Girolamo Deraco è un quarantenne. Appartiene quindi alla generazione che dovrebbe avere in mano le sorti del nostro Paese, dovrebbe stare in mezzo a quei dirigenti, amministratori, artisti, politici, imprenditori che possiedono gli strumenti e i mezzi per rappresentare al meglio la nostra Italia.
Girolamo Deraco è un compositore.
Compositore, vero?
«Giovane compositore, sussurra sorridendo. Giovane compositore perché a quarant’anni in Italia si deve ancora sottostare alla generazione precedente, quella dei vecchi compositori che dovrai seguire finché non raggiungerai anche te i settant’anni e così, ormai prossimo alla morte, non avrai possibilità di esprimerti in nessun caso».
Ma tu, nonostante questa non celata amarezza, sei un compositore che ce l’ha fatta, sei un compositore che vive del proprio lavoro…
«In una maniera incredibile, in un modo che talvolta anch’io non capisco come ho fatto, ma direi di sì. Tanti concorsi, per superare le pause fra una commissione e l’altra, che mi permettono di vincere dei soldi e di creare nuovi contatti che poi coltivo perché si presenti l’opportunità di progettare insieme nuovi lavori… e così via».
Ci conosciamo a Miskolc. Una città ungherese pressoché sconosciuta in Europa che da qualche anno propone un Festival originale e particolare nell’universo delle manifestazioni musicali estive. Il Bartok Plusz Opera Festival con 10 giorni ininterrotti di Opera, musica classica, folk e pop con una particolare attenzione ai giovani e alle nuove composizioni. Una delle rare possibilità concrete di eseguire la propria composizione o addirittura mettere in scena la propria opera di fronte a un pubblico numeroso ed eterogeneo e, quindi, un’opportunità anche per te.
È così, Girolamo?
«Bene, sai che a Miskolc ho ottenuto risultati preziosi come la vittoria qualche anno fa del Concorso internazionale di composizione e la realizzazione di due dei miei ultimi lavori: Taci, la più breve composizione operistica mai rappresentata, di otto secondi netti; e Phonè, (link alla recensione) la mia ultima faticaccia riassunta nel sottotitolo in Istallazione sinfonica per coro e 100 grammofoni.
Il Festival di Miskolc è guidato in questi anni recenti da Gergely Kesselyak, anche direttore musicale principale dell’Opera di Stato ungherese a Budapest e raffinato musicista. Con lui è facile parlare, prospettare lavori, realizzarli. È anche grazie a lui se al Bartòk Plusz Opera Festival di Miskolc si presentano più di duecento spettacoli musicali in dieci giorni e ci si può trovare coinvolti in un’edizione che, come questa del giugno 2017, ha proposto nei quattro teatri della cittadina ungherese, nelle sue piazze, sui maxischermi disposti nei principali luoghi di Miskolc, 7 opere di cui 3 in prima assoluta. Oltre al mio Phoné, naturalmente, aggiunge ridendo».
Torniamo a te. Che tipo di compositore sei, che tipo di musica compone Girolamo Deraco?
«Fondamentalmente se dovessi utilizzare un termine che si riconosce direi che sono un operista che, per quanto banale, riassume la missione che mi sento di portare avanti: dare futuro al patrimonio operistico italiano che è, nel bene e nel male, la forma musicale più alta che siamo riusciti a creare e di cui vado orgogliosamente in giro per il mondo a portare la bandiera. Così come altri colleghi fanno».
Quindi hai composto opere?
«Assolutamente sì, anche se oggi potrebbe voler dire tutto o niente. Nel retaggio culturale odierno il nostro pensiero va ancora e subito alle due ore e mezzo, ai tre atti, all’opera coi cantanti dai nomi altisonanti, con grandi scenografie. Oggi secondo me è un batter di ciglio, devi capire le situazioni ed essere in grado di modellarti a seconda di quello che trovi. Che non significa comprimere il tuo lavoro, anzi citando Stravinsky “più paletti hai e più libero sei”».
