Esco dal caldo ovattato della metropolitana per tuffarmi in un gelido pomeriggio di fine gennaio. Roma è bellissima. Chiedo un’indicazione e mi imbatto in una turista! Caspita anche in questo periodo… nonostante il clima! Mi avvio verso Piazza Risorgimento, raggiungo facilmente il quartiere di Borgo Pio e mi fermo di fronte ad un portone, in un vicolo tipico. Lì vicino due romani chiacchierano sonoramente davanti ad un bar. Sono in anticipo di cinque minuti. Mi preparo con il dito dritto sul citofono, pulsante Tucci. Inizia il conto alla rovescia. Alle 15 in punto suono e mi risponde Gabriella Tucci, il grande soprano che sto per intervistare… L’emozione è grande! La bellissima signora mi accoglie nel suo appartamentino, confortevole e a misura d’uomo. La signora Gabriella è vestita in blue jeans e la sua disinvoltura la fa apparire ancora più affascinante. Ci accomodiamo nel salottino, da cui si intravede il pianoforte e inizia a svelarmi la sua vita eccezionale…
Cosa l'ha spinta a dedicare la sua vita al canto lirico?
Il primo approccio con la musica è avvenuto con lo studio del pianoforte a 5 anni, incoraggiata dalla mia famiglia che amava molto la musica e l’Opera Lirica, pur non essendoci nessun parente cantante o musicista. Ma fin da bambina i miei genitori mi portavano ad assistere alle opere, cosa che ho sempre vissuto con grande gioia e partecipazione. La passione era quindi già latente dentro di me, nessuno me l’ha inculcata, piuttosto sono stata stimolata ad esprimerla. E infatti a scuola mi facevano sempre cantare! Anche quando ero un po’ più grandina durante le festicciole a casa, approfittando del pianoforte, c’era sempre chi mi chiedeva di cantare qualcosa ed io amavo in particolare eseguire le canzoni napoletane! Finché proprio in una di queste occasioni mi notò un amico di famiglia, amante della musica e frequentatore di teatri, che esortò i miei genitori a farmi studiare seriamente. Loro ne furono felicissimi e così iniziai.
C'è stato qualcuno che sempre e da subito ha creduto in lei?
Senz’altro è stato importante il sostegno della famiglia sin dall’inizio, ma è stato soprattutto grazie al mio carattere molto forte, alla mia determinazione e fiducia in me stessa che sono riuscita a superare i momenti di sconforto e disillusione e ad arrivare dove sono arrivata. Anche a me, all’inizio, è capitato di essere stata respinta in alcuni concorsi, le cose non sono andate subito bene, nessuno ha gridato al miracolo appena ho iniziato a cantare! Ma ho sempre creduto in me stessa, tutt’ora ho questa forza che mi caratterizza. E’ indispensabile credere in quello che si fa, amarlo. Io ho fatto praticamente soltanto questo (senza dimenticare che sono anche madre di famiglia!), il canto, la musica sono stati gli obiettivi principali della mia vita.
Qual è il segreto della sua preparazione tecnica vocale di altissimo livello?
Devo dire che non ho studiato molti anni, la mia voce era già naturalmente impostata, per cui a diciotto anni appena cantavo in teatro. In pratica facevo entrambe le cose, cioè cantavo in teatro e parallelamente studiavo. Studiavo affidandomi ai grandi direttori d’orchestra e ai grandi registi con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Allora, queste grandi personalità erano anche veri e propri esperti, non solo in termini di musica, ma anche in termini di vocalità. Erano persone che conoscevano il teatro e rispettavano la musica e che veramente potevano aiutare un giovane cantante in erba, cosa che non mi sembra avvenga oggigiorno, purtroppo! Per cui non ho avuto un unico maestro, ho imparato molto guardando ed ascoltando gli altri, in particolare evitando gli errori che facevano e senza cercare di imitarli (imitare è fuorviante, l’importante, invece, è sviluppare e trovare la propria vocalità) utilizzando il mio intuito, la mia intelligenza e la mia musicalità. Come ho detto prima, innanzitutto ho creduto in me stessa e sono sempre stata sicura del mio organo vocale, che per fortuna non mi ha mai tradita. Questo probabilmente perché l’ho rispettato. Benché in repertorio io abbia più di ottanta ruoli (ho cantato da Cimarosa a Menotti, a Dallapiccola, passando attraverso Bellini, Rossini, Verdi, Puccini e molti contemporanei!), la mia formazione parte da una lunga gavetta, cominciando dalle piccole parti, cosa di cui vado orgogliosa, perché cantare nei piccoli teatri e nei piccoli ruoli è indispensabile all’inizio per farsi le ossa a poco a poco per poi riuscire a sostenere il peso dei ruoli più impegnativi nei grandi teatri. Purtroppo, in questi ultimi anni si assiste sempre più spesso a debutti in grandi teatri di giovani cantanti inesperti, invece che dare loro la possibilità di “allenarsi” e maturare pian piano. Molti giovani si “bruciano” a causa della grande responsabilità che non sono in grado di sostenere, magari iniziando anche con ruoli troppo pesanti. Io, ad esempio, ho iniziato dalla Contessa del Rigoletto, e ho aspettato dieci anni per cantare la mia prima Butterfly!
