Figura di grande rilievo nel panorama musicale milanese nel quarto di secolo in cui fu direttore del Conservatorio Giuseppe Verdi e, come tale, membro del consiglio d’amministrazione della Scala, allora Ente Autonomo, il maestro Marcello Abbado s’è spento il 4 giugno a Stresa. Era nato nell’autunno del 1926 a Milano da una colta signora palermitana, Maria Adele Carmela Savagnone, e da un violinista, Michelangelo, appartenente a una famiglia di lontane origini arabo-ispaniche. L’anno prima, questi era stato chiamato, appena venticinquenne, a una cattedra del Conservatorio di Milano, dove insegnerà per quarantacinque anni, alternando fino al 1962 l’attività concertistica con quella didattica e di ricerca teorica (di notevole importanza sono tuttora i suoi studi sulla Tecnica dei suoni armonici e sulla definizione scientifico-sperimentale delle “armoniche inferiori”). I genitori ebbero un’influenza esemplare sulla formazione dei figli, tre dei quali abbracciarono la professione musicale: dopo Marcello, Luciana, illuminata organizzatrice musicale delle stagioni intitolate “Musica nel nostro tempo”, una vera ventata d’aria fresca nel panorama dei secondi anni Settanta, e successivamente del festival “Milano Musica”, tuttora attivo; e poi il celeberrimo Claudio (il più giovane, Gabriele, scelse invece l’architettura).
Marcello era stato “iniziato” alla tastiera dalla mamma, che aveva studiato con un’allieva di Liszt. Da Gianandrea Gavazzeni, amico di famiglia, ebbe poi la formazione strumentale e teorica per entrare al Conservatorio, dove fu allievo di Lorenzoni, Paribeni e Ghedini e si diplomò in pianoforte e composizione nel 1947. Già da qualche anno aveva cominciato sia a comporre, sia a suonare in pubblico. Nel 1941 il padre aveva fondato quell’Orchestra d’Archi di Milano, attiva fino al 1962, che rimane il primo complesso italiano intenzionalmente dedicato all’esecuzione del repertorio “preclassico”. Questa vicinissima frequentazione con una pratica musicale allora poco diffusa credo abbia contribuito molto sia alla formazione di quel piacere dello Zusammenmusizieren che rimarrà nei decenni uno dei segni distintivi del modo di fare musica degli Abbado, sia alla sensibilità timbrica spesso inedita che distingue l’inventiva musicale di Marcello.
La sua attività compositiva fu concentrata prevalentemente agli inizi della carriera e nei non pochi anni seguiti al ritiro dal Conservatorio. Spiccano le preferenze per accostamenti strumentali insoliti (ad esempio in Concertante, del 1947, per piano, clarinetto, fagotto, violoncello e percussioni) e per l’organizzazione a gruppi contrapposti: cinque piccole orchestre fortemente caratterizzate sono l’organico delle Costruzioni pubblicate nel 1965 (il titolo ricorrerà altre volte nel catalogo del compositore). La sua musica ha avuto molta più fortuna in Paesi come gli Stati Uniti, la Russia e il Giappone, che non in Italia.
Prima di dedicarsi prevalentemente al ruolo gravoso di responsabile del Conservatorio di Milano (dal 1972 al 1996, dopo avere diretto il Liceo musicale di Piacenza e il Conservatorio di Pesaro), il giovane maestro aveva insegnato pianoforte a Cagliari, Venezia e Milano, armonia e contrappunto a Parma, composizione a Bologna, ma soprattutto aveva svolto un’intensissima e brillante attività pianistica in tutto il mondo, includendo nei suoi programmi, estesi da Bach e Scarlatti a Ravel e Prokof’ev l’esecuzione dell’integrale debussyana e di tutti i concerti per pianoforte e orchestra di Mozart (non di rado con Wolfgang Sawallisch, ma anche come direttore alla tastiera). La sua attività strumentale è comunque proseguita almeno fino al 2005, quando inaugurò al pianoforte il Festival di musica contemporanea di Petroburgo.
Nel 1993, dopo lo scioglimento dell’Orchestra RAI di Milano, Marcello Abbado fu, insieme con il maestro russo Vladimir Del'man, tra i capifila della fondazione dell’Orchestra sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, la cui direzione artistica tenne fino al 1996.
Di persona non l’ho mai incontrato, ma decenni fa mi colpiva, guardando nella barcaccia dei consiglieri d’amministrazione della Scala, la sua figura distinta e silenziosa, che ispirava rispetto e seguiva sempre con molta attenzione la musica.
Vittorio Mascherpa