria e ogni momento e conduce con leggerezza la grande macchina musicale del secondo atto. Alla fine saluterà noi e la mamma con un bicchiere di champagne, dopo i piccoli applausi cui per altro si associano anche i nostri, virtuali ma convinti.
I comprimari, orbati delle arie, sono presenti solo nelle scene d’insieme, ma vanno citati perché fanno di ogni personaggio un carattere: Sam Carl (Antonio), Iris van Wijnen (Marcellina), Michel Hauenstein (Bartolo), Lucas Van Lierop (Basilio) e Jeroen de Vaal (Don Curzio).
La regia video è ottima e rende giustizia al lavoro attoriale dei cantanti.
La recensione si riferisce alla diretta streaming del 29 novembre 2020.
Daniela Goldoni