Posso dire comunque che uno degli elementi fondamentali della mia tecnica è la pronuncia della parola. Pensare di cantare per qualcuno che è lontano da noi, e che deve capire ciò che stiamo dicendo aiutandoci con l’espressione insita nella parola stessa, ponendo l’attenzione al contesto in cui questa parola viene pronunciata. Ad esempio, un personaggio come Leonora del Trovatore non scandirà le parole con la stessa determinazione ed incisività di un’Aida, e per Gilda dovremo usare maggior dolcezza, senza, ovviamente, abbandonare l’articolazione della parola. E’ fondamentale, infatti, che la dizione sia sempre chiara per far capire al pubblico chi siamo, cosa stiamo dicendo e perché lo diciamo.
Ha influito sulla sua carriera il fatto di abitare in una grande città come Roma?
Sinceramente, non più di tanto. Anche perché non ho abitato sempre a Roma, ma ho vissuto a Milano quando lavoravo alla Scala, e poi ho passato molto tempo in America, il Metropolitan lo considero “il mio” teatro. Infatti, qualcuno mi “rimprovera” di aver cantato soprattutto negli Stati Uniti, ma in realtà, se facciamo la lista delle opere che ho cantato tra Milano, Roma, Verona, Venezia, Napoli, ho cantato molto anche in Italia!
Secondo Lei quali elementi sono indispensabili e fanno la differenza per emergere come cantante solista e per intraprendere una carriera internazionale?
Sicuramente metterei la voce alla base di tutto! Poi senz’altro la musicalità, l’intelligenza, la capacità di scegliere i ruoli, senza dimenticare il carisma, che consente di agire sul palco e di avere un impatto sul pubblico. Poi, come dicevo, la fiducia in se stessi e l’onestà professionale. Infatti man mano che ci si fa un nome le aspettative del pubblico crescono e si ha la responsabilità di soddisfarle. Per questo occorre un grandissimo studio ed è necessario avere una buona dose di curiosità. Io le opere le ho sempre studiate a partire dalla copertina fino all’ultima pagina! E conosco le parti di tutti quanti, non c’è nessuno che mi sorprenda, cosa importante ad esempio quando si esegue un assieme: se qualcuno per distrazione non attacca al momento giusto, è necessario avere quella prontezza, dovuta alla preparazione ed alla conoscenza della partitura, di continuare e risolvere la situazione. In genere io ho sempre studiato con questo approccio profondo non solo la musica, ma anche il testo. I libretti, infatti, hanno una loro difficoltà, dovuta al linguaggio arcaico, che può non risultare subito comprensibile. Per cui lo studio della parola, con tanto di vocabolario, si rende necessario per cogliere interamente il senso di ciò che si canta. Poi direi che è molto utile anche guardare e ascoltare i colleghi. C’è sempre qualcuno che dà molto in palcoscenico ed è possibile ottenere lezioni importanti da queste persone. Ad esempio, mi piaceva moltissimo guardare e studiare il modo in cui la Callas stava in palcoscenico, la sua gestualità, come interpretava i ruoli e il suo modo di pronunciare la parola. Io credo che da ognuno si possa imparare, e al tempo stesso è necessario evitarne gli errori. Ecco, è importante avere questa capacità di selezione. Anche perché la perfezione assoluta non esiste e c’è sempre da studiare, sempre da scoprire e imparare!
