Soprano | Elena Tsallagova |
Contralto | Wiebke Lehmkuhl |
Tenore | Richard Croft |
Basso | José Coca Loza |
Regia teatrale | Robert Wilson |
Regia video | Tiziano Mancini |
Les Musiciens du Louvre | |
Philharmonia Chor Wien | |
Direttore Charles Minkowski | |
1 DVD 803408 | |
UNITEL Edition | |
Ducale Distribuzione |
Tra i tanti oratori composti da George Frideric Handel il Messiah sembra il meno adatto a essere rappresentato in forma scenica. Non c’è storia, ma una serie di riflessioni su testi tratti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento. Questo non ha impedito alla Fondazione Mozarteum di Salisburgo, in coproduzione con il Festival e il Teatro degli Champs-Élysées, di proporre una messa in scena della versione in tedesco orchestrata da Wolfgang Amadeus Mozart. L’incarico di illustrare e dare un senso teatrale a questa titanica meditazione in musica è toccato a Bob Wilson, regista impavido che di certo non si tira indietro di fronte al mito. Poi, siccome il Messiah è un capolavoro più capolavoro di altri, ha retto bene all’impatto, nel senso che ne è uscito indenne.
Wilson ha creato uno spazio vuoto molto espressivo, una scatola azzurra incorniciata di luce, ben proporzionata. Qui dentro agiscono i solisti e il coro, più alcuni danzatori e figuranti. Il soprano, Elena Tsallagova, è una creatura tutta bianca, compresi volto e capelli, come una statua funebre. Il contralto, Wiebke Lehmkuhl, è invece in nero, in divisa da governante. Richard Croft, il tenore, è in giacca, panciotto e papillon, truccato come in un quadro del realismo tedesco ma vestito come un personaggio di Altan. Il costume del basso, José Coca Loza, non è semplice da decifrare ma è sicuramente orientale. Ha una spalla scoperta come un monaco buddista, è pettinato come un lottatore di sumo però ha i pantaloni lunghi. Il coro è generalmente in nero.
Nella scatola si muovono in molti, portatori di una simbologia di difficile lettura: un covone danzante, un vecchio con la barba lunga e arricciata, una bambina in abito ottocentesco, un uomo senza testa che tiene al guinzaglio un’aragosta, un ballerino in bretelle a torso nudo, un altro coperto solo da un drappeggio bianco che compone una mutanda primordiale. Nell’Halleluyah si inserisce un astronauta gommoso, uscito da un fumetto sovietico, mentre sullo sfondo esplodono vulcani tra i ghiacci. Tutto questo non compromette però la forza della musica, e tutto sommato non distoglie molto l’attenzione: l’importante è rinunciare a dare un senso ai segni seminati dal regista.
La resa musicale è eccellente. Marc Minkowski, interprete epocale della partitura handeliana (CD Archiv, 2001), si ripropone con Les Musiciens du Louvre e con il Philharmonia Chor Wien in una nuova interpretazione da “spalti”, senza risparmio di energie. Entra con sicurezza nella diversa orchestrazione, più morbida e arricchita da ottoni scintillanti, veste come un guanto la lingua tedesca, evidenzia alcune deliziose novità, come l’accompagnamento al fortepiano del coro Denn es ist unse in Kind geboren (For untous a child is born), soprattutto mette in primo piano lo spirito teatrale puramente mozartiano. Fa un lavoro eccellente sui recitativi, dopo un attimo ci si dimentica che il Messiah nasce in inglese, come se la lingua madre di Handel riemergesse in tutta naturalezza. Il tedesco si infiltra anche nei cori. Il grandioso trittico corale della seconda parte, blocco che dà il tono a molte interpretazioni, è sensibilmente influenzato dalla lingua diversa. Così se Warlich! Er litt unsre Qual! (Surely he has borne our griefs) suona molto assertivo, con la sua fuga snocciolata a tempi più che sostenuti, mentre Durch seine Wunden (And with his stripes we are healed) è sommesso e dolente, come un’intima riflessione. Conclude la magnifica sequenza Wie schafe gehn’n (All we like sheep), rinforzato dagli ottoni, dove più che a pecore erranti si pensa a greggi composti, inquadrati che corrono compatti senza incertezze. Più si avanza con l’ascolto e più lo spirito mozartiano si rafforza. In particolare dal duetto O Tod wo ist dein Pfeil (O death, where is thy sting?), risolto in chiave scherzosa a maliziosa da Wiebke Lehmkuhl e Richard Croft, fino al finale con un festoso Amen che viaggia dalle parti di un singspiel rinforzato, siamo proprio in pieno teatro musicale.
Il quartetto dei solisti è omogeneo nel fare tutto bene. Elena Tsallagova, soprano dalla voce limpida e preziosa, è lontana dagli eventi, quasi una voce narrante che non mostra umane sofferenze ma espone con precisione fatti e riflessioni. Inoltre riesce a non perdere la linea di canto anche mentre si versa in testa dell’acqua da sola. Il contralto Wiebke Lehmkuhl ha in dote l’aria più struggente dell’intero oratorio: Er ward verschmäet (He was despised). Minkovski la accompagna come solo lui sa, con tempi dilatati e una ripresa ancora più rallentata e sussurrata che svanisce sempre più flebile, impresa possibile grazie al controllo e alla tenuta del fiato dell’interprete, oltre che alla sua grande sensibilità. Il tenore Richard Croft è fantastico. Ha la responsabilità di mettere a suo agio gli astanti dando subito il massimo nel leggendario recitativo accompagnato Tröstet Zion! (Confort ye my people) con un diminuendo iniziale memorabile. Poi snocciola tutte le colorature dell’aria Alle Tale macht hoch (Ev’ry valley shall be exalted) come se niente fosse, così come riesce a ballare con garbo mentre si impossessa di un’aria che di solito tocca al soprano: Erwach zu Liedern der Wonne (Rejoice greatly, o daughter of Zion). Il giovane basso José Coca Loza non sbaglia nulla. È espressivo, empatico, perfettamente al corrente di quello che sta cantando, autorevole sia dal punto di vista musicale che interpretativo.
La ripresa video è molto buona, con un’ottima banda sonora. Anche la regia video di Tiziano Mancini è ben riuscita. Il DVD è stato registrato live dalla Haus für Mozart di Salisburgo, durante il Mozartwoche 2020. Non c’è libretto ma sono presenti i sottotitoli, inoltre è molto semplice recuperare le tracce direttamente dalla videata.
Daniela Goldoni