La tua notorietà sta espandendosi a macchia di leopardo un po’ in tutti gli ambienti della musica contemporanea. Quali sono i Paesi con cui lavori di più e, l’Italia è uno fra questi?
«Francamente non proprio l’Italia. Mettiamola così: sono molto fortunato perché riesco ad esprimermi tantissimo all’estero: negli Stati Uniti e in Europa, dell’est principalmente. Al momento fra qui (Miskolc) e New York sto attraversando un periodo particolarmente felice. Ai primi di giugno ho presentato alla Carnagie Hall “Eight Songs for a Drag Queen”, un Minimumdrama per controtenore-trombone e orchestra modulabile; ora, qui a Miskolc, esattamente cinque anni dopo il mio Taci, presento Phonè, una fatica inimmaginabile in termini di composizione, risorse, organizzazione ed esecuzione, ma alla fine soddisfacente in tutto e per tutto».
Tu vieni da una fucina fra le più prestigiose del mondo che è l’Accademia Musicale Chigiana di Siena dove hai incontrato e lavorato intensamente con Azio Corghi…
«Sì, con Corghi mi sono trovato molto presto in quel rapporto di complicità col proprio docente che ti permette di condividere quasi istintivamente il reciproco bagaglio e le reciproche intenzioni, aspettative, idee. È stata una formazione davvero straordinaria ed è supporto stabile per la mia attività quotidiana di composizione».
Che diffusione hanno i tuoi lavori nel nostro Paese?
Ride. «Voglio subito segnalare un punto positivo rappresentato dal Maestro Giorgio Battistelli, direttore del Play It! (suona italiano!) Festival di Firenze, che accolse con entusiasmo immediato la proposta di rappresentare Taci in prima italiana. Ma le cose non vanno spesso così e presentare le composizioni di musica contemporanea nel nostro Paese non è cosa da poco… con polemiche annesse ad ogni esecuzione», conclude di nuovo ridendo.
Quali sono le tue prospettive future?
«Ho molti progetti nel cassetto e, fra questi, un’opera di uno o due atti, di un’ora, un’ora e mezzo… Aspettatevi una bomba!
Sono direttore artistico di Cluster, un’associazione di compositori che ha base a Lucca attorno alla quale ora gravita un gruppo numeroso e qualitativamente solido. Ci stiamo diffondendo in senso geografico e antropologico, direi, e ci si trova naturalmente a costruire una rete di rapporti, di contatti che si sviluppano autonomamente creando e attraendo interesse e permettendoci sempre più esecuzioni.
Dei progetti in corso d’opera (!), come d’uopo, è meglio non parlare. Non tanto per una questione scaramantica ma per poterli annunciare con entusiasmo una volta che prendono consistenza e sono vicini alla realizzazione. Ti dico comunque che uno importante è oltre oceano mentre quello più personale, coinvolgente e straordinario è la nascita di mio figlio, che la mia compagna Cristina dovrebbe dare alla luce fra poche settimane».
Sei calabrese, orgoglioso delle tue origini e della tua terra, ma vivi a Lucca da tempo e hai una moglie e presto avrai un figlio lucchesi. Dove immagini la tua casa un giorno?
«Ehhhh, questa è proprio la domanda della vita. Per il momento mi preparo a fare la spola fra Lucca e New York per avere la possibilità di seguire i miei prossimi impegni e, al tempo stesso, vivere la famiglia che sta per formarsi o, meglio, confermarsi. Quando penso di volare da un Paese all’altro, da un Continente all’altro mi sento parte dell’oggi, mi sento di essere pienamente inserito nella realtà contemporanea, fatta di un’identità continuamente integrata e arricchita dai nuovi confronti.
Non lo so. Alla fine credo che l’Italia, e magari Lucca, dove ho compiuto i dieci anni di studio di Conservatorio e dove tutt’oggi abito, potrebbe essere la base giusta per la mia famiglia. Pronta però, spesso tutta intera, a volare ovunque si richieda la presenza dei Deraco»!
David Toschi