Ritiene ci siano delle differenze importanti tra il mondo dell'opera come lo ha conosciuto lei e quello di oggi?
Io ho sempre sostenuto che il teatro è fatto di incontri, di persone, l’Opera è un “team” e quindi è importante fare molte prove, è importante conoscersi bene. Mi ricordo che per una nuova produzione di Falstaff al Metropolitan feci un mese e mezzo di prove! Un tempo si assisteva alle prove di tutti, e i maestri seguivano ciascun artista, anche il più grande, riprendendolo se era necessario. Erano occasioni preziose in cui si imparava moltissimo. Oggi, invece, c’è questa grande mancanza di “assieme”, che secondo me è sintomatica di una vera e propria mancanza di serietà. Inoltre non condivido le attuali dissacrazioni da parte di regie “moderne”, e non capisco perché il pubblico vada ad assistere a spettacoli simili. Pur di colpire, di avere un impatto sugli spettatori si ricorre a trovate che sinceramente danno una visione distorta dell’ opera (non si può andare a vedere Ballo in Maschera che si apre con il gli artisti del coro maschile seduti su water e con le brache calate, come è avvenuto a Barcellona!). Non sto dicendo che dobbiamo restare fermi alle scene di cartapesta, o che si debba cantare ancora con la mano sul cuore, senz’altro la modernizzazione è importante purché sia fatta con intelligenza. Allo stesso modo ritengo fondamentale che la musica sia rispettata così come è stata scritta, senza tutti questi tagli che vengono fatti stravolgendo l’originale.
Poi mi sembra che la preparazione dei giovani sia molto approssimativa, rispetto ad una volta. Tutti vogliono cantare, e subito i grandi ruoli, senza la necessaria esperienza.
Infine direi che da quando la politica è entrata in maniera più influente nei teatri, le cose si sono aggravate. Non si può fare il sovrintendente o il direttore artistico di un teatro senza conoscere la musica.
Nel mondo del Cinema si sente spesso di amori che sbocciano tra gli attori. Probabilmente la libertà con cui si possono esprimere le emozioni sul set prepara, come dire, il terreno per Cupido... L'Opera si sa è emozione per eccellenza... sorvolando sugli innumerevoli tenori (e non solo) che di sicuro avranno perso la testa per lei... a lei è mai successo di innamorarsi per davvero durante una produzione?
Mah, so di colleghe alle quali è successo e che magari poi si sono anche sposate! Per quanto mi riguarda posso dire che mi ha fatto molto piacere cantare con uomini avvenenti come Franco Corelli e Mario Del Monaco, ma non mi è mai capitato di innamorarmi… in genere quando si è in scena si pensa piuttosto all’acuto che sta per arrivare e la concentrazione e l’attenzione sono impegnate nel canto!
Devo dire che, personalmente, non ho mai cercato l’avventura! Chissà forse l’esser stata così calda e presente sul palco, mi rendeva più “fredda” e tranquilla nella vita quotidiana. In genere, poi, mio marito mi accompagnava!
Una vita professionale così intensa, che la vede impegnata tutt'ora, avrà senz'altro influito anche sulla sfera privata: come ha gestito i due aspetti? Ne è soddisfatta?
Come dicevo, sono una madre di famiglia: ho due bei figli e senz’altro quando erano piccoli le difficoltà per seguirli, soprattutto in età scolare, ci sono state. Così come le occasioni in cui ho dovuto affidarli a qualcuno, per impegni di lavoro. Ogni volta che era possibile però, me li portavo dietro, e devo dire che ho potuto contare sull’aiuto e la presenza di mio marito. Comunque mi sembra che siano cresciuti bene! Uno di loro si occupa di musica, ma non di lirica… fa il DJ!
Ascoltandola e rivedendo alcuni filmati delle sue perfomances, colpisce la sua capacità di DIVENTARE il personaggio. Come si preparava per capire e rendere con tale verità le innumerevoli eroine interpretate?
