Herodes | John Daszak |
Herodias | Violeta Urmana |
Salome | Asmik Grigorian |
Jochanan | Kyle Ketelsen |
Paggio | Jana Kurucová |
Narraboth | Oleksiy Palchykov |
Primo ebreo | James Kryshak |
Secondo ebreo | Florian Panzeri |
Terzo ebreo | Daniel Kluge |
Quarto ebreo | Andrew Dickinson |
Quinto ebreo | Hubert Kowalczyk |
Primo nazareno | Alexander Roslavets |
Secondo nazareno | Nicholas Mogg |
Primo soldato | David Minseok Kang |
Secondo soldato | Karl Huml |
Direttore | Kent Nagano |
Regia e scene | Dmitri Tcherniakov |
Costumi | Elena Zaytseva |
Luci | Gleb Filshtinsky |
Drammaturgia | Tatiana Werestchagina |
Orchestra Filarmonica dell'Opera di Amburgo |
Non è facile raccontare a parole una serata d’opera emozionante in modo indicibile. Per farmi strada in questo privilegio dai risvolti traumatici, comincio da una frase che Strauss librettista mette in bocca a Salome, nel lungo monologo di contemplazione della testa del Battista. ‘Hättest du mich gesehn, du hättest mich geliebt!’, traducibile in ‘Se mi avessi vista, tu mi avresti amata!’.
Durante lo spettacolo, in quel punto si sciolgono le emozioni di Salome, dell’orchestra e del pubblico. Non emozioni dirotte, ma commozione intima nel rispecchiarsi in chi non venga ‘visto passare’. Se non addirittura memoria partecipe di quando sia toccato a ciascuno. La triade protagonista-direttore-regista costruisce quindi lo spettacolo musicale e scenico a partire da Salome non vista da Giovanni, a dispetto delle sue arguzia, bellezza, ricchezza e potenza. Ne fanno un’opera d’arte totale, per cui analizzarne i risvolti non sarebbe utile. Ci limitiamo a tratteggiarne alcuni elementi.
Chi scrive ha ascoltato Asmik Grigorian quasi ovunque, ammirandola con gratitudine sia nella crescita vocale che nella presenza scenica sempre più per sottrazione. Ciononostante non tutti i ruoli le sono ugualmente congeniali, per non parlare delle produzioni. Qui ci ha regalato la sua prestazione più bella. Musicalmente è libera, colorando di inflessioni il testo quasi che lo stesse componendo e cantando insieme: nei colori prima che in scena si fa giovanissima e un po’ distratta all’inizio, poi oscillante tra curiosità erotica e paura dell’ignoto, quindi donna-oggetto pagata dal patrigno, infine un’allucinata quasi estatica. Una Salome per nulla mitologica e pienamente persona. Una Salome che in cento minuti di musica evolve, simile al protagonista di un romanzo di formazione. La voce è al suo culmine, e rispetto ad alcuni anni fa calza come un guanto alla tessitura del ruolo: più sale e più si fa ricca e ampia, nel finale è inaspettatamente torrenziale. Non accusa cedimenti né sbavature, eppure mai è semplicemente una professionista efficace: comunica arte a ogni battuta. In scena non pare vera, impossible enumerare le tante inflessioni sottili che ne caratterizzano l’espressione corporea. Limitiamoci alla danza dei sette veli. Lei è un’ex ballerina classica, e nella prima parte dello spettacolo ne dà prova qua e là col corpo ‘a ponte’ e movenze di grande stile per gambe, busto e braccia. Quando inizia la musica ritmata e a tratti dissonante, lei si scatena per pochi secondi in un ballo da discoteca. Per tutti i minuti successivi si limita a stare ferma o poco più, prima nuda poi in un vestito di bambola da carillon. Si concentra su giochi sottili di sguardi, fremiti delle mani, posizione dei piedi: più intensa di qualsivoglia esplicitazione. Peraltro così facendo è totalmente nella musica, perché si sintonizza sulle sfumature più inesprimibili. Un’artista unica.
Kent Nagano è alla sua penultima stagione da direttore musicale all’Opera di Amburgo, respirando un tutt’uno con l’orchestra. Una lettura spedita, pulita, tagliente senza essere secca né dura, che dalla frase di Salome citata all’inizio si scioglie in umanità dolcissima, avvolgendo la protagonista come in un abbraccio materno. Anche solo osservandone il gesto, è evidente il suo mettersi a servizio della musica con equilibrio e fedeltà, senza sovraccaricarla di turgori stilistici o di stilemi orientalizzanti. L’orchestra lo asseconda completamente, con fantasia pregevole in colori e gamma di vibrato.
Dmitri Tcherniakov firma a sua volta un allestimento di vertice nella sua carriera. La vicenda è ambientata in un lussuoso salone tardo-liberty, durante una cena di gala per il compleanno di Erode. Salome entra a menù iniziato, in streetwear e viso struccato pallido, distratta e annoiata. Un tale a capotavola, che legge un libro e fuma il sigaro volgendo le spalle al pubblico, la ammalia progressivamente con parole e la postura. È Giovanni. Gli ospiti entrano ed escono, Salome e Giovanni restano sempre. Da ragazza superficiale, anche per questo non vista dal profeta, Salome attraversa metamorfosi progressive che partono dall’abbigliamento - assai riusciti i costumi di Elena Zaytseva - e si riflettono nel fraseggio: bellezza disinibita al punto da spogliarsi in pubblico, ragazza innocente per riscattarsi agli occhi di Giovanni, oggetto alla mercé di Erode, allucinata prima violenta poi trasfigurata. Morirà prima che le guardie chiamate dal padre si palesino, cadendo a terra dopo che un fremito ne ha attraversato il corpo
Tra gli altri solisti spiccano la Erodiade di Violeta Urmana, dagli sguardi penetranti e con la voce ancora ben salda, e il Narraboth ideale di Oleksiy Palchykov. Il Giovanni di Kyle Ketelsen e l’Erode di John Daszak convincono pienamente nella resa dei personaggi, ma entrambi cantano parti ardue per i rispettivi mezzi vocali. Molto bene Jana Kurucová nel ruolo del paggio, così come la nutrita schiera di ebrei, nazareni e soldati.
Al termine la Grigorian si presenta sola al proscenio, e tutto il pubblico le tributa in piedi la propria ammirazione. Resteranno tutti in piedi per i successivi dieci minuti di applausi e di ‘bravo’.
La recensione si riferisce alla recita del 1 novembre 2023.
Marco Peracchio