Poppea/Fortuna | Hana Blaźíková |
Nerone | Kangmin Justin Kim |
Ottavia | Marianna Pizzolato |
Seneca | Gianluca Buratto |
Ottone | Carlo Vistoli |
Drusilla/Virtù/Pallade | Anna Dennis |
Arnalta/Venere | Lucile Richardot |
Amore/Valletto | Silvia Frigato |
Soldato/Liberto | Furio Zanasi |
Famigliari | Gareth Treseder |
Lucano | Zachary Wilder |
Damigella | Francesca Boncompagni |
Mercurio/Littore | John Taylor Ward |
Nutrice | Michal Czerniawski |
Soldato | Robert Burt |
Direttore | John Eliot Gardiner |
Regia | John Eliot Gardiner e Elsa Rooke |
Luci | Rick Fisher |
Costumi | Patricia Hofstede e Isabella De Sabata |
Monteverdi Choir | |
English Baroque Soloists | |
1 Dvd Opus Arte | |
Ducale Distribuzione |
La trama dell’Incoronazione di Poppea è lineare. Nerone imperatore è stanco di Ottavia, sua moglie. Inoltre è innamorato di Poppea. Ripudia Ottavia, sconquassa la corte e sposa Poppea. Fine della storia. Per sviluppare questa vicenda il librettista Gian Francesco Busenello, Claudio Monteverdi e forse qualcun altro non meglio identificato (sembra che la Poppea sia frutto di mani diverse) mettono in movimento una ventina di personaggi tra umani e dei, ciascuno con un preciso mandato. In più di tre ore di musica e in un numero sterminato di arie, duetti e scene di varia natura si dipana una storia in cui il sesso è emanazione del potere, se visto dalla parte di Nerone, ma anche un mezzo per raggiungerlo, se ci si pone dalla parte di Poppea. I protagonisti non seguono alcuna morale, demandata alle vittime e ai personaggi di contorno che, da parte loro, se ne curano fino a un certo punto. Anche gli dei non brillano per fermezza di principi, più attenti alle ripicche e alle prove di forza tese a dimostrare chi conta di più. Se il potere degli uomini e degli dei è spesso presente nella storia del melodramma, la presenza dell’amore carnale così tangibile come nella Poppea è assai più rara. E ancora più raro e complesso è ricavarne una resa così convincente in uno spettacolo in forma semiscenica. Ma spesso alludere è meglio che mostrare, e la riprova è in questo spettacolo veneziano ad alto tasso erotico, pur nella sua austerità, o forse proprio per contrasto.
Tutto questo è reso possibile da una compagnia di canto eccellente e dalla direzione sensibile di John Eliot Gardiner. L’orchestra è sempre presente, con discrezione quando occorre salvaguardare il ruolo essenziale della parola, con forza quando gli affetti passano attraverso gli strumenti e da questi alle voci, con un’energia di fondo che sostiene la musica in ogni sua espressione e una delicatezza che esalta, per contrasto, le passioni che sconvolgono la scena. Soprattutto mette in risalto la capacità di Claudio Monteverdi di caratterizzare e dare un’identità precisa ad uno stuolo di personaggi proprio con la musica oltre che con la parola.
Nerone è Kangmin Justin Kim, sopranista di qualità e star di you tube, dove si diverte a imitare Cecilia Bartoli con i superpoteri del suo avatar, Kimchilia Bartoli. Il suo lato imperiale è nevrotico, con la protervia infantile di chi può tutto e l’arroganza di chi segue solo i propri impulsi. Il coté erotico è magico, sopraffatto dal desiderio per Poppea ma capace di concedere un ultimo momento di passione a Lucano, un grande Zachary Wilder, in un duetto d’amore memorabile, più torrido del celebre "Pur ti miro" che invece si snoda sottile e allusivo e proprio per questo sublime. Vocalmente è convincente, al di là di un timbro che si raffredda nelle note acute ma che calza con il ruolo.
Hana Blaźíková entra cautamente nel personaggio, da anti-Poppea. Elegante e in apparenza distaccata, sa come sedurre l’imperatore senza esagerare, con perfidia sottile, volontà di ferro e quel tanto di understatement che funziona sempre. Vocalmente è ineccepibile, con quella leggerezza nel porgere parole e musica quasi da antidiva, senza perdere mai di vista il personaggio. È lei che tiene le fila nel finale, dove si abbandona con un occhio all’amante e con l’altro al potere, riuscendo comunque a ricreare la magia del primo incontro. Marianna Pizzolato è Ottavia, la moglie ripudiata. Il suo ingresso, "Disprezzata regina", lascia senza fiato. Canta come una dea per timbro, piglio e intenzione, la dizione è da grande tragica, una meraviglia. Il suo addio è un altro pezzo da antologia, non fosse altro che per quella impalpabile messa di voce che piazza in mezzo ad un arioso sul verso “l’aria che d’ora in poi riceverà i miei fiati”. Gianluca Buratto è un ottimo basso, oltre che uno specialista del periodo e pertanto la grande scena del suicidio "Amici è giunta l’ora" è onorata con tutti i crismi, compreso un coro lussuoso in cui figurano tutti i componenti maschili del cast e l’orchestra che lo accompagna, leggera a rispettosa, con esito struggente.
I personaggi di contorno sono da dream team monteverdiano. Carlo Vistoli, come Ottone, è ormai un paradigma. Entra in scena, si avvicina all’arpa e al violoncello e intona il suo lamento di amante disperato, in simbiosi con gli strumenti. Ha perso Poppea ma si consolerà con Drusilla, una Anna Dennis vocalmente al limite e con qualche problema di pronuncia. Salva comunque il personaggio con la vivace presenza scenica. Lucile Richardot compare sia come Arnalta, madre di Poppea, che come Venere, perfetta in entrambi i ruoli, impagabile quando si compiace perché un po’ di polvere d’oro si poserà anche su di lei: sarà matrona. Anche Silvia Frigato è un po’ divina (Amore) e un po’ umana (Valletto), memorabile in entrambe le identità. Deliziosa quando, da valletto, sbeffeggia Seneca, incantevole con Francesca Boncompagni che le tiene testa alla grande nel duetto amoroso Valletto/Damigella, due principianti assoluti che scoprono l’amore, e infine strepitosa come Amore. Zachary Wilder, Lucano, è protagonista di uno dei punti più alti di questa produzione, il duetto di addio con Nerone. A prescindere dalla pronuncia, esemplare per un anglofono, e dalla chiarezza e cordialità del suo timbro tenorile, esprime anche qui quell’empatia che caratterizza ogni sua interpretazione. Non si può tralasciare la nutrice di Michal Czerniawski il quale, nonostante l’orrenda acconciatura a chignon, è ammirevole per calore e nobiltà del canto.
Hanno cantato pochissimo ma con merito Furio Zanasi, Robert Burt, Garet Treseder e John Taylor Ward, in luce soprattutto nei cori.
La ripresa video è funzionale, incentrata soprattutto sui primi piani che rafforzano l’interpretazione. Buona anche la resa sonora. Quasi inesistenti le note informative in cui compaiono solo cast e credits.
Daniela Goldoni