Come già accennato la pronuncia della parola è stata la base su cui ho lavorato, poi naturalmente a questo ho aggiunto la cura della gestualità, delle espressioni del viso. Io ho sempre creduto che sia indispensabile “vivere” l’opera! La nota non parte semplicemente dalle corde vocali, ma parte da un’interiorità, da noi stessi, la voce siamo noi nella nostra totalità. Io sul palco non sono più Gabriella, ma mi immedesimo tanto da diventare il personaggio! Ho sofferto con Violetta, con Butterfly, ho scherzato con Alice nel Falstaff! In pratica ero io, ma nelle mie innumerevoli sfaccettature. Chiaramente una volta finito di cantare, il personaggio lo lascio lì, non me lo porto dietro, anche perché mi piace condurre una vita normale, semplice, senza divismi (e c’è chi me lo rimprovera!). Questa capacità di immedesimazione oltre a portarla dentro di sé come talento, si conquista con un grandissimo studio. Da fuori risulta spontaneo, naturale, ma dietro c’è un lavoro immenso che presuppone una grande presenza a se stessi e un grande controllo prima di tutto della tecnica vocale. Naturalmente capita anche la serata in cui questo controllo viene a mancare, siamo umani e tutto può influire: una cattiva notizia o una buona, un malessere…A quel punto “scatta” la preparazione tecnica, indispensabile per mantenere uno standard anche quando non si è in forma.
Ed ora la domanda dei "3 RUOLI": ruolo preferito, ruolo più impegnativo, ruolo che non ha mai interpretato ma le sarebbe piaciuto
Devo dire che tutti i ruoli che ho cantato mi sono piaciuti, e li ho amati… una volta ho rifiutato un ruolo che in realtà adoro, ma lo reputavo troppo pesante per la mia voce in quel momento. Si trattava della Fanciulla del West, prevista per una inaugurazione al Metropolitan! E non nego che a ripensarci adesso, mi spiace di aver rifiutato! Ho dovuto aspettare altri due anni prima di cantare in occasione di un’altra inaugurazione del Metropolitan, e questa volta si trattava di un Falstaff. Forse posso dire che un ruolo che ho amato moltissimo è stata la Didon di Piccinni, che ho cantato a Napoli con l’Orchestra Scarlatti. Il personaggio mi ha colpito per la sua intensità, per la grande sofferenza e poi la musica mi piaceva molto! Un’opera davvero impegnativa, su cui ho lavorato tanto, e che purtroppo è stata poco eseguita. E’ curioso perché pur amando e pur avendo cantato moltissime volte Traviata, Aida, Leonora, la Didon mi ha colpito profondamente, è un personaggio a cui penso spesso e che mi è rimasto nel cuore in maniera particolare.
In genere i ruoli che non mi piacevano, o che non sopportavo non li cantavo! Mi ricordo che all’inizio della carriera ho interpretato molte volte Nedda dei Pagliacci (di cui esistono anche un disco e un video molto apprezzati) e credo mi piacesse, ma poi improvvisamente mi è venuto l’odio per questo personaggio e ho smesso di cantarlo. Tant’è vero che una volta, lo stesso Karajan mi chiese di fare il film di Pagliacci e io rifiutai!! Ma non ho rimpianti in questo caso, credo che seguiterei a dire di no… è un personaggio che ho trovato sempre molto volgare, anche se non metto in dubbio che vocalmente sia bellissimo.
Lei ha cantato con i direttori più prestigiosi (Gavazzeni, Capuana, Von Karajan, Cleva, Abbado, Levine, Szell, Solti, Pretre, Metha ecc.) e con altrettanti colleghi (del calibro di Corelli, Simionato, Siepi, Gobbi, Cossotto, Taddei, Nilsson, Milnes, Pavarotti ecc.). Ha mai avuto difficoltà a gestire i rapporti? Con chi si è trovata particolarmente male e con chi invece ha lavorato molto bene?
No, non ho mai avuto problemi di rapporti sul lavoro. In genere il mio modo di affrontare le cose prevedeva che fossi io ad adeguarmi al teatro, al maestro che trovavo (anche perché lavorando con questi grandi c’era soprattutto da imparare!). E poi ripeto, il fatto di provare molto insieme, di conoscersi, era alla fine anche un modo per instaurare un’armonia e creare una compagnia affiatata. Con i colleghi mi sono trovata molto bene, e sono nate alcune amicizie tra cui quella con Giulietta Simionato.
Ha qualche aneddoto curioso da regalarci?
