Johann Sebastian Bach | Clemente Antonio Daliotti |
Anna Magdalena Bach | Michela Guarrera |
Nibbio | Roberto Jachini Virgili |
Direttore | Federico Amendola |
Reate Festival Orchestra | |
1 Dvd Ema Vinci |
Maneggiare la composizione di un Intermezzo non è cosa facile, come nel Settecento tanto più oggi. E le innumerevoli partiture di autori sconosciuti ai più stanno certamente a dimostrarlo, dimenticate finanche dopo un’unica rappresentazione causa la modestia della musica ma soprattutto dei libretti che alle orecchie contemporanee risultano insopportabilmente declinati sulle solite schermaglie tra la scaltra donzella e il maturo farlocco. È quindi con grande curiosità che ci siamo posti all’ascolto di questo intermezzo contemporaneo, scritto dal musicologo e divulgatore Michele dall’Ongaro su libretto di Vincenzo De Vivo e commissionato ormai vent’anni fa da Gianni Tangucci, all’epoca direttore artistico del Teatro dell’Opera di Roma. Curiosità ripagata da una composizione dinamica e frizzante, che coglie in pieno tutte le caratteristiche tipiche dell’intermezzo, declinate con una sensibilità contemporanea che però non va mai a scapito della piena godibilità della musica.
L’argomento poi è sicuramente intrigante e sviluppato con arguzia, ruotando intorno all’interrogativo del perchè Bach non abbia mai composto un’opera lirica. Il libretto di De Vivo, molto ben sviluppato nella sua metrica primottocentesca con successione di rime baciate e alternate, immagina che l’impresario Nibbio si rechi disperato da Bach per scongiurarlo di scrivere un’opera per l’inaugurazione del suo “teatro assai elegante/da Venezia non distante” dopo che Hasse gli ha dato buca. Viene accolto dalla seconda moglie Anna Magdalena che sta curando la numerosa prole, impegnata in esercizi musicali con vari strumenti: quest’ultima si impietosisce e va a chiamare il marito, mentre Nibbio rimane alla mercè dei pargoletti e della loro baraonda musicale. Bach arriva, e l’impresario tenta di convincerlo in tutti i modi a scrivere l’opera, ma il compositore insiste di non essere in grado di maneggiare le formule operistiche, la lingua e di mal sopportare i vezzi di primedonne e castrati. Suggerisce però un’alternativa, che pare risvegliare le speranze di Nibbio, ma questa si rivela essere la proposta di scritturare il figlio Gian Cristiano: proprio quello che l’impresario considerava il più chiassoso di tutti. Scandalizzato e deluso, Nibbio lascia casa Bach, mentre il compositore sistema gli spartiti dei suoi figlioli che magicamente sotto la sua direzione diventano un melodioso Concerto Brandeburghese.
Lo stile compositivo viene descritto dallo stesso Dall’Ongaro nel breve ma esaustivo booklet come il risultato del ricordo di pomeriggi trascorsi con i compagni di studio al Conservatorio di Santa Cecilia: “Un nutrito gruppo di studenti incollati a uno o due pianoforti, violini, flauti e percussioni improvvisate a leggere, cantare e mimare a prima vista l’intero repertorio lirico conosciuto”. Non un citazionismo musicale, ma una rielaborazione di temi e suggestioni sempre calati nel momento scenico, che l’ascoltatore può percepire e apprezzare senza che ci sia mai il sentore di un qualcosa di posticcio. Per fare un esempio, la tarantella che accompagna l’aria di ingresso di Anna Magdalena con la quale decanta le doti del caffè mentre i figli si esercitano, quando trapassa nel tema di Scarpia all’ingresso dell’impresario ottiene un effetto irresistibilmente comico. O quando lo stesso impresario si lamenta che i figli di Bach stanno suonando “un vero trambusto, un caos strumentale e povere orecchie mi fan così male”, la scelta di una composizione alla maniera di Berio è quanto mai azzeccata per mostrare la sofferenza dell’uomo che ricerca solo le canoniche armonie che possano portargli guadagno (ed è bellissimo come testo il successivo duetto con Bach dove praticamente lo implora anche solo di fare un centone, tanto basta che ci metta la sua firma). Ed è nella migliore tradizione delle opere buffe il terzettino "Signor Don Nibbio bene non state", gioco di rimandi onomatopeici fra Nibbio e Anna Magdalena col successivo inserimento del “pedale” basso di Bach.
L’allestimento che qui si recensisce è andato in scena al Teatro Flavio Vespasiano di Rieti nell’ambito del Reate Festival 2017, per la regia di Cesare Scarton, le scene di Michele Della Cioppa, il disegno luci di Andrea Tocchio e le videoproiezioni a cura di Flaviano Pizzardi. Allestimento davvero piacevole, anch’esso in piena sintonia con lo spirito del genere Intermezzo e quindi caratterizzato da una linearità di fondo che però soddisfa pienamente lo spettatore. Una scena fissa con pannelli e arredi di design caratterizza la casa dei Bach, giovane coppia di artisti dall’allure altoborghese evidente anche nell’abbigliamento casual ma con ricercati abbinamenti. L’uso incalzante delle videoproiezioni non risulta quasi mai invasivo, servendo a evidenziare con ricchezza di particolari le interazioni fra i vari personaggi : si potrà discutere l’effetto figurativo di qualche scelta, ma la resa generale attira sicuramente l’attenzione dello spettatore. La regia, inoltre, muove molto bene i protagonisti seguendo fedelmente musica e libretto con ironia ma senza concessioni al farsesco a tutti i costi (proprio a trovare il proverbiale pelo nell’uovo, le pacche sul sedere della signora Bach da parte di Nibbio al termine di un numero di tango forse si sarebbero potute evitare).
Molto bene anche tutta la parte musicale: Roberto Jachini Virgili affronta la lunga e complessa parte dell’impresario Nibbio con sicurezza e pienezza di voce, dai frequenti scarti di tonalità verso gli acuti alla giustezza dell’intonazione nelle modulazioni da uno stile melodico all’altro. E si sente parimenti la convinzione di essere dentro il personaggio, data dalla varietà dell’accento con il quale differenzia i diversi stati d’animo dell’impresario in angustie: irresistibile, a questo proposito, nel racconto a Bach dell’infausto incontro avuto con Johann Adolf Hasse a Lipsia. Alla scomposta esuberanza di Nibbio fa da contraltare il sussiego di Bach, interpretato con voce di bella omogeneità timbrica da Clemente Antonio Daliotti con un fraseggio quasi altezzoso che però si anima vieppiù fino all’esplosione dell’aria "Se facessi quel che dite", dove spiega tutto il suo fastidio per il primadonnismo dell’epoca con le sue convenzioni musicali e sceniche. Sicura ed espressiva la Anna Magdalena di Michela Guarrera, dalla voce di bella espansione lirica che risulta convincente tanto nelle lunghe frasi legate quanto nei passi più sincopati della trascinante tarantella che apre la composizione e dei vari duetti e terzetti.
Alla guida dell’ottimo Ensemble Reate Festival Orchestra Federico Amendola riesce a dare un’apprezzabile unità stilistica alla partitura, che trapassa senza soluzione di continuità fra i vari stili e citazioni musicali rielaborati, come sopra scritto, in modo da dare originalità alla composizione. La regia video e il montaggio a cura di Giuseppe e Luciano Scali restituiscono in modo completo e con attenzione ai particolari il riuscito allestimento. Unica pecca, il non aver lasciato nel video le uscite finali degli artisti, che ben avrebbero meritato la ribalta anche per i fruitori del DVD.
Domenico Ciccone