Jacopo Rivani, direttore dell’Orchestra La Corelli, poco più che trentenne, ha già alle spalle una carriera tanto singolare quanto invidiabile. Ha fondato un’orchestra da zero partendo da teen-ager, con le prove il sabato pomeriggio all’uso delle rock band. Solo che loro provavano i classici. Nel frattempo studiava tromba al Conservatorio, suonando contemporaneamente nella banda cittadina che, per caso e per momentanea assenza del direttore, si trovò a dirigere quando aveva più o meno quattordici anni. E gli sembrò un fatto del tutto naturale. Poi si diploma in tromba e studia direzione d’orchestra al Conservatorio di Pesaro, perché la direzione è il suo richiamo primario. Lo incontriamo nel suo studio, stracarico di partiture, libri, cd e vinili, oltre alle trombe, naturalmente.
Come si fa a diventare direttore d’orchestra a 23 anni?
Ho studiato tromba al Conservatorio di Ravenna, ma non mi bastava, mi interessavano altri aspetti della musica. Mentre studiavo suonavo anche nella banda cittadina. Un giorno, avevo quattordici o quindici anni, il maestro ha dovuto assentarsi e ha chiesto a me di dirigere. Da incosciente ho accettato e mi sono trovato subito bene. Credo che la direzione d’orchestra sia uno stato interiore, non dico una attitudine innata ma quasi. È un temperamento, un modo di essere anche nella vita quotidiana, risponde all’esigenza di cercare e trovare un equilibrio. È nella mia indole cercare innanzitutto di far stare insieme una comunità. Poi viene la creazione di un suono e una lettura autonoma, originale. La tecnica si studia e si impara, ma l’attitudine al controllo e alla gestione di una comunità complessa è qualcosa che c’è o non c’è.
Come è nata La Corelli?
Sempre quando ero ancora un ragazzo di sedici anni mi iscrissi al Corso Musicale Estivo Marco Allegri di Castrocaro Terme. Ero già molto preso dall’idea della direzione d’orchestra e il Maestro Giorgio Babbini mi propose di dirigere il preludio della Carmen. Con grande faccia tosta accettai e fu una bellissima esperienza. Nel frattempo, dato che al Conservatorio di Ravenna si faceva pochissima orchestra, creammo un gruppo di una dozzina di allievi che avevano voglia di suonare insieme. Affittavamo una sala il sabato pomeriggio e ci trovavamo a provare. Per una serie di coincidenze nel 2012 fummo chiamati a suonare il Requiem di Mozart nella chiesa di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, io dirigevo. Fu un grande successo, direi oltre mille persone presenti, qualcosa di insperato. Avevo diciannove anni e decisi che dovevo insistere con la direzione. Fui ammesso al Conservatorio di Pesaro. A quel tempo avevamo già fondato l’Associazione Arcangelo Corelli sulle basi della nostra orchestra nata nel 2005. Nel 2014 ci siamo costituiti in cooperativa. Siamo indipendenti e privati, abbiamo un consiglio di amministrazione, io sono direttore artistico e direttore musicale e lavoriamo tutto l’anno con varie formazioni, dal duo, all’orchestra da camera, alla grande orchestra. Una decina di noi lavora in modo stabile e continuativo.
Come si sostiene La Corelli dal punto di vista economico?
Lavoriamo molto grazie ad un lavoro costante, quotidiano. Nel 2022 abbiamo fatto 99 concerti, di cui tre quarti in Emilia Romagna. Partecipiamo ai bandi del Ministero, della Regione e degli enti locali. Per il momento non puntiamo allo status di Orchestra Regionale perché non operiamo regolarmente sulla base minima di 20 elementi. Noi ci configuriamo preferibilmente come orchestra da camera, forse più avanti lavoreremo a questo progetto. In questo momento c’è molto fermento, abbiamo diversi impegni per i prossimi 2/3 anni, il nostro intento è di fare della Corelli un’orchestra stabile e anche un’orchestra di servizio. Stiamo lavorando a progetti che facciano crescere il pubblico. Come direttore artistico mi pongo anche l’obiettivo di far debuttare sempre nuovi artisti e di creare un luogo di lavoro dignitoso per i musicisti.
Come vede la situazione attuale dei giovani strumentisti e dei giovani cantanti?
È un momento in cui si suona e si canta bene. La tecnica è cambiata e si è evoluta. Se ascoltiamo le incisioni storiche possiamo apprezzare l’interpretazione dei grandi direttori, ma forse oggi, grazie a strumenti a fiato e percussioni tecnologicamente migliori, il suono è più raffinato. Migliora tutto grazie anche alle edizioni critiche e alla varietà degli strumenti. Purtroppo capita che alcuni giovani molto promettenti sembrino destinati a grandi carriere, inizino a lavorare poi quando i loro cachet crescono contestualmente al loro curriculum, allora diventano troppo costosi e rischiano di essere accantonati. Ci vuole tenacia per vivere di sola musica! In generale i giovani artisti sono bravi, ma chi intende vivere di musica deve studiare pancia a terra quotidianamente. I conservatori sono importanti anche se i programmi sono ridondanti di materie accessorie, non fondamentali. Oltre ai conservatori ci sono molti maestri in grande carriera che contribuiscono alla formazione. Credo che la “bottega” sia fondamentale, la musica si impara anche per osmosi, stando a stretto contatto con chi la fa.
