autore | Alberto Mattioli |
editore | Garzanti |
numero pagine | 214 |
prima edizione | novembre 2020 |
prezzo di copertina | 16 € |
“Pazzo per l’opera” è il titolo dell’ultimo libro di Alberto Mattioli, giornalista del quotidiano La Stampa (di cui per molti anni è stato corrispondente da Parigi), critico musicale, librettista e molto altro. Una presentazione totalmente superflua per i lettori di OperaClick che certamente conoscono molto bene il più patologico degli operoinomani modenesi; operoinomane è un neologismo un po’ scherzoso che rende benissimo il significato del sottotitolo di questo libro: “istruzioni per l’abuso del melodramma”.
Un testo in cui l’autore riversa e rivela, a chi ancora non l’avesse ben chiaro, tutto lo sfrenato amore per questa straordinaria forma d’arte. Una passione che nell’arco di circa 35 anni l’ha portato ad assistere a poco meno di 1800 recite (1791 alla data di stampa del libro) in teatri grandi, medi e piccini distribuiti in tre diversi continenti. Analisi di una melomania ritenuta dallo stesso autore: smodata, maniacale e totalizzante. Addirittura, in grado di creare astinenza, come durante la prima fase della pandemia del 2020 e relativo lockdown.
Ovviamente i toni sono portati all’eccesso anche per strappare un sorriso al lettore ma tutto è molto vicino alla realtà. Del resto, tutti noi che frequentiamo l’ambiente dell’opera lirica da tanti anni e possiamo ritenerci melomani, abbiamo fatto e facciamo vere e proprie follie per assistere a spettacoli che reputiamo interessanti. Per queste ragioni “Pazzo per l’opera” è una lettura coinvolgente, ricca e appassionante, in quanto è un po’ la storia di ognuno di noi, folli operoinomani.
Mattioli dalle sue esperienze teatrali ha maturato una serie di convinzioni che lo portano ad infervorarsi con passione nel tentativo di far comprendere quello che secondo lui sia il modo più corretto per rappresentare l’opera ai giorni nostri. In tal senso il capitolo più significativo del libro, non a caso il primo, è quello intitolato “Registi, vil razza dannata”. Come si evince dal titolo, l’argomento tratta l’annosa questione che contrappone regie tradizionali e regie moderne. Ora, senza spoilerarvi esattamente il contenuto dell’ampio capitolo, possiamo dire di trovarci d’accordo, seppure con slancio meno integralista, sul fatto che la già menzionata suddivisione non abbia senso in quanto le regie meritano di essere etichettate esclusivamente tra stupide/insulse e intelligenti/emozionanti. Forse i toni con cui vengono espresse alcune idee potrebbe essere meno tranchant ed anche un tentativo di comprensione di quello che viene identificato, un po’ antipaticamente, come “melomane medio”, non guasterebbe. Anche noi abbiamo apprezzato la Traviata con la regia di Tcherniakov ma soprattutto il Gianni Schicchi con la regia di Aliverta (anzi, ci saremmo aspettati di trovarlo nel capitolo in cui Mattioli indica i suoi cento spettacoli da ricordare) ma ciò non toglie che possa esserci spazio anche per regie che, oltre alla drammaturgia, seguano più fedelmente le didascalie del libretto. Una cosa non esclude l’altra. In fin dei conti se la casalinga di Voghera o il lattaio di Casalpusterlengo, che magari non possono raccontare di aver visto in teatro 153 Traviate, 135 Bohème e magari 27 The turn of the screw (ci arriverà certamente la gradita mail di qualche casalinga o lattaio che ci smentirà), vogliono uscire dalla loro quotidianità godendosi un allestimento anche un po’ oleografico, che c’è di male? Il mondo dell’opera è talmente piccolo che potrebbe benissimo esserci spazio e possibilità per soddisfare le aspettative di tutti. Su una cosa però credo si sia tutti d’accordo (del resto riporta alla suddivisione, regie stupide e regie intelligenti): il cantante a proscenio, fermo come un palo, con una gamba in avanti e le braccia mosse come se si trattasse di un vigile urbano, non è più ammissibile.
Divertente il capitolo (in realtà nel libro vengono chiamati Atti) intitolato “Lessico famigliare” in cui vengono elencati e descritti molti di quei termini inventati dai melomani quali ad esempio “melochecca” e “RigoLeo”. Inoltre, onore all’autore che ha colto l’occasione per ribadire che si dice IL soprano (il mezzosoprano, il contralto) anche se si tratta di una donna.