Una volta in Sudafrica, cantavo Bohème con un tenore che si chiamava Luigi Infantino, piuttosto corpulento… Nell’ultimo atto (la morte di Mimì), dopo esser stata adagiata sul lettino, Mimì resta sola con Rodolfo e canta “ Ah come si sta beneee qui …“, e proprio in quel momento, nell’enfasi dell’abbraccio, il letto si sfasciò!!! Io ho seguitato a cantare fino alla “morte” praticamente per terra! Mi ricordo che il pubblico non fiatò, mantenendo un contegno tipicamente anglosassone!
Quanto ha influito la presenza, nello stesso periodo, di soprani come Maria Callas e Renata Tebaldi sulla sua carriera?
In effetti io ho iniziato quando entrambe erano al culmine della loro carriera e mi sono fatta strada tra di loro interpretando ruoli minori. Ho anche cantato con la Callas, interpretando Glauce, in occasione del revival della Medea a Firenze con il maestro Gui. Senz’altro quando è iniziato il declino di queste due grandi artiste io sono emersa maggiormente, ma sono grata che sia passato quel tempo. Mi è servito perché facessi esperienza.
Recentemente è uscito il suo ultimo cd: una bellissima selezione di arie verdiane tutte live. So che sta pensando anche ad una seconda raccolta discografica... come mai ha deciso solo ora di pubblicare cd?
Non so… è vero che sono stata spinta a pubblicare questo materiale, ammetto che non è una cosa che parte da me. Il fatto è che io penso di aver già dato tutto in teatro, e decidere di mettere in disco questo materiale (la maggior parte del quale è live) ogni volta è una sofferenza per me… mi ci devo abituare, ci devo pensare su, insomma lo faccio solo quando sono sicura. Ora uscirà un cd della Butterfly con Bergonzi e la direzione di Cleva, anche per questo ci ho messo un po’ a convincermi.
Attualmente un'altra attività importante nella sua vita professionale è l'insegnamento. Su cosa basa essenzialmente la sua didattica?
In genere il mio insegnamento è subito a 360°, nel senso che si affronta il canto nei suoi aspetti tecnici, in particolare insisto sulla respirazione (poco e malamente insegnata oggigiorno), ma anche la dizione, la preparazione musicale e quella espressiva. Ritengo sia fondamentale, quando si impara un’aria, conoscerne autore ed epoca, e avere ben presente chi è il personaggio, cosa sta facendo e cosa farà! Questi elementi sono indispensabili per poter esprimere qualcosa, altrimenti si avrà la sensazione di un’aria fredda staccata dal contesto. In generale comunque preferisco insegnare nell’ambito di Master Class pubbliche.
Oggi va di moda dire che l'opera lirica sia in declino e che il fatto di non poter reggere il confronto con la verosimiglianza dei media attuali, la renda inesorabilmente obsoleta. Lei è d'accordo?
Sicuramente, come dicevo prima, oggi c’è una mediocrità , una mancanza di serietà che in confronto ai miei tempi ha fatto un po’ perdere quell’ atmosfera e quel rispetto per l’opera. In questo c’è stato senz’altro un declino. Ad ogni modo io credo che l’ opera, che la musica siano universali. E per questo sono e saranno sempre attuali, per cui il problema non è tanto nel genere, ma più nel modo in cui si realizzano le produzioni, modo che spesso è poco intelligente e dissacratore.
Personalmente ritengo, al contrario, che l'opera lirica, abbia ancora molte cartucce da giocare prima fra tutte la verità e la potenza dell'impatto della voce umana sul cuore. Se dovesse invogliare un giovane neofita ad avvicinarsi all'opera cosa direbbe?
Innanzitutto tranquillizzare i giovani sul fatto che l’opera non è affatto una cosa fuori dal mondo, tutt’altro!
E’ indispensabile avere una mente aperta e disponibile verso tutta la musica (se si considera che io per prima ascolto moltissimi generi che vanno dal Jazz al Soul alla musica di mio figlio!).
Senz’altro poi ritengo sia doveroso e fondamentale che ci sia un’istruzione musicale seria. Ad esempio in America e in Giappone, la musica viene insegnata nelle scuole con la possibilità di entrare a far parte di bande o gruppi musicali che danno quell’idea di “assieme” e una infarinatura musicale che senz’altro stimola e predispone i giovani.
Intervista pubblicata il 1 marzo 2005.
Paola Cacciatori