E il pubblico giovane si fa vedere?
Si raccoglie quel che si è seminato, cioè poco o nulla. Noi facciamo di tutto per avvicinare i giovani, dal suonare al ballo dei liceali ad accompagnare gli esercizi di spinning in diretta. Suoniamo dappertutto e di tutto, in qualsiasi formazione, dalle le colonne sonore alle canzoni in darsena a Ravenna. Abbiamo ad esempio una formula di Music-Game, giunta alla terza puntata, in cui il pubblico interagisce con la vicenda e stabilisce i successivi sviluppi musicali. Si chiama Melo_Logic e l’interazione avviene attraverso il peggior nemico del teatro musicale: il cellulare.
Come selezionate i musicisti?
La nostra è un’orchestra giovane perché lo è la nostra età media. Non è però un’orchestra giovanile perché di fatto non abbiamo limiti di età in uscita come accade per le giovanili, come ad esempio la Cherubini da cui a volte acquisiamo elementi allo scadere dell’età. Preferiamo rivolgerci direttamente ai grandi maestri chiedendo loro di segnalarci gli allievi meritevoli, poi li proviamo in orchestra, vediamo come si rapportano, ci consultiamo con le prime parti e se tutto funziona li includiamo. In quanto privati non siamo tenuti a concorsi e possiamo operare per chiamata.
La Corelli ha un profondo legame con il territorio emiliano-romagnolo. Le risulta che ci siano altre realtà simili in altre regioni? Che rapporti avete con le istituzioni musicali locali?
Il nostro rapporto più solido e continuativo è con il Ravenna Festival, poi lavoriamo con tutti i teatri della zona a partire da Ravenna, Cesena, Rimini, Faenza, Ferrara, Lugo e altri. Noi cerchiamo di rendere dignitoso e quanto più possibile continuativo il lavoro dei musicisti anche aumentando, quando possibile, i loro compensi. Possiamo permettercelo grazie ai rapporti con gli enti pubblici, anche se le nostre collaborazioni sono necessariamente legate al sistema dei bandi che purtroppo funzionano in modo meccanico. È difficile scrivere su carta tutto quello che siamo, a entrare tutti interi in un bando. Per quanto riguarda le realtà simili, so che ci sono molte orchestre nate dalla volontà di un manager, non direttamente da un gruppo di musicisti come la Corelli.
Il vostro repertorio è molto vario. Opera, sinfonica, cameristica e molta opera contemporanea in cui vi capita spesso di essere i primi esecutori assoluti. Penso a Pinocchio di Aldo Tarabella, o al Viaggio di Mastorna di Matteo D’Amico. Ma anche il magnifico Viaggio di Roberto/Un treno verso Auschwitz di Paolo Marzocchi è un’opera che andrebbe data sempre e ovunque. A cosa state lavorando in questo momento?
Ogni scelta di repertorio qualifica l’altra. L’esperienza della sinfonica si riversa nell’opera, mentre l’opera dà teatralità alla sinfonica. Personalmente, in questo momento amo lavorare su Rossini, ma sogno un’opera di Mozart: Le nozze di Figaro; purtroppo, però, sono etichettato come non-mozartiano, solo perché non ho mai diretto una sua opera. Poi, seguendo le tendenze delle programmazioni in Italia, faccio molto Verdi. L’opera contemporanea è una costante del nostro lavoro, anche se non ci sono novità assolute nei prossimi tempi. Per quanto riguarda il repertorio sinfonico, stiamo lavorando alla Quarta di Mahler e a Morte e trasfigurazione di Richard Strauss e tanto altro.
Poi abbiamo un progetto ambizioso e un po’ particolare per il mese di settembre, di cui però non vorrei svelarvi nulla!
Domanda finale: come fa a domare Goran Bregovic nei suoi concerti fluviali? Ho visto quello del 2019 al Ravenna Festival e sono ancora sopraffatta.
In realtà è tutto sotto controllo, si doma da solo. È tutto organizzatissimo, molto didascalico, preciso. La percezione è di entropia, in realtà è tutto molto regolato, però alcune parti sono registrate e anticipano i tempi che verranno, e questa è la parte più complessa. Certo le voci bulgare sono abbastanza indipendenti e andavano da sole, mentre veramente indomabili, sono i musicisti della Wedding and Funeral Orchestra, che hanno un’entrata davvero trionfale. Resta sempre un’esperienza unica, i suoi musicisti sono speciali e l’atmosfera è pazzesca.
Daniela Goldoni