Vi è ovviamente un atto dedicato ai cantanti nel quale Mattioli dimostra d’essere un melomane (non ci permettiamo di definirlo medio) come tutti gli altri, con le proprie verità assolute e le accecanti passioni. Quelle che a lui non fanno vedere o comunque portano a giustificare, anche se ben argomentati, i difetti di Kaufmann e a noi, per le stesse ragioni, quelli di Del Monaco che consideriamo un cantante geniale e di rottura col passato non meno della Callas. Ma del resto è giusto che sia così e non potrebbe essere diversamente.
Grande passione, riconoscenza, affetto si evincono e rendono particolarmente coinvolgenti le parti del libro in cui Mattioli racconta, anche in virtù di una frequentazione diretta, Mirella Freni e Luciano Pavarotti, modenesi come lui.
Naturalmente non potevano mancare gli spazi riservati a Cecilia Bartoli e Edita Gruberova, artiste molto amate dall’autore del libro oltrechè da milioni di appassionati in tutto il mondo. Nel caso della Gruberova, particolarmente esilaranti le descrizioni delle deliranti reazioni dei fan, dopo e durante alcuni concerti infarciti di tutti gli effettacci che hanno accompagnato l’ultima fase della carriera della grande artista di Bratislava. Forse un po’ scontata la dedica a Maria Callas di cui si è già detto di tutto, di più e forse anche troppo; ma anche in questa, a volte ossessiva ripetitività, si distingue il melomane patologico.
Come abbiamo accennato, un ampio capitolo è dedicato ai cento spettacoli che hanno particolarmente appagato le follie itineranti di questo intelligente, coltissimo e simpatico operoinomane che risponde al nome di Alberto Mattioli. Un’intrigante carellata di cento titoli, posti in ordine cronologico, ognuno corredato d’autore, titolo, città, teatro, data di rappresentazione e indicazione delle caratteristiche che l’hanno reso indimenticabile nella sua personale classifica. Anche questa è una parte molto bella del libro che sicuramente porterà il lettore a ritrovare in elenco alcuni titoli indimenticabili a cui probabilmente anch’esso ha partecipato.
Il libro contempla, fra l’altro (impossibile citare tutto), anche un piacevolissimo excursus fra i principali festival italiani e stranieri per i quali vengono descritte, con il consueto stile forbito ma al contempo scorrevole e ironico, caratteristiche precipue, storia, luoghi, repertori principali e personaggi che hanno donato loro lustro e celebrità.
Un libro ricco di spunti interessanti su cui riflettere e nel quale, come è nel suo carattere, l’autore prende posizioni molto nette; coraggio di cui gli va reso merito. Ovviamente non ci si può trovare d’accordo su tutto. Fra le poche tematiche in cui non ci troviamo d’accordo vi è quella in cui rammenta che ai tempi di Verdi l’opera lirica non era un genere di spettacolo che insegnavano a scuola. Anzi, la scuola la frequentavano in pochissimi eppure, un pubblico di scarsa o nulla scolarizzazione, affollava i loggioni. Un esempio che non regge il significato che gli assegna Mattioli, in quanto, all’epoca di Verdi e sino alla prima metà del secolo scorso, il teatro d’opera era pressochè un fenomeno di massa e, in quanto tale, non aveva bisogno di essere spiegato nelle scuole. Come in seguito non ha avuto bisogno d’essere insegnata a scuola la fruizione del cinema ed oggi, anche la casalinga di Mondello, divenuta tristemente celebre dal “non ce n’è coviddi”, non ha certamente frequentato una scuola per imparare a postare i suoi video sui social network.
Noi invece riteniamo che per la sopravvivenza e il futuro dell’opera sia necessario avvicinare i bambini in età prescolare, già dall’asilo, a opere che da loro possono essere fruite e assimilate al pari delle fiabe sonore della Fabbri Editore che molti fra i nostri lettori ricorderanno anche per quel simpatico gingle che iniziava con “A mille ce n’è”.
Un percorso di formazione che andrebbe studiato appositamente da esperti del settore educativo con la consulenza di chi conosce l’opera. L’obiettivo dovrebbe essere quella di renderla una cosa naturale, parte integrante del bambino sin dai suoi primi momenti di consapevolezza. Questo non vuole dire fare il lavaggio del cervello agli infanti ma dargli la possibilità di conoscere e amare l’opera prima che entrino a far parte di quel mondo in cui saranno bombardati dai soliti luoghi comuni fra cui, su tutti, “la lirica è musica per vecchi”.
Pazzo per l’opera è indubbiamente il libro più appassionante, completo e coinvolgente fra quelli che abbiamo letto a firma Alberto Mattioli. Un gran bel libro di cui condividiamo tanto a partire dalla sua toccante dichiarazione d’amore:
“Chi non ci va, la provi;
chi ci va, perseveri;
chi le vuole male cambi idea e
chi la ama si stringa a coorte
per difenderla”.
Danilo Boaretto